La Nuova Bussola quotidiana 15 Luglio 2018
Presentato il disegno di legge Marin in Senato, per colmare il vuoto lasciato dalla legge Basaglia. La riforma, che compie 40 anni, infatti, ha chiuso gli ospedali psichiatrici e ha impedito la costruzione di nuovi, nel nome di un’utopia irrealizzata. Ora serve un luogo per “coloro che si sono spinti più in là nel viaggio”, perché possano tornare indietro.
di Andrea Bartelloni
Ci sono due anomalie da sanare nel campo dell’assistenza psichiatrica: l’assenza di strutture in grado di garantire una terapia prolungata nei casi di pazienti gravi, scarsamente consapevoli del loro stato di malattia e che non seguono le terapie e, altra anomalia tutta italiana, lo psichiatra ha sulle sue spalle tutta la responsabilità nei trattamenti obbligatori.
Il 3 luglio è stato presentato in una conferenza stampa al Senato il disegno di legge che cerca di sanare queste anomalie, prima firmataria la sen. Raffaella Marin. A quarant’anni dalla riforma che porta il nome dello psichiatra Franco Basaglia (1924-1980) è il momento di ripensare un percorso con molte ombre ben descritto nel volume Il bisogno di un luogo per la terapia, pubblicato dall’editrice La Vela di Viareggio (www.edizionilavela.it) e scritto dallo psichiatra Mario Di Fiorino, dall’avv. Francesco Ungaretti Dell’Immagine e dalla senatrice Raffaella Marin che è anche psicologa. Il volume è di supporto all’iniziativa legislativa e traccia la storia della psichiatria moderna fino alla fase demolitiva degli anni Sessanta/Settanta.
La legge che compie quarant’anni si caratterizza per la negazione di un luogo per la follia, per la impenetrabilità che ogni istituzione psichiatrica avrebbe di per sé ad un fine che non sia custodialistico. La radicalità della concezione di Basaglia emerge chiaramente, ad esempio, dal confronto con la posizione espressa da Ronald D. Laing (1927-1989), psichiatra scozzese col quale Basaglia ebbe una discussione verso la fine del 1972. Lo stesso Basaglia scrive che Laing riproponeva “… la costituzione di «asilo», che risponda – fuori da ogni burocrazia organizzativa e istituzionale – al bisogno di riparo, di protezione, di tutela di chi vive un’esperienza «diversa». Un luogo dove il diverso possa esprimersi senza limitazioni e dove si impari a convivere con esso”. La conclusione di Basaglia appare venata di pessimismo: “Auguriamo a lui che il suo «asilo» riesca a non diventare un’istituzione.”
In Italia l’attacco contro la disciplina psichiatrica e le sue istituzioni riesce ad ottenere il suo maggior successo, quando le idee e le lotte anti-istituzionali di Franco Basaglia raggiungono l’obiettivo di ispirare la legge di Riforma. L’Utopia antipsichiatrica va al potere e trasforma l’Italia in un grande “experimentum in corpore vivo”, come dichiarato dal prof. Giovanni Cassano all’Espresso nel 1985. Tutti gli Ospedali psichiatrici, nell’arco di alcuni anni, vengono chiusi e la legge impedisce anche l’edificazione di nuovi ospedali. “Non solo gli ospedali psichiatrici sono stati demonizzati e chiusi.
Non solo la legge 180 ha impedito ogni ricovero, anche per i pazienti più gravi, non solo ha vietato in futuro di costruire nuovi ospedali, ma la maledizione ha riguardato i luoghi stessi, in quanto si è impedito l’utilizzo degli edifici per altri fini assistenziali. Solo Cartagine, dopo la sua distruzione nella terza guerra punica, nel 146 a.C. conobbe provvedimenti così intrisi di odio e di rancore. Sulle rovine della città fenicia vennero tracciati solchi con l’aratro e fu sparso sale a terra, perché niente vi potesse rinascere”.
Nel drammatico deserto che si è formato, il disegno di legge per la riforma dell’assistenza psichiatrica “intende affermare maggiori garanzie per le persone che hanno bisogno di trattamenti non volontari, senza trascurare il loro diritto a ricevere i trattamenti appropriati e per il tempo necessario. Viene affrontato così il problema – si legge nell’introduzione al volume – della gestione a lungo termine del paziente psicotico “non responder” e o “non compliant”, con sintomi residui persistenti e con episodi recidivanti ad alta frequenza. La non considerazione medica dei problemi comportamentali soprattutto nei giovani, quando gli aspetti psicopatologici si intrecciano con le conseguenze dell’uso di sostanze, determina l’ingresso di persone affette da disturbi mentali nei percorsi giudiziari.
E’ necessaria una normativa che permetta di trattenere più a lungo i pazienti “non compliant” in strutture adeguate. Provvedimenti limitativi della libertà non possono che avvenire in strutture pubbliche. Le attuali residenze, protette o assistite, private o pubbliche, pur avendo raggiunto un numero di posti letto superiore a quello previsto, selezionano i pazienti e non riescono spesso a trattenere i malati non collaborativi. Il diritto del paziente alla cura appropriata e l’obbligo di non trascurare ogni strumento terapeutico di provata efficacia devono farci superare i vecchi pregiudizi, nati nei confronti dei vecchi ospedali, in epoche in cui non si disponeva di cure efficaci. La riforma psichiatrica è stata preceduta dalla critica dell’emarginazione e della custodia; oggi nel dibattito si torna a parlare della pericolosità, nel senso dell’esigenza di protezione sia del paziente che della comunità.
Il dovere di proteggere è compito dello psichiatra come oggi testimoniato dalla sensibilità della magistratura giudicante e del potere legislativo (Moncrieff, 2003). In questo contesto devono iscriversi i diritti del malato, sul versante sia del rispetto della dignità della sua persona, che del suo diritto alla cura e alla protezione. Osservando i corsi e i ricorsi della nostra storia recente vediamo che il pendolo, dopo aver compiuto la sua oscillazione verso il polo della difesa dei diritti di libertà di scelta e di autonomia, torna a riconsiderare, in chiave beneficiale, il polo del diritto all’accoglienza, alla protezione e al contenimento (Cassano e Di Fiorino, 2003).
Vanno contemperati i differenti diritti in gioco, il diritto alla libertà di cura ma anche alla protezione. Lo psichiatra ha il dovere di valutare concretamente il consenso di una persona affetta da un disturbo mentale, il grado di consapevolezza di malattia e la percezione che il paziente ha degli altri. L’Italia deve dotarsi, come ogni altro paese nel mondo, di strutture pubbliche per assolvere al dovere di cura dei pazienti più problematici”.
“C’è bisogno di un luogo in cui coloro che si sono spinti più in là nel viaggio e, di conseguenza, può darsi che siano più sperduti degli psichiatri e delle altre persone sane, possano trovare la via per proseguire oltre, nello spazio e nel tempo interiori, e per tornare indietro” (Ronald D. Laing, 1967)