Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuan – Newsletter n.486 del 18 marzo 2014
Stefano Fontana
(in english too)
Parrocchia San Pietro Apostolo
Verona 11 marzo 2014
Cosa sono
Spesso si parla di “valori” non negoziabili anziché di “principi” non negoziabili, ma si tratta di un errore di impostazione.
Principio vuol dire fondamento e criterio. Il principio è l’elemento che regge e illumina un certo ambito. Il principio tiene insieme le cose e le indirizza, le orienta al loro fine. Ne consegue che il principio non può essere un elemento della serie, nemmeno il primo. Essere un principio non vuol dire stare cronologicamente all’inizio, come il primo gennaio sta al principio dell’anno. Il principio ha un primato: viene prima, ove l’avverbio prima non è solo temporale.
Cos’è, invece, un valore? Una cosa ha valore quando è apprezzabile. Ora, la vita o la famiglia o la libertà di educazione – per citare qui i principali tra i principi non negoziabili – sono certamente dei valori, sono degni di apprezzamento e di promozione. Come tanti altri aspetti della vita umana e sociale, del resto. Come l’arte, la solidarietà, la conoscenza, la salute, la buona cucina.
Come si vede essere un valore non vuol dire anche essere un principio. La casa in proprietà è un valore ma non è un principio ordinatore della vita sociale. Ciò non toglie che un valore possa essere anche un principio. La vita umana, per esempio, è un valore ma è anche un principio, in quanto è in grado di illuminare con la sua luce l’intera vita sociale e politica. Se si offusca il rispetto della vita non si offusca solo un valore, ma anche altri valori ed altri aspetti della vita che quel principio illumina.
Il bene comune non è un insieme di valori aventi tutti lo stesso peso, ma è un insieme ordinato. Per essere ordinato vuol dire che qualche valore ha una funzione arichitettonica, ossia indica i fondamenti del bene comune e, così facendo, illumina di senso anche tutti gli altri. Senza un criterio non c’è bene comune ma somma di beni particolari e questo criterio ci proviene dai principi non negoziabili.
Abbiamo allora stabilito cosa voglia dire la parola principio. Vediamo adesso cosa voglia dire l’espressione “non negoziabile”. Se si tratta di principi, ossia se sono qualcosa che viene prima e che fonda, essi non dipendono da quanto viene dopo ed hanno valore di assolutezza, non sono disponibili. Non sono negoziabili perché assoluti e sono assoluti perché sono dei principi. Se fossero relativi non potrebbero essere principi, non starebbero prima, sarebbero uno dei tanti elementi della serie.
O si nega l’esistenza di principi, oppure se si ammette la loro esistenza essi devono essere assoluti ossia non negoziabili. Tale valore di assolutezza risulta anche dall’esperienza della loro mancanza. Quando manca il riferimento ad essi una società perde la bussola e subisce una involuzione. Questo vuol dire che non sono essi ad essere relativi alla società ma è la società ad essere relativa ad essi. Ecco quindi il motivo ultimo del perché non possono essere negoziabili: perché non sono stati negoziati.
Se una cosa viene negoziata, allora vuol dire che è negoziabile e può in seguito essere rinegoziata. Ma un principio non può essere rinegoziato perché non era mai stato negoziato prima, in quanto non negoziabile. Altrimenti che principio sarebbe? In una società senza principi non negoziabili tutto è negoziabile, compresa la negoziabilità.
I principi non negoziabili, quindi, sono tali in quanto precedono la società. E da dove derivano? Essi sono non negoziabili perché radicati nella natura umana. Proprio perché fanno tutt’uno con la natura umana, non possono essere presi a certe dosi, un po’ sì e un po’ no: o si prendono o si lasciano. Questa è vita umana o non lo è. Questa è famiglia o non lo è. I principi non negoziabili demarcano l’umano dal non umano e quindi sono il criterio per una convivenza umana.
Da un altro punto di vista, però, essi non sono propriamente dei principi primi, perché non sono capaci di fondarsi da soli. Come abbiamo visto, essi si basano sulla natura umana, ma la natura umana su cosa si fonda? I principi non negoziabili esprimono un ordine che rimanda al Creatore.
Se non esistono principi non negoziabili la ragione non trova un ordine che rinvia al Creatore. Essa non incontra più la fede e la fede non incontra più la ragione. Ciò significa l’espulsione della religione dall’ambito pubblico. La vita sociale e politica sarebbe solo il regno del relativo. Cosa ci starebbe a fare la fede in un simile contesto? Dio si sarebbe scomodato a parlarci per aggiungere la sua opinione alle nostre?
Quali sono
Precisare quali sono i principi non negoziabili è di fondamentale importanza. I testi fondamentali del magistero sono tre.
Al paragrafo 4 della Nota dottrinale su alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica Congregazione per la Dottrina della Fede (24 novembre 2002) sono indicati i seguenti principi non negoziabili: vita, famiglia, libertà di educazione, tutela sociale dei minori, libertà religiosa, economia a servizio della persona, pace.
Nell’Esortazione apostolica post sinodale Sacramentum caritatis sull’Eucaristia del 22 febbraio 2007 (par. 83), Benedetto XVI cita vita, famiglia e libertà di educazione a cui aggiunge il bene comune.
Nel Discorso ai Partecipanti al Convegno del Partito Popolare Europeo del 30 marzo 2006, Benedetto XVI elenca vita, famiglia e libertà di educazione.
Entriamo nel merito di questi elenchi. La prima cosa da osservare è che tre principi sono sempre presenti e sempre collocati all’inizio di ogni elenco, in posizione quindi eminente; vita, famiglia e libertà di educazione.
Questo indica che quei tre principi hanno un carattere fondativo: nessun altro dei principi successivi può essere né adeguatamente compreso né efficacemente perseguito senza di essi. E’ possibile, per esempio, garantire la tutela sociale dei minori se ai minori si impedisce di nascere? E’ possibile farlo impedendo loro di godere di una famiglia unita e stabile? E’ possibile ottenere questo risultato esautorando la famiglia del suo diritto-dovere di educare i figli? Se rimane sana la famiglia, alla lunga anche le varie forme di disagio sociale dei minori trovano soluzione.
Secondariamente indica che quei tre principi ci pongono davanti a degli assoluti morali, ossia ad azioni che non si devono mai fare in nessuna circostanza. Per gli altri principi elencati nella Nota del 2002 non è così. Per esempio, essa annoverava tra i principi non negoziabili anche una “economia a servizio della persona”. Non c’è dubbio che la lotta alla disoccupazione sia un elemento importante del bene comune. Tuttavia, per perseguire la piena occupazione le strade possono essere diverse.
Nel caso, invece, dei tre principi di cui ci stiamo occupando, non ci sono strade diverse. Anzi, in quei casi di strade non ce ne sono proprio. La differenza dipende dal fatto che la frase “non uccidere” e la frase “sviluppa l’occupazione” sono molto diverse quanto a cogenza morale. La prima impone un assoluto morale negativo, qualcosa quindi che non si deve mai fare, la seconda propone un precetto morale positivo, indica cosa si deve fare.
Ora, mentre il male assoluto non si deve mai fare, il bene può essere fatto in molti modi. La coscienza, assieme alla virtù della prudenza, non viene esercitata nel caso dei precetti morali negativi – sacrificare due embrioni umani invece che tre non è un male morale minore; abortire una volta anziché due non è un male morale minore – mentre può esercitarsi nei casi di quelli positivi.
Molti accettano queste mie considerazioni per i primi due principi – la vita e la famiglia – ma non l’accettano per il terzo: la libertà di educazione. La libertà di educazione è fondamentale in quanto pone o toglie la possibilità che l’anima del bambino sia iniziata alla verità piuttosto che all’errore, al bene piuttosto che al male, a Dio piuttosto che al Principe delle tenebre. Il problema è quello della educazione e del suo ruolo decisivo nella nostra vita. Se è possibile educare allora tutto è rimediabile, ma se alle famiglie e alla Chiesa viene tolta la possibilità di educare è la fine per tutti e per tutto.
C’è solo un altro principio tra quelli elencati nella Nota del 2002 che potrebbe contendere il “primato” a questi tre: il principio della libertà di religione. Esso nasce dal dovere di cercare la verità fino alla radice, ossia fino a misurarsi con Dio. Però il diritto alla libertà religiosa non è assoluto, in quanto vale solo dentro il rispetto della legge di natura, il cui rispetto è fondamentale per il bene comune. Professare e praticare una religione che contenga elementi contrari alla legge naturale non può essere un diritto né avrebbe titolo morale per un riconoscimento pubblico.
Da queste considerazione si deriva che tra i primi tre principi elencati e gli altri c’è una differenza. Se mancano i primi tre, tutto l’elenco viene meno, mentre se ci fossero solo i primi tre, ci sarebbe già il nucleo portante di tutto il discorso. Ed infatti capita spesso, come abbiamo visto, che il magistero elenchi solo i primi tre, ma non capita mai che ne elenchi altri senza questi tre.
Equivoci sui principi non negoziabili
Molti cattolici criticano o perfino irridono i principi non negoziabili, considerandoli un impedimento al dialogo. Altri fanno notare che il dialogo per essere significativo ha bisogno di limiti, dati appunto da questi principi. Ne nascono molti equivoci.
Su un primo equivoco, ossia intenderli come valori e non come principi, ho già detto. Esso comporta per esempio il classico errore di valutazione: se un partito propone l’aborto e lotte efficaci alla povertà mentre un altro partito è contro l’aborto ma ha misure meno efficaci contro la povertà io posso decidere liberamente per ambedue perché si tratta solo di valori.
Un altro degli equivoci più frequenti è pensare che i principi non negoziabili comporterebbero la rinuncia da parte dei cattolici ad un pensiero politico completo in luogo della richiesta di garanzie su singoli temi specifici. I principi non negoziabili non sono singoli temi ma principi e quindi riferirsi ad essi comporta sempre l’accettazione di una prospettiva, che si ripercuote inevitabilmente anche su altri punti. In certe fasi storiche si è costretti ad attestarsi maggiormente sui singoli principi, perché le minacce sono incombenti. Ma questo non vuol dire che se ne dimentichi il valore illuminante per l’intero programma sociale e politico.
Un terzo equivoco consiste nel considerare i principi non negoziabili come contrari all’essenza della democrazia. Questa sarebbe il sistema che ha al centro la persona umana, ma siccome la persona è continuamente da approfondire nel dialogo e non si arriverà mai al punto finale, serve il confronto politico e serve anche affidarsi in conclusione alla legge della maggioranza.
Che una realtà debba essere continuamente approfondita secondo il principio di coerenza è vero, ma questo non vuol dire che non si possa conoscere niente di certo e definitivo su di essa, talmente certo e definitivo da doverlo porre al riparo anche dalla legge della maggioranza. I principi non negoziabili non pretendono di dirci tutto su una società umana ma di dirci gli aspetti senza dei quali non è società umana. Se la panoramica completa dell’uomo non ci è data – almeno quaggiù -, questi ci sono dati in tutta la loro chiarezza e cogenza.
Un quarto equivoco riguarda i mezzi e i fini. Si dice che la politica riguarda i mezzi e non i fini. Infatti, si sostiene, esistono diversi partiti politici perché i cittadini possano prudentemente adoperare l’uno o l’altro partito per realizzare i loro fini. Questo giustificherebbe la presenza dei cattolici in tutti i partiti. Cittadini che hanno fini uguali si dividono poi nella scelta del partito che, come un mezzo, può realizzare meglio i fini. Di solito si tira in campo la virtù della prudenza con la quale la coscienza morale cala nella situazione concreta i principi morali generali, insomma sceglie i mezzi più idonei per realizzare i fini.
La prima cosa da dire è che la politica riguarda anche i fini e non solo i mezzi. La seconda cosa da dire è che i mezzi sono ordinati al fine, quindi non possono contraddirlo. La prudenza applicata ai mezzi cattivi diventa imprudenza. Se per conseguire il fine della difesa della vita io mi affido al mezzo di un partito che promuove l’aborto non ho esercitato la prudenza, ma sono stato imprudente. La scelta del partito ha a che fare con i fini, dato che la politica riguarda anche i fini, ed ha poi a che fare con la scelta dei mezzi, che devono però essere buoni, ossia congrui rispetto al fine. Questo discorso sta alla base del fatto che se si accettano i principi non negoziabili non si può aderire indifferentemente a tutti i partiti, perché alcuni di essi sono connessi con altri fini contrari e altri di essi sono dei mezzi inadatti al fine.
Un ultimo frequente equivoco è di ritenere che ammettere i principi non negoziabili significhi negare la laicità della politica, facendola dipendere da principi confessionali. I principi non negoziabili sono dei principi ragionevoli che possono essere riconosciuti da tutti gli uomini. La stranezza non sta nel fatto che siano riconosciuti, ma semmai nel fatto che siano negati. Quindi appartengono al campo della laicità, se per laicità intendiamo l’ambito della ralgione pubblica, la quale stabilisce i principi e i fini del vivere comunitario. Se, invece, per laicità si intende l’assenza di qualsiasi verità assoluta, anche di tipo razionale, allora non si tratta di vera laicità, ma di una nuova religione dell’individuo assoluto e dei suoi desideri.
Dipendendo dai principi non negoziabili, quindi, la politica non dipende da principi confessionali, ma semplicemente dal “senso” di se stessa.
Principi non negoziabili ed obiezione di coscienza
Poiché la politica assume sempre di più l’arroganza di contrastare i principi non negoziabili l’obiezione di coscienza oggi è sempre di più un problema politico e non solo morale.
Fanno obiezione di coscienza i farmacisti, che non vogliono vendere la pillola del giorno dopo in quanto ha effetti abortivi, le ostetriche e i medici che non vogliono collaborare nel praticare aborti, anche se la legge lo permette, gli impiegati comunali, che non vogliono registrare le coppie omosessuali negli appositi registri pubblici o che non vogliono celebrare pubblicamente matrimoni che tali non sono, molti insegnanti che non vogliono piegarsi all’ideologia del gender, i genitori, quando decidono di non far partecipare i propri figli a distruttivi corsi scolastici di educazione sessuale, i lavoratori che non rinunciano al loro diritto di esibire un segno religioso quando sono in servizio, mentre l’amministrazione da cui dipendono lo vieta, le infermiere, quando reagiscono al divieto dell’amministrazione sanitaria di confortare religiosamente i morenti, invitano all’obiezione di coscienza in Vescovi americani contro la riforma sanitaria di Obama, fanno obiezione di coscienza gli operatori del consultori della Toscana dove adesso dovranno anche somministrare la pillola abortiva. Ci sono persone che perdono il posto di lavoro per la fedeltà ai principi non negoziabili.
Perché avviene questo? Perché ci sono dei principi non negoziabili, davanti ai quali la nostra coscienza, come quella di Socrate o di Antigone, trova la forza di dire un no assoluto. Ora, mi chiedo, perché questo non dovrebbe valere in politica? Perché in politica si dovrebbe comunque arrivare ad un compromesso? E a questo compromesso in politica si dovrebbe anche dimostrare rispetto e deferenza, lodando la persona che è scesa a mediazione come un esempio di saggezza, prudenza e perfino coraggio?
La cosa è ancora più evidente se la si esamina dal punto di vista della testimonianza. Quante volte si dice che il cattolico è in politica per dare una testimonianza. Però, se non esiste la possibilità del sacrificio, se non c’è mai nessun “no” da dire a costo di perdere qualcosa, la testimonianza come si misura? E’ facile impegnarsi in politica applauditi e ben retribuiti. E non è sufficiente non commettere illeciti o immoralità. Bisogna anche essere disposti a pagare davanti a dei principi che la nostra coscienza ritiene non negoziabili. A Socrate il suo amico Critone aveva proposto la fuga, ma Socrate ha risposto di no.
Politicamente parlando, il principale sacrificio per un uomo politico sono le dimissioni. Bisogna riconoscere che sono rarissimi i politici che pur di non dare il loro assenso ad una legge contraria alla legge morale naturale si siano dimessi dal loro incarico. Nella memoria collettiva è pure ancora presente l’autosospensione temporanea del re del Belgio Baldovino, che non volle apporre la propria firma sotto la legge sull’aborto, in ciò non seguito nei giorni scorsi da suo nipote Filippo a proposito della legge sull’eutanasia dei bambini.
Il vero uomo politico è colui che sa anche rinunciare alla politica. Si è uomini prima e dopo la politica. E’ questo che dà senso alla politica stessa. Se tengo aperto il campo della mia umanità tramite una fedeltà alla retta coscienza che giudica la stessa politica, faccio respirare anche la politica. Molti dicono: non si deve abbandonare il campo (per esempio con le dimissioni) perché in questo modo lo si lascia agli altri e si recede dalla doverosa lotta politica. Ma la politica la si può fare in tanti modi e in tanti luoghi. Senza contare che, anche un eventuale atto di dimissioni per motivi di coscienza sarebbe già un atto politico, denso di possibili conseguenze politiche imprevedibili in quel momento. Del resto, un vero leader politico è uno che sa dire anche di no. Lo sa dire agli altri perché lo sa dire a se stesso. Chi non sa dirlo a se stesso non ha diritto di dirlo agli altri.
E’ evidente che l’obiezione di coscienza in politica è possibile se in politica si danno principi non negoziabili. Si cerca in tutti i modi di eliminare la libertà di coscienza per eliminare i principi non negoziabili e si cerca di eliminare i principi non negoziabili per eliminare la libertà di coscienza. L’esistenza dei principi non negoziabili rende libera la nostra coscienza.
Quando un uomo politico fa obiezione di coscienza in quanto uomo politico, il fatto ha valore politico e non solo personale. Ammettiamo che gli uomini di Stato e di governo che hanno sottoscritto nel 1978 la legge 194 sull’aborto in Italia avessero fatto obiezione di coscienza e si fossero dimessi dalla loro carica. Sarebbe stato un atto politico di primaria importanza, un atto che avrebbe continuato a fare politica nei secoli.
Questo perché avrebbe significato la denuncia di un ordine sociale che si stava costruendo come disordine. Non si sarebbe trattato di una semplice fedeltà ad una opinione personale, né ad una semplice, anche se importante, convinzione di coscienza, ma il tutto si sarebbe riferito ad un ordine sociale legittimo e ad uno illegittimo. Inevitabilmente il discorso si sarebbe dislocato sul prima, su quanto precede e fonda la comunità e su quanto merita riconoscimento pubblico e quanto no. Chi può negare con assoluta certezza che un atto del genere non avrebbe cambiato la storia politica del nostro Paese?
Ecco perché oggi c’è la necessità di insistere sui principi non negoziabili in ordine alla obiezione di coscienza in campo politico. Da essa dipende il collegamento della politica con il prima che la precede e la fonda.
In questo modo la politica è costretta a fare i conti con la modernità. Questa, infatti, ha annullato il “prima” e ha preteso di cominciare da zero, nella forma del contratto sociale. E’ stato giustamente osservato che il primo moderno è stato Guglielmo di Occam, secondo il quale dietro all’ordine delle cose e dietro all’ordine morale non c’era un disegno ma l’arbitraria volontà divina. Su questa piazza pulita la politica moderna di Hobbes o Rousseau costruì il convenzionalismo del contratto sociale. Se si eliminano i principi non negoziabili finisce il “prima” della politica e la visione moderna avrebbe irrimediabilmente vinto senza possibilità di alcun riscatto. La consegna al contratto sociale sarebbe definitiva.
Però della modernità fa parte anche Tommaso Moro, che Giovanni Paolo II ha proclamato Protettore dei politici. E Tommaso Moro fece obiezione di coscienza, ben sapendo che in quel modo egli esercitava un supremo atto politico, denso di conseguenze politiche nei secoli. Il suo atto, infatti, divenne simbolo dell’indipendenza della legge morale sul potere e alimentò le lotte per la difesa della libertà di coscienza lungo la storia moderna.
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Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuan – Newsletter n.486 del 18 marzo 2014
The non negotiable Principles: why they still demand attention.
Stefano Fontana
Parish of St. Peter Apostle
Verona 11 March 2014
What they are
Often spoken about are non negotiable “values” instead of non negotiable “principles”, but this is an error of approach.
Principle means foundation and criterion. The principle is the element that supports and enlightens a certain ambit. The principle holds things together, directing and orienting them to their end. It therefore follows that the principle cannot be one element in the series, not even the first one. Being a principle means being chronologically at the beginning, just as 1 January is the first day of the new year. The principle enjoys primacy: it comes before, and in this case the adverb ‘before’ is not temporal alone.
On the other hand, what is a value? Something has value when it is commendable, significant. Now, life, the family or freedom of education – just to mention the main non negotiable principles – certainly are values; worthy are they of recognition and promotion. And this just like many other aspects of human and social life, such as art, solidarity, knowledge, health, good food, etc.
As we can see, being a value does not also mean being a principle. Home ownership is a value, but it isn’t a regulative principle of social life. This does not take away from the fact that a value may also be a principle. Human life, for example, is a value, but it is also a principle insofar as able to bring its light to bear on social and political life at large. When the respect for life is obfuscated, obscured is not only one value, but also other values and other aspects of the life illuminated by that principle.
The common good is not a cluster of values of equal weight, but rather ordered cluster. Being ordered means that some value has an architectural function in the sense of indicating the foundations of the common good, and, in so doing, illuminating with sense all the others as well. Without a criterion there is no common good, but rather a sum of individual goods, and this criterion comes to us from the non negotiable principles.
We have therefore established what the word ‘principle’ means. Now let’s take a took at what ‘non negotiable’ means. If it is a question of principles in the sense of what comes first and is foundational, they do not depend on what comes afterwards and have the value of absoluteness and are not disposable. They are non negotiable because they are absolute and are absolute because they are principles. If they were relative they could not be principles, would not come first, and would be one of many elements in a series. Either we deny the existence of principles, or, if we admit their existence, they must be absolute, that is to say non negotiable. This value of absoluteness also becomes evident when we experience their absence. When lacking is any reference to them a society loses its bearings and undergoes an involution. This means society is relative to them, and not they to society. And here is the ultimate reason why they cannot be negotiable; because they weren’t negotiated. If something has been negotiated it means it is negotiable and can be renegotiated at a later stage. But a principle cannot be renegotiated because it had never been negotiated beforehand insofar as non negotiable. Otherwise what principle would it be? In a society without non negotiable principles everything is open to negotiation, including negotiability in itself.
Non negotiable principles, therefore, are such insofar as they precede society. And where do they come from? They are non negotiable because they are rooted in human nature. Precisely because they are part and parcel of human nature they cannot be taken in doses: a little bit, yes; that other bit, no. It is a question of taking them or leaving them. This is family or it isn’t. The non negotiable principles demarcate human from non human, and are hence the criterion for human life in common.
From another point of view, however, there are not really prime principles because they are not able to be their own foundation . As we have seen, they are based on human nature, but what is human nature founded upon? The non negotiable principles express an order referring to and evoking the Creator.
If non negotiable principles do not exist, reason finds no order evoking the Creator. It no longer encounters faith, and faith no longer encounters reason. This means the expulsion of religion from the public sphere. Social and political life would only be the reign of relativeness. What would faith be there to do in such a context? Would God have gone out of His way to speak to us in order to add His opinion to ours.
Which ones they are
Specifying which are the non negotiable principles is of fundamental importance. In this regard, three are the basic texts of the Magisterium.
Indicated in paragraph 4 of the Doctrinal Note on some questions regarding the commitment and behavior of Catholics in political life (Congregation for the Doctrine of the Faith, 24 November 2002) are the following non negotiable principles: life, family, freedom of education, social protection of minors, freedom of religion, economy at the service of the individual, and peace.
In the Post Synodal Apostolic Exhortation Sacramentum caritatis on the Eucharist dated 22 February 2007 (para. 83) Benedict XVI cites life, family and freedom of education, to which he adds the common good.
In an address to the participants at the Conference of the European People’s Party on 30 March 2006, Benedict XVI lists life, family and freedom of education.
Let us now delve deeper into these lists. The first thing worthy of attention is that three principles are always present at the beginning of each list and hence situated in an eminent position: life, family and freedom of education.
This indicates that these three principles are foundational in nature; in other words, no other successive principles may be either properly understood or effectively pursued without them. Is it possible, for example, to guarantee the social protection of minors if minors are prevented from being born? Is it possible to do so by preventing them from growing up in a united and stable family? Is it possible to obtain this result by depriving the family of its right-responsibility to educate its children? If the family remains sound, all the various forms of social malaise experienced by minors can be solved in the long run.
Secondly, this listing indicates that these three principles bring us face to face with moral absolutes in the sense of acts that must never be perpetrated under any circumstances whatsoever. This is not the case for the other principles listed in the Doctrinal Note of 2002. For example, listed among the non negotiable principles is also “an economy at the service of the individual”. There is no doubt that efforts to eliminate unemployment is an important element of the common good.
Nonetheless, there can be different ways to pursue full employment. In the case of the three principles at the centre of our attention, however, there are no different ways. In fact, there are no ways at all. The difference depends on the fact that the words “do not kill” and the words “increase employment” are very different in terms of their respective compulsory nature in moral terms.
The former imposes an absolute moral negative, and therefore something that must never be done, while the latter proposes a positive moral precept indicating what is to be done. Now, while absolute evil must never be perpetrated, good can be done in a myriad of ways. Conscience, together with the virtue of prudence, is never exercised in the case of negative moral precepts – sacrifice two human embryos instead of three is not a lesser moral evil; aborting once instead of twice is not a lesser moral evil – while it does come into the picture in the case of positive moral precepts.
Many are those who accept these considerations of mine for the first two principles – life and the family, but not for the third one: freedom of education. Freedom of education is fundamental insofar as it posits or removes the possibility for the soul of a child to be initiated to truth rather than error, to good rather than evil, to God rather than the Prince of darkness. The issue at stake is that of education and its decisive role in our life. If it is possible to educate, there is a remedy for everything, but if families and the Church are deprived of the possibility to educate, this marks the end of everyone and everything.
There is only one other principle among those listed in the Doctrinal Note of 2002 that could compete for the ‘primacy’ attributed to the first three, and that is the principle of the freedom of religion. This principle issues forth from the duty to seek the truth all the way to its roots, and this means coming to terms with God. The right to religious freedom, however, is not absolute insofar as it applies only within the sphere of respect for the law of nature, whose respect is fundamental for the common good. To profess and practice a religion containing elements contrary to natural law cannot be a right and would have no moral grounds for public recognition.
Stemming forth from these considerations is the fact that there is a difference between the first three principles listed and the other ones. If the first three are lacking, the entire list disappears, while if only the first three are present we would already have the hard core, the nucleus supporting everything we have been saying. As we have seen, in fact, it often happens that the Magisterium only lists the first three, but it never lists others without these three.
Misunderstandings about the non negotiable principles
Many Catholics criticize or even deride the non negotiable principles, considering them to be a barrier to dialogue. Others point out that dialogue needs limits in order to be meaningful, and these limits are set down by these principles. In fact, many are the misunderstandings that do arise.
Regarding the first misunderstanding, or taking them as values and not principles, I have already illustrated my position. This, for example entails the classical error of evaluation: if a political party sponsors abortion and works efficiently to reduce poverty, while another party is against abortion but is less efficacious in the fight against poverty I can freely decide for both of them because it is a matter of values alone.
One of the other more frequent misunderstandings is to think that the non negotiable principles would entail the foregoing of global political thought on the part of Catholics in exchange for the request for guarantees on individual and specific issues. Far from being single issues, the non negotiable principles are principles and hence reference to them always involves the acceptance of a perspective that inevitably has an impact on other points. During certain phases of history there has been the need to focus more on individual principles because of impending threats. But this does not mean that forgotten is their value of enlightenment for an entire social and political programme.
A third misunderstanding consists in considering the non negotiable principles as contrary to the essence of democracy. This would be the system that has the human person at its centre, but since this human person is to be deepened in ongoing dialogue, and there will be no end to that, needed is political debate and the ensuing application of the law of the majority. The fact that a given reality has to be constantly explored and deepened according to the principle of consistency is true, but this does not mean it is not possible to know anything certain and definitive about it, so certain and definitive that it has to be shielded from the law of the majority. The non negotiable principles claim not to tell us everything about human society, but to tell us about the aspects without which it isn’t human society. If the complete overview of man is not given to us – at least down here – these principles are given to us in all their clarity and mandatory nature.
A fourth misunderstanding has to do with means and ends. People say politics concerns means and not ends. In fact, it is argued that there are different political parties so citizens may, with due prudence, avail themselves of one or another party to pursue and attain their ends. This would justify the presence of Catholics in all parties. Citizens who have equal ends then divide up in the choice of the party, which, as a means, is better able to attain the aspired ends. People ordinarily bring into the picture the virtue of prudence with which the moral conscience applies the general moral principles in a concrete situation, choosing the means best suited to achieve the end.
The first thing to be said is that politics has to do with ends and not means atone. The second thing is that the means are ordered to the end, and hence cannot contradict it. Prudence applied to bad means becomes imprudence. If in order to attain the end of the defence of life I place my trust in the means of a party that promotes abortion, I have not exercised prudence and have been imprudent. The choice of the party has to do with the ends, and then has to do with the means, which must be good ones, must be fitting and suitable with respect to the end in mind. What I am saying is at the very basis of the fact that if we accept the non negotiable principles we cannot adhere to all parties without distinction, because some of them are linked to other contrary ends, and others are means unsuited to the end.
One last and rather frequent misunderstanding is to retain that admitting non negotiable principles would mean to deny the laicity of politics, making it depend on confessional principles. The non negotiable principles are reasonable principles that can be acknowledged by all men. What’s strange is not the fact that they may be acknowledged, but the fact that they may be denied. Therefore, they do belong to the sphere of laicity, if by laicity we understand the ambit of public religion, which establishes the principles and the ends of living in human community. On the other hand, if we understand laicity as the absence of any absolute truth, even rational truth, it is not true laicity, but a new religion of the absolute individual and his or her whims.
Depending on non negotiable principles, therefore, politics depends not on confessional principles, but quite simply on its selfsame “sense”.
Non negotiable principles and conscientious objection
Since politics is becoming increasingly arrogant in disputing and seeking to thwart non negotiable principles, conscientious objection is nowadays becoming more and more of a political issue and not just a moral one.
Numbered among conscientious objectors are: pharmacists, who do not want to sell the ‘day after’ pill because of its abortive effects; obstetricians and physicians, who do not want to collaborate in abortion procedures even if they are legal; municipal employees, who do not want to register same-sex couples in special public records, or do not want to publicly celebrate marriages, which are not marriages; many teachers, who do not want to give in to gender ideology; parents, when they decide not to have their children attend destructive sex education courses at school; workers, who do not forego their right to wear a religious symbol or sign when at work, while their employers or administrations prohibit that; nurses, when they react to the public health care prohibition to provide religious comfort to the moribund; American bishops, who call for the application of conscientious objection against the Obama health care reform; the staff members of a day care clinic in Tuscany, who will now be expected to hand out the “abortion pill”. There are people who lose their jobs out of fidelity to non negotiable principles.
Why is this happening? Because there are non negotiable principles in the face of which our conscience, like that of Socrates or Antigone, finds the force to voice an absolute no. Now, I wonder why this should not hold true in politics? Why should reaching a compromise at any cost be the litmus test in politics? And manifesting both respect and deference for this compromise, praising the person who mediated the matter as an example of wisdom, prudence and even courage?
This becomes all the more evident if we take a took at it from the viewpoint of witness. How often is it said that a Catholic is in politics in order to bear witness. Nonetheless, if there is no possibility of sacrifice, if there is never anything akin to a ‘no’ to be said at the risk of losing something, how do we measure witness? It is easy to be an applauded and well paid politician. And it is not enough to refrain from committing illegal or immoral acts. It is necessary to be prepared and willing to pay a price in the face of principles which our conscience deems non negotiable. Socrates had been advised by his friend Crito to take flight, but Socrates had replied ‘no’!.
Politically speaking, the main sacrifice for a politician is resignation from his office or position. It is necessary to acknowledge the fact that rare indeed are the politicians who have resigned from office in order not to give their consent to a law contrary to natural moral law. And yet ever present in collective memory is the case of self-suspension from office on the part of King Baudoin of Belgium, who did not want to place his signature on the abortion law and thereby give it Royal Assent. His example was not followed some days ago by his nephew Philippe with respect to the law on the euthanasia of children.
The true politician is he who knows how to give up politics. He is man before and after politics. This is what gives sense to politics itself. If I keep the field of my humanity open through fidelity to the upright conscience that judges politics itself, I also help politics to breathe. Many are those who say the field of engagement must not be abandoned (for example, resignation) because this would be an act of withdrawal from due political battle, leaving everything in the hands of others. And yet there are many ways and many places where ‘politics’ may be practiced. Without forgetting that a possible resignation for reasons of conscience would already be a political act replete with possible political consequences unforeseeable at that moment. Then again, a true political leader is a person who also knows how to say “no”, and knows how to say it because he knows how to say it to himself. He who does not know how to say “no” to himself has no right to say it to others.
It is evident that conscientious objection in politics is possible if non negotiable principles are embraced. All possible means are being deployed to eliminate freedom of conscience in order to eliminate non negotiable principles, and eliminate non negotiable principles in order to eliminate freedom of conscience. The existence of non negotiable principles is what renders our conscience free.
When a politician practices conscientious objection insofar as a politician, his act has a political value and not just a personal one. Let’s consider this hypothetical scenario: what if the men of state and government who undersigned Law 194 on abortion in Italy in 1978 had exercised conscientious objection and resigned from office. This would have been a political act of primary importance, an act that would have continued to impact politics for centuries.
This is true because such an act would have been tantamount to exposing a social order that was erecting itself as sheer disorder. It would not have been a matter of mere fidelity to a personal opinion, or a straightforward but important issue of following one’s conscience, but everything would have referred to a legitimate social order and an illegitimate social order.
The discussion would have inevitably shifted to focus on the ‘before’, on what comes before, on what merits public recognition and what doesn’t. Who can deny in absolutely certain terms that such an act wouldn’t have changed the political history of our country?
This is why it is necessary today to insist on the non negotiable principles with respect to conscientious objection in the political arena. Dependent thereupon is politics’ linkage with beforeness, with what precedes it and founds it.
In this manner politics is forced to come to terms with modernity, which, in fact, cancelled the “before” and claimed to begin everything from scratch in the form of a social contract. It has been correctly pointed out that the first ‘modernist’ was William of Ockham, who held that behind the order of things and behind the moral order there was no plan, but rather arbitrary divine will. On this clean slate the modern politics of Hobbes and Rousseau constructed the conventionalism of the social contract. If non negotiable principles are eliminated, the “before” of politics abruptly ends and the modern vision would have irreparably won the day without any possibility of deliverance there from. The ‘handing over’ to the social contract would be definitive.
Likewise part of modernity, however, was Thomas More, who was declared Protector of Politicians by Pope John Paul II. And Thomas More had made an act of conscientious objection, well aware that in that manner he was exercising a supreme political act replete with political consequences for centuries to come. In fact, his act became a symbol of the independence of the moral law from power, and fanned the flames of battles for the defence of the freedom of conscience throughout modern history.