Origini dell’indifferenza morale
di Augusto del Noce
Indifferenza che tende a concludere, come qualche autore ha osservato, nella perdita delle stesse nozioni del bene e del male? I pareri sono a questo proposito discordi; e lasciando ora da parte quelli dei professionali demolitori di tabù, cortigiani e profittatori della realtà presente, riferiamoci ad una opinione abbastanza diffusa tra quei cattolici che sono ottimisti rispetto alla “modernizzazione” come passaggio a un mondo maturo e maggiorenne.
Ragionano così: la Chiesa preconciliare non si era accorta della crescita dell’uomo; di conseguenza la morale che essa insegnava era repressiva della vitalità; in questo dobbiamo trovare i motivi della sua alleanza con i regimi che, in nome dell’autorità, “frenano”.
Non bisogna quindi meravigliarsi se nel momento del trapasso sui abbia, corrispondentemente ai torti della Chiesa verso l’età moderna, una crisi della sua morale, in cui gli aspetti negativi e positivi si bilanciano. Dove più si manifestava l’aspetto repressivo della morale cattolica, se non nelle questioni riguardanti il sesso?
E ancora negli anni del primo dopoguerra il tabù sessuale vigeva. E’ quindi naturale che l’incrinazione delle dighe si sia avuta soprattutto nel campo della morale sessuale. E, di conseguenza, che all’idea della famiglia, ordinata alla trasmissione dei valori, si sia sostituita quella della vita di coppia, di fatto finalizzata a una completa soddisfazione erotica.
Giustizia e volontà di pace
Ma d’altra parte, la sensibilità agli aspetti più autentici della moralità, fatta di slanci piuttosto che di divieti, sarebbe decisamente aumentata; e si enumerano i caratteri presenti nella gioventù di oggi in maggior grado che nelle generazioni passate, solidarietà, generosità, giustizia, volontà di pace, sensibilità alla fame nel mondo.
Si aggiunge che certi valori minacciati, come quelli della famiglia, saranno recuperati in una visione morale più aperta. Ovviamente, non posso qui occuparmi del rapporto tra morale e religione; se una morale autonoma dalla religione possa esistere, o se un pur inconsapevole fondamento religioso stia alla base della moralità.
Mi limito a porre la questione se tra il disordine morale di oggi e l’indifferenza religiosa di cui ho parlato nel precedente articolo non intercorra uno stretto vincolo; o se, anzi, l’indifferenza religiosa e l’indifferenza morale, nei caratteri che presentano oggi, non facciano tutt’uno; e ritorno qui su quella vittoria-sconfitta del marxismo di cui ho già parlato. Nell’Ottocento era avvenuta la grande lotta tra Mazzini e Marx: la critica marxiana verteva sull’idealismo etico di Mazzini, da Marx ironicamente chiamato “Teopompo”.
Oggi, dalla sensibilità laica sono pressoché scomparsi i termini sul cui fondamento il genovese conduceva la sua polemica contro il renano, e che in passato aveva ispirato tanta parte della gioventù italiana: ideale, sacrificio, missione. Vittoria, però, di cui il marxismo non ha fruito. Collocandosi nella stessa linea del suo pensiero, dovremmo dire che la sua opera di demistificazione è stata la condizione del passaggio da uno stadio a un altro dello spirito borghese: da quello cristiano-borghese (per usare un’espressione di cui ha fatto largo uso Karl Löwith, e che forse trova la sua esemplificazione più perfetta in Benedetto Croce) che nella sua espressione migliore tendeva alla conciliazione con la tradizione a quella che completamente rompe e che, a mio giudizio, anche collocandosi dal punto di vista marxiano, realizza il momento della sua forma compiuta.
Lo spirito borghese ha insomma compiutamente assorbito il marxismo, volgendolo a suo vantaggio ed eliminando il suo senso profetico, messianico e rivoluzionario. Penso che sia per questa via che si giunga alla migliore definizione della società consumista.
Il “credo” della nuova gioventù
E’ ben certo che bisogna guardarsi dai giudizi totali e che non deve venir trascurato il fatto che la minoranza religiosa vive oggi più intensamente che nel passato i dettami della fede; l’indebolimento quantitativo del cattolicesimo è però innegabile. Per quel che riguarda la maggioranza che ha subito l’influenza genericamente progressista o che fino a qualche anno fa amava definirsi tale – e non mi riferisco in modo particolare alla cultura comunista la cui crisi è parallela a quella cattolica – non è vero che l’abbandono di un comandamento che il cattolicesimo di Papa Wojtyla continua a ritenere come essenziale alla morale abbia fatto riscontro un affinamento di sensibilità per altri valori pratici.
Prendiamo, ad esempio, quella volontà di pace, che sembra il carattere più incontestabile della nuova gioventù, e che sarebbe tale da differenziarla dalle generazioni precedenti. Esiste davvero?Quale può essere infatti la più semplice definizione della volontà di pace? La coincidenza tra la volontà di non essere oppressi e quella di non opprimere.
E’ evidente, posto questo, che non è davvero segno di spirito di pacalo slogan che circolò in Germania qualche anno fa “meglio rossi che morti”; per cui la schiavitù volontaria sarebbe dunque preferibile alla morte. E evidente è altresì che lo spirito di non-violenza connaturato alla volontà di pace non ammette una distinzione tra violenza rivoluzionaria e violenza reazionaria né l’indifferenza verso chi della violenza rivoluzionaria è colpito. Si paragoni ora quel che si disse e si scrisse e si fece a proposito del Vietnam, e quel che fu fatto invece per l’Afghanistan.
Il milione e mezzo di morti, i quattro milioni di profughi, i mutilati dalle piccole bombe sovietiche, fanno solo minima notizia. Del Vietnam si è cessato di parlare da quando si è instaurato uno dei governi più duri e repressivi, ma nel segno della rivoluzione. La fame nel mondo? Ma quali sono gli aiuti che davvero arrivano a destinazione, quali sono i soccorsi che vengono dati ai missionari da parte di un Occidente che quanto a consumi alimentari non aveva mai raggiunto il livello presente?
Quel che non è stato osservato, e invece lo meritava, è la regressione che è avvenuta nel laicismo di oggi dallo spirito illuministico, allo spirito libertino, pur nella sovrabbondante produzione che si è avuta negli ultimi tempi su questa forma di pensiero. se si comparano le valutazioni morali oggi correnti con quelle del libertinismo del Seicento si è colpiti da un’analogia che rasenta l’identità. In questa regressione si ripercorrono a rovescio i secoli; l’illuminismo e libertinismo sono orientamenti di pensieri differenti perché, pur nella comune critica della tradizione, l’illuminismo mirava a mutare il senso razionale del mondo, mentre il libertinismo si trovava a suo agio nel clima della ragion di Stato.
Si suol distinguere un libertinismo erudito da un libertinismo di costumi, anche se se di fatto le due “liberazioni dai pregiudizi” tendano a confondersi. tesi prima del libertinismo erudito è la teoria “politica” della religione, pensata necessaria come freno del popolo ignorante e puntello dell’ordine, e ridotta a questa funzione; del libertinismo di costume l’illimitata libertà sessuale.
Ora, la teoria “politica” delle religioni, non ha oggi il suo preciso riscontro nella tesi che abbassa le concezioni della vita a ideologie di potere? E non c’è certo bisogno di insistere sul libertinismo di costume; piuttosto sull’unità dei due libertinismi in riviste su cui si forma la media cultura borghese italiana, o meglio, la sua cultura generale in un tempo in cui domina necessariamente quello specialismo, dal quale per definizione sono assenti i giudizi valutativi.
Quando si conclude un ciclo
Non voglio con ciò mettere da parte una differenza sensibile: l’antico libertinismo aristocratico si serviva della religione come scuola di rassegnazione. I detentori del potere tecnologico ed economico di oggi tendono a sostituire per il dominio del popolo il sistema di valutazioni libertino alla religione.
Si è visto nel passato articolo che l’indifferenza religiosa è la pienezza dell’ateismo e che oggi essa si sostituisce all’ateismo rivoluzionario; e già nel pensiero libertino prevaleva questa totale indifferenza. L’irreligione compie un ciclo e ritorna alla posizione originaria. E se pensiamo che questo rinnovato libertinismo è nel nostro secolo l’esito conclusivo di un processo che aveva avuto il suo inizio nel progetto di rivoluzione totale, dobbiamo dire che oggi è il tempo in cui la rivoluzione ritrova il suo etimo, da revolvere, giro di una cosa su se stessa, ritorno al punto originario. E qui il discorso si allungherebbe sul carattere ciclico, non rettilineo, come comunemente si pensa, della modernità.
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