di Antonio Socci
Signor Berlusconi, non sapevo che anche lei stava dalla nostra parte (quella astensionista). Sapevo di Casini e di Rutelli e di Pera, che si sono presi il loro bel linciaggio, non di lei. Certo, è stato in fondo un bene che non si sia schierato pubblicamente, altrimenti sarebbe diventato il solito referendum sul Cavaliere.
Ma proprio questa sua posizione defilata tenuta fino alla fine, avrebbe dovuto consigliarle, per il dopo, una certa pensosa sobrietà. Avrebbe dimostrato prudenza e lungimiranza facendo i complimenti ai vincitori del referendum che hanno combattuto una battaglia impari e temeraria. Avrebbe dovuto impegnarsi a riflettere sull’evento storico, paragonabile al 18 aprile 1948 (sinceramente non date l’impressione di averlo colto).
Leggere le sue generiche rivendicazioni di vittoria di martedì scorso non ha fatto un’impressione entusiasmante fra coloro che hanno combattuto, da soli, questa battaglia. Né ci ha rallegrato la sua riduzione di questo evento epocale a occasione per una piccola operazione di disturbo ai danni di Francesco Rutelli (la telefonata, forse, avrebbe dovuto farla al ministro Prestigiacomo, non a Rutelli…).
Certo, lei un merito storico nella vicenda ce l’ha (insieme a ciò che ha fatto dal 1994 per rendere abitabile questo paese anche a chi non è di sinistra): quello di aver fatto approvare questa legge 40 che segna una svolta culturale, ma ha dato l’impressione di averlo fatto quasi di soppiatto, senza crederci e senza cogliere la portata della svolta, facendo addirittura filtrare a posteriori giudizi contraddittori su quella legge. Perché forse anche lei – come tutti i media, come Fassino, Scalfari e Bertinotti e come tutto l’establishment – pensate che l’Italia sia sempre quella degli anni Settanta (o al massimo quella degli anni Ottanta che la sua televisione continua a rappresentare).
Non avete capito ciò che è accaduto in questi decenni, non avete capito il ciclone rappresentato dai 27 anni di pontificato di Karol Wojtyla (consiglio anche a lei, come a Prodi, per l’ennesima volta, il libro di Loredana Sciolla, “La sfida dei valori”, pubblicato dal Mulino prodiano, per cogliere, almeno’ sul piano sociologico, la mutazione in corso).
Non avete capito l’errore di fondo della sinistra postcomunista: uscire da Marx attraverso Pannella, un suicidio goliardico-nichilista che il grande Augusto Del Noce aveva spiegato per tempo, da par suo (in fondo i comunisti hanno rinnegato la migliore intuizione di Togliatti: quella sulla Chiesa). E non avete capito nemmeno – per andare su un altro terreno; profano – la svolta culturale avvenuta al centro dell’Impero prima con Reagan e oggi con Bush jr.
Non avete capito cosa è accaduto veramente, nel profondo delle società occidentali, dopo l’11 settembre. Non avete capito la nuova cultura laica che è cresciuta, anche in Italia, e che ha messo in soffitta il vecchio laicismo scalfariano e pannelliano, non avete capito i nuovi movimenti cattolici, non avete capito la straordinaria capacità della Chiesa di rappresentare il sentimento profondo del paese (penso all’omelia di Ruini ai funerali dei soldati di Nassiriyah) e non avete capito neanche ciò che è accaduto negli ultimi mesi, quei milioni di persone che hanno dato l’addio a Giovanni Paolo II e che hanno salutato un nuovo grande pontefice come Benedetto XVI.
Non avete capito la rielezione di Bush e il vento nuovo che spira perfino in Europa con la bocciatura dei referendum sulla Costituzione europea (ancora una volta il popolo contro l’establishment) e con la possibile prossima vittoria dei democristiani in Germania.
Non avete capito infine un fenomeno straordinario (e perfino casalingo) come il Foglio che è cresciuto fra voi e su cui Ezio Mauro anche ieri lanciava l’allarme (“l’avanzare nel nostro paese di quel soggetto che tre anni fa ho chiamato `lo stranocristiano’, l’ateo clericale che cerca di saldare la destra politica italiana a un pensiero forte”).
Il vero ruolo della Chiesa
La vera, grande scommessa della modernità sta nella sua capacità di avanzare ancorata a valori forti e alla nostra tradizione cristiana e umanista: è questa la prospettiva degli Stati Uniti di Bush. Le vostre televisioni sono totalmente sintonizzate con la cultura referendaría (anche nella sua versione “nani e ballerine”) che personalmente trovo insopportabile e che comunque si è rivelata clamorosamente minoritaria.
Dal punto di vista informativo le cose vanno perfino peggio (posso citare almeno quattro programmi Rai chiaramente orientati su quel 25 per cento e non ce n’è stato uno che esprimesse il punto di vista o almeno le perplessità, le domande, i valori del 75 per cento degli italiani: al massimo se n’è visto qualcuno del tutto super partes).
Dunque, date queste premesse, non ha sorpreso che nessuno (o quasi) di coloro che avevano approvato quella legge 40 in Parlamento fosse disposto a difenderla: Gianfranco Fini è arrivato addirittura a rimangiarsela, voltando gabbana e inchinandosi all’establishment (vanno menzionati invece per coraggio e coerenza i Mantovano, i Giovanardi e i Bondi. E pure la Lega). Si è avuta l’impressione di una classe dirigente che se fa una cosa buona e culturalmente grande la fa obtorto collo, senza crederci e senza capirla. Addirittura vergognandosene. Anche perché è incapace di spiegarla al paese (oggi forse è il paese che l’ha spiegata a voi: cercate di ascoltarlo).
Così ci siamo trovati a combattere come Davide contro Golia, con le fionde contro i carri armati e per la prima volta in Italia è accaduto che si è battuta la cultura dominante (addirittura stravincendo) senza Berlusconi. Un evento su cui riflettere positivamente, anche da parte sua. Un evento storico, visto anche il dispiegamento di forze dell’altro fronte. Noi praticamente avevamo dalla nostra solo la Chiesa, davvero madre e maestra di umanità.
La Chiesa che dentro questa battaglia c’è stata letteralmente trascinata da radicali e comunisti, la Chiesa che ha rifiutato ogni tono da guerra civile (basta rileggere le parole di Ruini e di Avvenire), la Chiesa che si è vista addirittura contestare il suo diritto di parola senza che nessuno riaffermasse le libertà costituzionali garantite a tutti. E poi avevamo una pattuglia stupenda di uomini liberi, laici, ebrei alcune femministe e qualche studioso di sinistra. Un fenomeno nuovo: il dissenso laico.
Così, una variopinta pattuglia di temerari dalla storia diversa (in primis devo ricordare il grande e nobile Carlo Casini, uomo di eccezionale statura umana, oltreché grande giurista) ha mostrato di interpretare il sentire della stragrande maggioranza degli italiani, quotidianamente “violentati” da un establishment culturalmente fermo agli anni Settanta, da un sistema mediatico che ha imposto un plumbeo conformismo (il suo Canale 5 non ha trovato di meglio, sabato sera, in piena vigilia, che dovrebbe essere senza propaganda, che ritrasmettere una vecchia fiction dove la protagonista era la testimonial del “sì”, Sabrina Ferilli e interpretava una madre appassionata. Titolo: “Rivoglio i miei figli”. Complimenti a Confalonieri).
Spero che non pensi, anche lei, che la gente non ha capito i quesiti, come se fosse una plebe ignorante. Lasci questo disprezzo del popolo a lorsignori dell’establishment. Lei avrebbe dovuto dire: mi inchino a questa straordinaria e sorprendente vittoria e mi impegno a cercare di capire cosa significa, voglio sostenere e rappresentare questi nuovi fermenti culturali e questo “senso comune” moderato che è maggioritario nel paese, questa diversa Italia, refrattaria alla demagogia politically correct dell’establishment, questa Italia che è uscita dagli anni Settanta non seguendo Pannella, Fassino e Bertinotti, ma somigliando all’America.
E a proposito dell’America, al di là del giudizio che possiamo dare sul cosiddetto movimento neocon o sulla presidenza Bush (nei suoi mille aspetti), si deve riflettere su quello che là è accaduto. Prima una rinascita religiosa nella società, fra “la plebe”. Parallelamente una grande revisione della cultura liberale (si legga, se può, il libro di Flavio Felice, “Prospettiva neocon”). Quindi la nascita di una quantità di media e di fondazioni che hanno alimentato questa cultura e hanno approfondito le sue radici.
Così l’egemonia del radicalismo politically correct è stata battuta: prima culturalmente e poi politicamente. Anche in Italia l’evento del 12 giugno viene da lontano. Ma ciò che più impressiona non è la vittoria in sé, ma le dimensioni storiche di questa vittoria. Fanno emergere un nuovo senso comune, non necessariamente consapevole, spesso confuso e contraddittorio, ma che aspetta solo di essere aiutato a crescere, a trovare espressione culturale, ad avere diritto di cittadinanza sui media, nel discorso pubblico (almeno si dovrebbe riflettere autocriticamente sulla devastante “cultura” quotidianamente cannoneggiata – come pensiero unico – nelle case degli italiani dalle televisioni: soprattutto perché è l’unica, è totalitaria, non ammette diversità).
Insomma c’è da riflettere seriamente. Ridurre un avvenimento come quello del 12 e 13 giugno a un’occasione spicciola di propaganda o a uno scontro interno a Forza Italia fra laici e cattolici (e chi se ne frega!), sarebbe davvero perdere un’occasione storica. Preciso: non un’occasione storica per la Chiesa e i cristiani, i quali hanno altri terreni di missione e un’altra ragion d’essere (noi dobbiamo testimoniare Gesù Cristo, unica felicità della vita e vero senso dell’esistere ed è al cuore di ciascuno, personalmente, che Egli parla).
No. Un’occasione storica per l’Italia e per chi vuole capire questo paese e costruire un futuro buono e prospero. Per chi vuol passare alla storia con meriti profondi e non restare nella cronaca come un politico fra i tanti. Spero in Casini e Rutelli: che non lascino dilapidare il tesoro che il popolo italiano ci ha consegnato.