Avvenire, editoriale del 29 settembre 2014
Il Papa e il ruolo decisivo degli anziani per la società
di Giacomo Samek Lodovici
L’incontro di domenica tra il Papa e migliaia di nonni e anziani è stato una delle tante conferme della sua affettuosissima attenzione, varie volte esplicitata, verso queste persone e verso questa fase della vita, che molti vorrebbero trattare seconda la logica della «cultura dello scarto», come è già stato ricordato anche su queste colonne.
Nei discorsi pronunciati domenica ci sembra importante sottolineare il tema dell’anziano come custode della memoria storica. Diceva Nietzsche che noi esseri umani di ogni generazione dobbiamo spesso liberarci dalla presunzione di essere i migliori, i primi, pur essendo arrivati ultimi (cronologicamente parlando).
Alla base di questa presunzione c’è (anche) un atteggiamento di rifiuto delle proprie radici: un atteggiamento anzitutto psicologico − che poi prende a volte una configurazione filosofica –, tipico di molti adolescenti e anche di certe generazioni intere. Con le parole del Papa: «Ci sono talvolta generazioni di giovani che […] vivono in modo più forte il bisogno […] di “liberarsi” del retaggio della generazione precedente. È come un momento di adolescenza ribelle».
Ora, certo, il passato non dev’essere una condanna, non deve imporre la propria pedissequa ripetizione e ognuno, come ogni società, deve inventivamente trovare la sua strada nel mondo e nella storia. Ma, riprendendo a citare Papa Bergoglio, «se poi […] non si ritrova un equilibrio nuovo, fecondo tra le generazioni, quello che ne deriva è un grave impoverimento per il popolo, e la libertà che predomina nella società è una libertà falsa, che quasi sempre si trasforma in autoritarismo».
In effetti, chi disprezza le proprie origini o non ha memoria delle proprie radici, chi non medita sui processi che hanno portato alla sua civiltà, rischia di ritenere che il presente sia irrefutabile e irresistibile. Fino al punto che, in taluni casi, certe ideologie e filosofie della Rivoluzione totale (per esempio il comunismo) hanno creduto di poter realizzare una totale ri-creazione del mondo, di creare l’uomo nuovo e la società perfetta, ritenendosi, in vista di questo scopo, autorizzate a negare anche le libertà fondamentali, arrivando all’autoritarismo.
E anche quando gli esiti non sono così tragici come nei totalitarismi – e torniamo alle parole del Papa − «Un popolo che non custodisce i nonni e non li tratta bene − è un popolo che non ha futuro! […] Perché perde la memoria, e si strappa dalle proprie radici».
Così, dalla presunzione sopra menzionata ci possono immunizzare proprio gli anziani ed è anche per questo motivo che essi sono trattati con fastidio, se non con ostilità, non solo dalle ideologie consumiste, che li considerano socialmente costosi, ma anche appunto dalle ideologie della Rivoluzione. Infatti, essi, in primo luogo, con la loro debolezza fisica, con la loro frequente condizione di malattia, ci rammentano, come una testimonianza vivente, che ciascuno, anche qualora adesso senta esplodere la potenza della sua giovinezza, prima o poi deperirà, ci ricordano la nostra fragilità, ci richiamano all’ineludibilità della morte, che oggi si vorrebbe censurare, bollandola come argomento sconveniente per le conversazioni, o mitizzare come luogo” di un’autodeterminazione assoluta, e dunque, in certi casi, ci riportano anche alla nostra creaturalità e pertanto alla domanda su Dio, o almeno su ciò che c’è o non c’è dopo la morte.
In secondo luogo, gli anziani conservano la memoria del passato, ci indirizzano con la loro saggezza, a volte ci disilludono dai falsi profeti che essi hanno visto varie volte sorgere nel corso della loro vita, ecc.
Come diceva giustamente con sapienza poetica T.S. Eliot: «a che cosa serve la memoria? A liberarsi».