Molte ombre dietro il 150° anniversario dell’unificazione d’Italia
di Giuseppe Brienza
Come per ogni ricorrenza, prima di celebrare l’evento, sarebbe necessario farne adeguata analisi e, anche per dimostrare che non tutti i cattolici sono allineati alla vulgata storiografica sull’identità nazionale, vorrei assai poco elegantemente citare il saggio che ho appena pubblicato, Unità senza identità. Come il Risorgimento ha schiacciato le differenze fra gli Stati italiani (Edizioni Solfanelli, Chieti 2009, pp. 72, € 7,00).
Nel mio lavoro non mi è stato difficile documentare, sia pure nel breve spazio di un saggio divulgativo, come nel 1861-1870 si è voluto applicare all’Italia, un “abito” che cozzava profondamente con la natura degli organismi politici pre-unitari, caratterizzati dalla presenza di numerose autonomie locali e giurisdizioni particolari laboriosamente coordinate.
Lo Stato pontificio, ad esempio, esce dal Medioevo con la tradizionale divisione nelle cinque “legazioni” (province), a loro volta divise in Governi e Stati. Tuttavia molte delle città prive del contrassegno di capoluogo di legazione riuscirono col tempo a sganciarsi dalle maglie provinciali e a intrattenere rapporti diretti con Roma, grazie alla nomina papale dei propri governatori.
Con Clemente VIII (pontefice dal 1592 al 1605) le province salgono a sei, ma non mancano i “governi separati” che, in linea di fatto, se non di diritto, sono equiparati alle province. Con le leggi rattazziane sull’ordinamento comunale e provinciale (23 ottobre 1859), sulla pubblica sicurezza (13 novembre 1859), sulle opere pubbliche (20 novembre 1859), sulle Opere pie (20 novembre 1859) e sull’amministrazione sanitaria (20 novembre 1859), si dà luogo invece a strutture governative monolitiche, in grado di assicurare al potere centrale il pieno controllo della vita locale, così da contenere anche le istanze municipalistiche e federalistiche e consolidare l’Unità.
Nelle relazioni annesse a tali leggi il richiamo costante era (già allora!) alla realtà dei paesi giudicati più “civili” d’Europa ed in particolare alla Francia. Le leggi di unificazione amministrativa del 1865, i cui temi essenziali sono ripresi nelle riforme crispine del 1889-90, passate alla storia come “seconda unificazione amministrativa”, determinano un periodo lungo, di quasi trent’anni, in cui si definiscono e si stabilizzano gli assetti istituzionali dell’Italia unita e le sue caratteristiche.
L’unificazione amministrativa operata sulla base delle leggi del 1859-1865 è criticata per non aver tenuto in nessun conto la legislazione e la fisionomia istituzionale non piemontese, prestandosi così ad incomprensione dei veri interessi nazionali. Qui si colloca il controverso tema della “Rivoluzione italiana”, termine utilizzabile come sinonimo del processo unitario, perseguito in realtà per tentare di trasporre nel nostro Paese i “principi immortali” del 1789.
Il vero presupposto dell’unità nazionale, piuttosto, dovrebbe essere identificato in quel fenomeno storico-sociale spesso misconosciuto della “Insorgenza”, manifestazione “vulcanica” della pre-esistenza di una nazione italiana al processo della sua “unità politica”.
L’Insorgenza, che rappresenta la risposta degli Italiani alla crisi prodotta dal cambiamento portato dalla prima esperienza di “modernità politica” fatta dai popoli della Penisola fra il 1796 e il 1815 segna infatti la prima vera manifestazione di un idem sentire degli italiani.
E’ il punto da cui (ri)partire per una valutazione serena del processo unitario: il fatto che già nel ‘triennio giacobino’ del 1796-1799 gli italiani reagissero in armi, in modo naturale e concorde, contro l’attacco alla loro bi-millenaria identità religiosa e a sostegno del Papa, non vuol dire che fossero meno italiani dei successivi artefici dei vari moti e spedizioni ‘patriottiche’ che, non fondandosi sulla ‘nazionalità spontanea’, non potevano certo fondare ‘naturalmente’ una reale unità fra i nostri avi.