[Didaché IV, 2; CN ed., Roma 1978, pag. 32].
Assassino per futili motivi (molto probabilmente) come il fra Cristoforo manzoniano era un nobile senese del XIII secolo. In gioventù aveva ucciso un uomo, non si sa se per vendetta, per gelosia o ira (chi scrive si trova spesso a pensare cosa potrebbe succedere se in macchina, possedesse una pistola quando un autista indisciplinato aggiunge pure gli insulti; a ben vedere non si è ladri e assassini solo perché ci è mancata -finora- l’occasione giusta: “non ci indurre in tentazione…”).
Dicevamo del Gallerani, che condannato all’esilio si ritrovò a pensare colmo di rimorsi, che ad una vita troncata si può rimediare solo con l’offerta di un’altra vita. Così scontata la pena, tornò a Siena e donò la sua vita: vendette tutto e col ricavato creò un ospedale che chiamò “Della Misericordia”.
Poco alla volta altri concittadini, attratti dal suo esempio, si unirono a lui In un’esistenza di povertà e totale abnegazione. Vennero chiamati Frati della Misericordia ma erano solo laici di buona volontà che non seguivano alcuna regola: ciascuno percorreva la via Spirituale che più si adatta alle sue personali inclinazioni. Aperta a tutti, la Misericordia senese si ritrovò ben presto colma di laici provenienti dai vari Terz’ ordini cittadini.
L’ex omicida morì nel 1521, lasciandoci un bell’esempio. Si, perché la soluzione da lui trovata (e sempre predicata dalla Chiesa) metterebbe d’accordo i fautori della pena dl morte e i “perdonisti”. Infatti ripagare il male fatto nella stessa misura soddisfa alla giustizia ben più che la morte del reo.
Espiare volontariamente, poi, tacita le anime belle cui non è stato ucciso alcun familiare stretto. Non è giusto perdonare chi non chiede perdono e non dia, per giunta, concrete prove di volerlo ottenere davvero.
il Giornale 20 giugno 1995