di Antonio Giorgi
Novant’anni fa di questi giorni la vecchia Europa in preda alla follia correva con incoscienza criminale verso il baratro, uno scontro all’ultimo sangue, un conflitto che si annunciava mondiale che veniva presentato come la guerra che avrebbe messo fine a tutte le guerre: «Le macchinazioni di un avversario pieno di odio mi costringono ad impugnare la spada», scriveva l’imperatore d’Austria e re d’Ungheria Francesco Giuseppe nel proclama ai suoi popoli dopo l’apertura delle ostilità contro la Serbia il 28 luglio 1914.
Il 30 San Pietroburgo mobilitava, il 31 naufragava l’ultima mediazione inglese e il Kaiser dichiarava guerra allo zar, il 3 agosto Parigi scendeva in guerra contro Berlino imitata il giorno successivo da Londra. Il 6 agosto infine era l’Austria-Ungheria ad attaccare la Russia, mentre l’11 e il 12 Francia e Regno Unito avviavano le ostilità verso Vienna.
L’Italia aspetterà il maggio successivo quando le fucilate dei finanzieri della dogana di Ponte Caffaro la faranno entrare nella sanguinosa partita. «Oggi possiamo dirlo, l’attacco alla Serbia fu il primo passo di un disegno più ampio che mirava a razionalizzare, cioè a semplificare la carta geografica dell’Europa», commenta Danilo Veneruso, ordinario di storia contemporanea all’università di Genova, autore di vasti studi sulla prima guerra mondiale e sul pontificato di Benedetto XV.
Andiamo con ordine, professore. La vulgata corrente afferma che tutto cominciò come rappresaglia all’attentato di Sarajevo contro l’erede imperiale austriaco.
«Fu il pretesto. In realtà il quadro europeo era complesso e gli imperi centrali attraversavano un momento di svolta. C’era stata l’intesa franco-russa del 1906 maturata con l’appoggio esterno degli inglesi, c’erano stati gli scacchi diplomatici di Berlino e Vienna a seguito delle guerre balcaniche del 1912-13, scacchi che avevano contribuito a saldare meglio le due potenze, già vincolate da un’alleanza che comprendeva l’Italia».
Appunto, la saldatura non vede protagonista il nostro Paese, pure membro della Triplice dal 1882 e del cui comportamento leale era stata a suo tempo Berlino a farsi garante verso una Vienna diffidente.
«Eravamo fuori perché era questione di pangermanesimo. Il pangermanesimo faceva da collante, Vienna non si rendeva conto che questo legame perverso avviava l’Austria-Ungheria su un percorso suicida dato il carattere sovranazionale del suo impero. Pangermanesimo e dimensione sovranazionale erano inconciliabili, esprimevano concetti e realtà che facevano a pugni. Si dimentica però un altro dato: la guerra fu un affare interamente tedesco, il successore di Francesco Giuseppe alla Hofburg, l’imperatore Carlo I, fece sforzi enormi quanto inutili per uscirne.
Si trascura anche il fatto che il pangermanesimo spingeva verso est inducendo a cercare lo spazio vitale, il Lebensraum, a casa dei russi. Insomma, si accarezzava il progetto di trasformare l’impero zarista in una colonia di Berlino, sia pure sotto la maschera di copertura del protettorato. Immaginiamo se la Gran Bretagna, all’inizio restia ad impegnarsi in una guerra, poteva accettare il colonialismo in Europa, con lo scardinamento di equilibri che questo avrebbe comportato».
Dunque la guerra, il grande macello, inizia con gli spari di Gavrilo Princip e l’attacco alla Serbia. Che c’entra la semplificazione della carta d’Europa? Dalla guerra usciranno più Stati di quelli preesistenti.
«Cambiare la mappa continentale era l’obiettivo tedesco. Diminuire gli Stati, inglobare quelli piccoli come il Belgio era nelle ambizioni di Berlino, ma certo il Belgio non poteva accettare di essere vittima della semplificazione delle mappe geografiche. Ecco allora per gli imperi centrali la necessità della guerra su due fronti, ad est contro il mondo slavo, ad ovest contro gli anglo-francesi. Dal primo al 9 agosto 1914 per i tedeschi massicciamente impegnati contro la Francia in un Blitzkrieg con obiettivo Parigi la marcia sarà quasi una passeggiata».
Invece sul fronte orientale?
«I russi affrontano formazioni tedesche di veterani e minacciano di arrivare a Berlino. Il Kaiser è costretto a distogliere grossi contingenti impegnati contro la Francia e ai laghi Masuri per i russi sarà batosta. Ma il prezzo pagato dai tedeschi fu enorme: inchiodati sulla Marna dai franco-inglesi si impantaneranno nella guerra di logoramento che in presenza del blocco navale imposto da Londra significherà per la Germania imperiale l’inizio dell’asfissia. Nel 1917 arriveranno gli americani».
Torniamo alla fase iniziale di un conflitto che ha avuto per padri il pangermanesimo, una certa attitudine colonialistica, la voglia di semplificazione del quadro geopolitico continentale a vantaggio di Berlino. L’Austria-Ungheria cosa guadagnava? Franz Herre scrive che Francesco Giuseppe aveva capito subito che l’Austria-Ungheria era subordinata all’impero tedesco. Perché Vienna cadde nella trappola dell’ultimatum alla Serbia?
«Questo è il punto. Pochi ricordano che dopo l’attentato del 28 giugno che costò la vita a Francesco Ferdinando e alla moglie da tutta Europa giunsero alla Hofburg inimmaginabili manifestazioni di solidarietà. Vienna doveva capitalizzare quel consenso, quei sentimenti spontaneamente espressi da tutte le cancellerie. Se invece di cedere alle lusinghe del pangermanesimo l’Austria-Ungheria avesse mantenuto dopo Sarajevo un minimo di sangue freddo la storia dell’Europa sarebbe stata diversa».
La Prima guerra mondiale è stata classificata – come la seconda – alla stregua di una guerra civile europea tra popoli figli della stessa cultura, cresciuti nella stessa religione cristiana. Ancora oggi ci si chiede come quell’immane macello abbia potuto scatenarsi.
«Se lo chiese Benedetto XV, succeduto a Pio X morto il 20 agosto 1914 dopo aver pianto vedendo partire da Roma i seminaristi austro-tedeschi richiamati in patria. Papa Della Chiesa dedicò larga parte della prima enciclica Ad beatissimi – del novembre successivo – alla guerra scoppiata “perché gli Stati e le società cristiane hanno fatto apostasia del cristianesimo”. Parole illuminanti. Genti cristiane da 2000 anni si sentivano prigioniere di miti assurdi come il nazionalismo, avevano perduto il senso religioso dell’appartenenza, smarrito una visione d’insieme condivisa e condivisibile. L’approdo al nichilismo fu l’altro padre della grande guerra».