25 Marzo 2020
L’Unhcr ha lanciato una raccolta di fondi in favore degli abitanti del Sudan del Sud e chiede 1,3 miliardi di dollari. Il 17 marzo era stata la volta del Burgundi. L’Unhcr per il 2020 ha presentato un preventivo di 8,6 miliardi di dollari, ma l’87% dei fondi di cui dispone provengono ogni anno da Stati Uniti, Unione Europea e paesi europei. Dalla Turchia solo 300mila dollari mentre la Cina non compare nemmeno negli elenchi.
di Anna Bono
L’Alto commissariato Onu per i rifugiati, Unhcr, il 15 marzo ha lanciato, insieme ai suoi partner, una raccolta di fondi in favore degli abitanti del Sudan del Sud rifugiati, in fuga dal conflitto per il controllo del paese scatenato nel 2013 ai vertici politici dalle etnie più potenti – Nuer e Dinka – e quasi subito degenerato in massacri etnici. Sono circa 2,2 milioni, per l’83% donne e minorenni, concentrati nei paesi confinanti: Uganda, Sudan, Kenya, Etiopia, Repubblica democratica del Congo e Repubblica Centrafricana.
Ad aggravare la loro situazione, i primi quattro paesi sono alle prese con la più grande invasione di locuste degli ultimi decenni, un vero flagello che sta distruggendo raccolti e pascoli, mentre il Congo e la Repubblica Centrafricana sono a loro volta teatro di conflitti armati: circoscritti all’est del paese nel primo caso, ma in corso da 26 anni, estesi a tre quarti del territorio nazionale nel secondo, dove la crisi ha avuto inizio nel 2012. Tutti, inoltre, hanno registrato i primi casi di COVID-19.
L’Unhcr chiede alla comunità internazionale 1,3 miliardi di dollari per assistere i rifugiati sud sudanesi nel 2020. Servono con particolare urgenza per fornire assistenza di base e servizi salvavita, aver cura di 65.000 minori non accompagnati, separati dalle famiglie, proteggere donne e bambini da violenze sessuali, garantire l’accesso all’acqua potabile, migliorare i servizi scolastici e le attività formative grazie alle quali un maggior numero di sfollati possano provvedere al proprio sostentamento e a quello delle loro famiglie.
Il 17 marzo la stessa agenzia delle Nazioni Unite ha lanciato un altro appello, questa volta in favore dei cittadini del Burundi rifugiati nei paesi limitrofi: Uganda, Rwanda, Tanzania e Repubblica democratica del Congo. Quest’anno per assisterli servono 290 milioni di dollari. La crisi politica che li ha spinti a cercare asilo all’estero è incominciata nel 2016 quando l’attuale presidente Pierre Nkurunziza ha violato la costituzione imponendo una sua terza candidatura alla carica presidenziale e scatenando proteste popolari represse duramente.
Anche in questo caso, lo scontro politico ha connotazioni etniche: gli Hutu controllano l’apparato statale, i Tutsi reclamano più cariche e potere. Dei richiedenti asilo continuano a presentarsi alle frontiere perchè si temono nuovi scontri all’approssimarsi delle prossime elezioni politiche in agenda a maggio. Circa 367.000 burundesi rifugiati hanno bisogno di alloggio, vitto, servizi sanitari e scolastici.
Altre richieste di fondi sono state avanzate dall’inizio del 2020 e altre arriveranno. I rifugiati nel mondo sono circa 20 milioni, stando all’ultimo rapporto dell’Unhcr, e 40 milioni sono i profughi interni, anch’essi sotto mandato dell’Alto commissariato.
L’Unhcr mentre chiede aiuto per il Burundi si premura, come fa quasi sempre, di ringraziare i governi che accettano di ospitare i profughi, di portarli a esempio di accoglienza sottolineando che sono i paesi più poveri a dimostrarsi più generosi. L’alto commissario per i rifugiati Filippo Grandi non perde occasione per ribadirlo e nessuno lo corregge anche se tutti sanno che quei governi accettano i rifugiati solo perché l’Unhcr se ne fa carico, mettendo a disposizione risorse finanziarie in funzione del numero delle persone ospitate.
Piuttosto non si contano le frodi messe in atto, la più semplice e comune delle quali è dichiarare un numero più elevato di rifugiati per ricevere più contributi. Clamoroso è stato il caso dell’Uganda, eletta dall’Unhcr miglior paese in cui chiedere asilo solo per scoprire carichi di generi di prima necessità mai consegnati, migliaia di profughi inesistenti.
Uno degli scandali più recenti riguarda lo Yemen, in guerra dal 2015 e con milioni di persone in condizioni di estream difficoltà. Nel 2019 ha ricevuto aiuti per 3 miliardi di dollari. Ma le frodi, e in aggiunta gli ostacoli posti agli interventi umanitari, sono tali da aver indotto i paesi donatori a minacciare di sospendere o almeno ridurre i finanziamenti se le operazioni di soccorso non saranno gestite e controllate meglio. “Così la situazione è insostenibile” hanno concluso i donors e le Nazioni Unite durante un incontro a Bruxelles all’inizio di febbraio.
L’Unhcr per il 2020 ha presentato un preventivo di 8,6 miliardi di dollari. L’87% dei fondi di cui dispone provengono ogni anno da Stati Uniti, Unione Europea e paesi europei. In questi giorni, mentre il governo cinese si ammanta dell’inedito ruolo di benefattore, è il caso di ricordare che la Cina non compare mai nell’elenco dei principali donatori internazionali grazie ai quali le agenzie Onu, non solo l’Unhcr, dispongono dei fondi necessari a far fronte a necessità ordinarie ed emergenze.
Nel dettagliato rapporto sui fondi percepiti alla data del 30 settembre 2019 dall’Unhcr, l’elenco in ordine decrescente dei donatori vede il governo cinese 44° con un contributo di 1,8 milioni di dollari (in 32esima posizione dei donatori privati cinesi per un totale di 8,6 milioni). Per un confronto, l’Italia è 18esima con quasi 28 milioni di dollari. In testa si trovano gli Stati Uniti che hanno donato 1,6 miliardi, seguiti dall’Unione Europea con 478 milioni di dollari, dalla Germania con 198, dalla Svezia con quasi 138.
Un esame attento dell’elenco dei donatori riserva sorprese. La Turchia, ad esempio, è 67esima. Ha versato all’Unhcr solo 300.000 dollari, più 18 offerti da un donatore privato. Al 79° posto c’è l’Unione Africana, con un contributo di 100.000 dollari e questo mentre i paesi che la compongano “producono” milioni di profughi interni e rifugiati.