Litterae Communionis Anno VI – Dicembre 1979
Assistenza e mutuo soccorso, azione caritativa verso i poveri, cura della sepoltura dei defunti, partecipazione alle manifestazioni religiose, sono tra le attività più frequentemente espletate da quei laici consociati per un ideale di santità
di Paola Cattaneo
Se per diverse cause la religione cristiana tende, dalla tarda antichità, a divenire sempre più una religione di «chierici» (fatto che, come nota Henri-Irénée Marrou, meglio si adatta a religione come il buddismo che alla intrinseca natura del fatto cristiano), ciò non significa affatto che nell’età medievale non esiste una religiosità diffusa a tutti i livelli e spesso anche profondamente radicata nel cuore di chi la praticava.
Di questa religiosità poche fonti ci parlano, specie per quanto concerne il comune fedele, la cui vita religiosa era generalmente inserita nel quadro parrocchiale; ci restano sì degli status animarum, dei registri, più raramente qualche traccia di visita pastorale, ma non sempre siamo di fronte a documenti molto eloquenti.
Possiamo presumere che il fedele del Medioevo si accontentasse per lo più della assiduità alla messa festiva, dell’adempimento all’obbligo della confessione e comunione una volta l’anno, dei sacramenti cosiddetti «stagionali» (che segnano cioè le stagioni della vita umana, come il battesimo, il matrimonio, l’estrema unzione), della recita di alcune preghiere tra le più semplici e comuni.
Esistevano certo dei fedeli più devoti, che a questi gesti minimali aggiungevano un maggior impegno: in quali forme esso si esprimeva? Generalmente il devoto si univa ad altri in associazioni di cui i documenti ci forniscono varie testimonianze. Il latino medievale designa tali forme con diversi termini (collegium, consortium, societas, gilda, schola, fraternitas, fratria, agape, caritas, confraternitas, ecc.), di cui alcuni ereditati dall’antichità attraverso l’esperienza associativa dei primi secoli della Chiesa.
Il Medioevo è ricco di istituzioni di tipo associativo: basta pensare alle ben note corporazioni di arti e mestieri. Tutte queste forme, nel contesto di una societas Christiana, avevano una valenza religiosa. Ogni associazione prevedeva nel suo statuto la celebrazione di una messa, l’adempimento di opere di misericordia, la scelta di un santo patrono, e via dicendo. Che cosa dunque distingue le associazioni le une dalle altre, se tutte hanno in sé, più o meno marcato, questo aspetto religioso?
Occorre accertare quale fosse la finalità primaria della istituzione in oggetto. Allorché essa si proponeva come suo scopo essenziale un fine prettamente spirituale (propter salutem animae) ci troviamo di fronte a quanto normalmente si definisce confraternita, o con maggior precisione confraternita di devozione, devota confraternita, pia confraternita laicale.
Quest’ultimo termine è importante perché, per quanto detto all’inizio, rivolgeremo la nostra attenzione soprattutto a quelle forme di vita associativa che testimoniano della pietà dei laici, tenendo presente il fatto che le confraternite laicali normalmente annoveravano tra i propri aderenti anche dei chierici, sia pur in numero limitato.
Notiamo che esistevano anche delle associazioni spirituali che non si possono definire confraternite nel senso proprio del termine, in quanto non presentavano quei caratteri di organicità e di vera vita associativa che contraddistinguono la confraternita di devozione.
Si può trattare ad esempio di associazioni di preghiera, facenti capo ad un luogo di culto privilegiato e particolarmente in auge, come un monastero rinomato od un santuario. In esse, il laico si associava ai chierici del luogo, assicurandosi preghiere ed indulgenze, in cambio di un contributo, una donazione, e così via. Ciò comportava talora un pellegrinaggio al luogo di culto; ma non vi era tra gli aderenti alcun rapporto organico.
Alla vita della confraternita pia è invece del tutto necessaria la organicità: tutti i suoi membri abitano per lo più nello stesso luogo, hanno dei momenti comuni che devono servire alla reciproca edificazione (messe, adunanze di preghiera, ecc.), si danno uno statuto e nominano tra gli aderenti degli «ufficiali» per l’adempimento di diversi compiti.
A proposito degli statuti, si deve notare che quelli a noi pervenuti sono spesso molto più tardi della erezione della confraternita in questione: all’inizio si aveva sovente soltanto un atto formale di erezione, con l’elencazione degli scopi e degli obblighi fatta in modo molto sommario, ed una «matricola», cioè un elenco dei soci fondatori.
Tra le attività più frequentemente espletate dai membri di una confraternita si possono ricordare l’assistenza ed il mutuo soccorso tra gli aderenti, l’attività caritativa nei confronti dei poveri e dei deboli, la cura per la sepoltura dei defunti, l’attenzione dedicata alla manutenzione ed alla cura dei luoghi di culto, la partecipazione collettiva a manifestazioni religiose come processioni ecc.
Il convito festivo
Momento comune previsto in tutte le pie confraternite era l’adunanza annua nel giorno del santo patrono. In occasione di tale festa i membri della confraternita si riunivano per la celebrazione eucaristica cui generalmente seguiva un convito fraterno (non sempre esente da eccessi, tanto che molte disposizioni conciliari prendono in considerazione questo aspetto per cercare di evitarne le degenerazioni).
Per il resto, la frequenza delle assemblee poteva variare notevolmente, da un minimo di 1-2 volte l’anno, all’adunanza mensile, a quella settimanale di preghiera. L’adunanza mensile si teneva spesso la prima domenica del mese, o il primo giorno del mese: questa usanza derivava dall’antichità, allorché si festeggiava la nuova luna all’inizio di ogni mese, come presagio di prosperità.
Essa era presente anche nel mondo ebraico: «Così anche nei vostri giorni di gioia, nelle vostre solennità e al principio dei vostri mesi, suonerete le trombe quando offrirete olocausti e sacrifìci di comunione; esse vi ricorderanno davanti al vostro Dio» (Numeri 10,10; cf. Numeri 28,11 ss).
Nonostante l’intervento delle autorità e in particolare dei concili contro il persistere di tale usanza nel mondo cristiano, essa aveva conosciuto una notevole ripresa soprattutto nell’età carolingia, per il fatto che era presente nelle tradizioni di molte tribù germaniche ormai convertite al cristianesimo ma ancora attaccate ai propri usi, cui si tendeva a conferire un significato cristiano senza cancellarli totalmente.
Come le norme e gli statuti, che sono l’indice di una vita, così anche le vicende delle confraternite possono variare in modo anche considerevole. Dato il lungo arco di secoli da esse percorso, si deve tener conto del fatto che variano le mentalità, la vita sociale, le forme stesse di devozione.
Alcune confraternite rimangono fisse e stabili agli intenti e alle forme originarie, e ciò comporta col tempo la loro estinzione; altre senza mutare la propria sostanza vi apportano però degli importanti cambiamenti (non consideriamo come tali le variazioni degli statuti puramente formali, con rilevanza cioè solo a livello tecnico e non religioso); altre ancora si adattano integralmente ai tempi nuovi mutando anche la propria sostanza, ad esempio lo scopo con cui erano sorte.
Questi mutamenti, più evidenti a partire dalla seconda metà del XV secolo, costituiscono una interessante testimonianza sul periodo della riforma della Chiesa, e particolarmente sull’azione dei fedeli e sul ruolo della loro spiritualità in questo importante periodo storico.