La verità è l’unica carità concessa alla storia
di Marco Respinti
Annus Domini Duemila: in occasione del Giubileo, Papa Giovanni Paolo II indice una riflessione sulla storia della Chiesa cattolica che non ha eguali presso altre fedi e altre comunità religiose. Il Papa domanda ai cristiani di chiedere perdono a Dio per tutte quelle occasioni in cui non si siano dimostrati sufficientemente cristiani, quindi quando hanno peccato contro la fede, la speranza e la carità, quando si sono lasciati irretire da idee e da ideologie non cristiane, insomma quando hanno imboccato vie diverse da quell’imitazione perfetta di Cristo che sola conduce alla santità.
È una iniziativa tutta cristiana e tutta interna alla Chiesa cattolica: il Papa, supremo pastore cattolico, invita il gregge dei cattolici affidati alle sue cure ad aderire sempre più al cattolicesimo. In attesa, insomma, che i non cattolici possano anche solo pensare di fare cosa analoga, Giovanni Paolo II afferma, ribadisce e promulga il concetto di «purificazione della memoria» dalle pagine della lettera apostolica Tertio millennio adveniente, del 1994, scritta in vista del Giubileo, a cui, proprio nel 2000, viene ad appoggiarsi il documento della Commissione teologica internazionale Memoria e riconciliazione: la Chiesa e le colpe del passato.
Nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 1997 il pontefice giudica quel concetto premessa indispensabile per un ordine internazionale di pace e nel messaggio in lingua latina inviato ai partecipanti al convegno del Pontificio Comitato di Scienze Storiche su Leone XIII e gli studi storici, del 28 ottobre 2003, proprio citando Papa Leone XIII che a propria volta citava Cicerone, il pontefice afferma: «La prima regola della storia è non osare affermare nulla di falso, né tacere qualcosa di vero, perché nello scrivere non vi siano sospetti di partigianeria o di avversione».
Inquinamenti e inquisizioni
Se la memoria storica dei popoli va purificata vuol dire evidentemente che in più di un caso detta memoria è adulterata. Così infatti il Papa: «Non di rado […] queste memorie “inquinate” sono addirittura diventati punti di cristallizzazione dell’identità nazionale e, in alcuni casi, persino di quella religiosa. Ecco perché occorre rinunciare a qualsiasi strumentalizzazione della verità».
E ancora: «L’invito ad onorare la verità storica non comporta, ovviamente, che lo studioso abdichi a un suo orientamento o abbandoni la sua identità». Il che significa – afferma il pontefice, impartendo una lezione di metodo storico di per sé basilare per chiunque affronti la disciplina della storiografia, ma certamente ignorata il più delle volte – che «[…] nello studio della storia non si possono automaticamente applicare al passato criteri e valori acquisiti solo dopo un processo secolare».
Oggi, tutto torna di attualità dopo la pubblicazione del volume L’Inquisizione (Biblioteca Apostolica Vaticana, pp.788, E60,00), a cura di Agostino Borromeo – specialista di Storia moderna all’università La Sapienza di Roma -, che raccoglie gli atti del simposio internazionale sulla Santa Inquisizione, tenuto in Vaticano dal 29 al 31 ottobre 1998 dalla Commissione Storico-Teologica del Comitato per il Grande Giubileo dell’Anno 2000, in preparazione dell’atto penitenziale poi celebrato il 12 marzo 2000.
Presentato al mondo nella Sala Stampa della Santa Sede il 15 giugno scorso, il volume L’Inquisizione è stato salutato da Giovanni Paolo II con una lettera indirizzata lo stesso giorno al cardinale Roger Etchegaray, già presidente del Comitato giubilare. In essa il pontefice si domanda: «nell’opinione pubblica l’immagine dell’Inquisizione rappresenta quasi il simbolo [di] antitestimonianza e scandalo.
In quale misura questa immagine è fedele alla realtà?». E così risponde: «prima di chiedere perdono è necessario avere una conoscenza esatta dei fatti e collocare le mancanze rispetto alle esigenze evangeliche là dove esse effettivamente si trovano». E il responso della commissione di esperti è questo: a volte i cattolici sono stati acquiescenti verso l’intolleranza e la violenza. Ovvero i cattolici hanno peccato e peccano. Cosa, peraltro, che i confessori sanno da sempre.
E l’Inquisizione? O, meglio, L’Inquisizione, frutto di ricerche colossali? Il tribunale fu istituito nel Duecento per indagare l’eresia, e questo anche per sottrarre gl’imputati agli arbìtri. Fu soppresso nell’Ottocento in Spagna dove ne sopravvivevano gli ultimi resti, nacque al suo posto il Sant’Uffizio romano, e questo fu riformato nel 1908 per poi essere sostituito nel 1965 dalla Sacra Congregazione per la dottrina della fede.
Qualcuno, Juan Antonio Llorente, in Spagna, all’inizio del secolo XVIII, ha parlato di 100mila vittime. Ma dai documenti storici si ricava invece che i processi furono in totale 125mila e meno di 1300 i consegnati al potere temporale, che decise per la morte. E le streghe ? Un centinaio di roghi ecclesiastici fra Portogallo, Spagna e Italia, ma 50mila condanne nel resto d’Europa da parte dei tribunali civili, mica sempre ispirati al cattolicesimo.
Su tutto, una chicca (che però gli specialisti di storia e anche di giurisprudenza conoscono da sempre): fu proprio l’Inquisizione, e proprio per i motivi che ne ispirarono la fondazione, a istituire l’antenato di quello che oggi è la figura dell’avvocato difensore nei processi. Ossia, l’Inquisizione è all’origine stessa del concetto di garantismo, il quale, non essendo affatto equipollente all’innocentismo contra res, svolge la propria suprema e benemerita funzione di difesa degl’imputati innocenti fino a prova contraria, garantendoli nei propri diritti e nella dignità. E quindi – in caso di prova contraria, ma solo in questo caso – condannando. Se no, liberi tutti come è giusto che sia.
Infatti, la “leggenda nera” che riguarda l’Inquisizione è prodotto del Seicento protestante, assunto poi in toto dal Settecento illuminista: gli stessi che inventarono la dizione, buia e tempestosa, di “Medioevo” per indicare la Cristianità romano-germanica.
Dunque, garantire l’ortodossia è compito anzitutto dell’episcopato, cui spetta non solo insegnare le verità della fede, ma anche difenderle contro le insidie. Ora, l’Inquisizione ha conosciuto diverse fasi storiche. Anzitutto vi è stata quella medioevale. Nel 1184 Papa Lucio III (1181-1185) promulga la costituzione Ad abolendam che istituisce l’Inquisizione obbligando tutti i vescovi a visitare due volte l’anno le proprie diocesi alla ricerca, inquisitio, degli eretici.
Poi Papa Innocenzo III (1198-1216) istituisce la cosiddetta Inquisizione “legatina” inviando i monaci cistercensi a predicare nei Paesi più colpiti dall’eresia e a disputare pubblicamente con gli eretici. Quindi la costituzione Excommunicamus di Papa Gregorio IX (1227-1247), del 1231, nomina i primi inquisitori permanenti, scelti in preferenza fra i domenicani e i francescani.
La seconda fase è quella dell’Inquisizione detta spagnola, creata da Papa Sisto IV (1471-1484) nel 1478, su pressione della regina Isabella di Castiglia (1451-1504) e di re Ferdinando d’Aragona (1452-1516). Infine, nel 1542, Papa Paolo III (1534-1549) istituisce la Congregazione della sacra romana e universale Inquisizione, durata grosso modo fino alla trasformazione in Sant’Uffizio.
Parliamo di Medioevo
L’Inquisizione medioevale nacque in risposta agli eccessi degli eretici nella misura in cui questi, al di là della teologia, insidiavano mortalmente la società civile. A tale proposito è opportuno rileggere un piccolo classico: Fra Dolcino. Nascita, vita e morte di un’eresia medievale, a cura di Raniero Orioli, riedito da poco con prefazione di Daniele Solvi (Jaca Book, Milano 2004).
Del resto, la più aggiornata scienza sociologica e storica delle religioni, sempre giustamente attenta ai confini e alla salvaguardia delle libertà, distingue, con formula inglese ormai divenuta espressione tecnica, i creed (la teologia) dai deed (i fatti, comprese le violazioni di quelli che oggi sono i codici civili e penali).
Fu infatti la riprovazione dei civili contro le vessazioni degli eretici che costrinse le autorità ecclesiastiche a intervenire, anzitutto per controllare e per frenare una reazione nata dal popolo e gestita, non sempre con il necessario discernimento, dai tribunali laici, i quali ritenevano di risolvere il problema inviando con disinvoltura gli eretici al rogo. Un po’ come oggi, per arginare i testimoni di Geova che disturbano il protrarsi oltre misura del sonno mattutino domenicale, qualcuno chiamerebbe subito e volentieri i carabinieri.
Non fu infatti istituito alcun tribunale speciale per certi reati o certi rei, ma si nominò un giudice straordinario, la cui competenza si affiancò a quella del giudice ordinario, il vescovo. E gl’inquisitori erano competenti a giudicare solo i battezzati, quindi né gli ebrei né i musulmani. Del resto, come ha osservato lo storico protestante Henry Charles Lea (1825-1909), peraltro non tenero verso dell’Inquisizione, in quei tempi, «[…] la causa dell’ortodossia non era altro che la causa della civiltà e del progresso».
Dopo aver agito separatamente, quindi – la prima con i suoi tribunali, l’impiccagione e il rogo, la seconda con la scomunica e le censure ecclesiastiche -, le autorità temporale e spirituale si unirono. Solo un dato sull’Inquisizione in Spagna in epoca moderna: fra secolo XIV e XVI, gl’imputati per stregoneria furono lo 0,2% della popolazione, il tasso più basso d’Europa (376,9 imputati per milione di abitanti in Svizzera e 956,5 nell’area di Norimberga), come evidenzia il sociologo statunitense non cattolico Rodney Stark in For the Glory of God: How Monotheism Led to Reformation, Science, Witch-Hunts, and the End of Slavery (Princeton University Press, Princeton 2003). E l’Inquisizione represse duramente soprattutto gli aspiranti cacciatori di streghe: nelle Fiandre essa infatti cessò proprio con l’occupazione spagnola.
Verità, carità e storia
Grazie alla prescrizione di mettere per iscritto le fasi della procedura, le deposizioni e le testimonianze, dell’Inquisizione si sa tutto. E così gli studiosi hanno scoperto tribunali dotati di regole eque e di procedure non arbitrarie, corti giudiziarie pronte a sconsigliare l’uso della tortura o a scoraggiare denunce infondate e delazioni, organismi molto più miti e indulgenti dei tribunali civili del tempo. In genere, gl’inquisitori erano persone dotte, oneste e di costumi irreprensibili, poco inclini a decidere in fretta e arbitrariamente la sorte dell’imputato, e volti invece ad accordare il perdono al reo e a farlo rientrare in seno alla Chiesa.
È l’Inquisizione del secolo XIV che inventa la giuria, il consilium che permette all’imputato di essere giudicato da un collegio numeroso, e altri istituti in favore del condannato (la semilibertà, la licenza per buona condotta e gli sconti di pena). L’uso della tortura non fu indiscriminato e gl’inquisitori del secolo XIV, a differenza dei giudici civili, vi ricorrevano raramente e nel rispetto di regole severe.
Le condanne, soprattutto alla pena capitale, furono pochissime giacché si voleva correggere e riavvicinare l’eretico alla fede. Gl’inquisitori imponevano penitenze di ordine spirituale, che davano al reo la possibilità di emendarsi, attenuavano le pene più gravi quando ravvisavano in lui indizi di ravvedimento e abbandonavano al braccio secolare, cioè alla morte, i recidivi che, essendo tornati ai loro errori, facevano perdere ogni fiducia nella loro conversione e nella loro sincerità.
La pena capitale era peraltro spesso commutata, in netto contrasto con l’immancabile esecuzione del colpevole da parte dei tribunali secolari e con la crudeltà degli organismi inquisitoriali nei Paesi protestanti.
Insomma, riecheggiando Cicerone, citato da Giovanni Paolo II, vale sempre più quanto disse nell’Ottocento lo storico francese Jacques Crétineau-Joly: «La verità è l’unica carità concessa alla storia.