Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân
Newsletter n.543 del 22 ottobre 2014
Fabio Trevisan
Un pensatore cattolico svizzero, Louis Gonzague Frederic Marie Maurice de Reynold de Cressier, comunemente conosciuto come Gonzague de Reynold (1880-1970), ha scritto nel 1938 una serie di articoli per la Gazzetta di Losanna (poi raccolti in volume con il titolo: “Conscience de la Suisse”) in cui richiamava quei Messieurs de Berne a tener fede al patto federalista della Confederazione elvetica. Credo che grazie alla traduzione ed allo studio di Giovanni Cantoni (in una serie di articoli apparsi sulla rivista Cristianità) possiamo renderci esatto conto dello spessore del grande pensatore nativo di Friburgo, che ha chiarito il significato del federalismo autenticamente cristiano ed ispirato alla Dottrina sociale della Chiesa.
I due elementi costitutivi del federalismo
De Reynold innanzitutto ribadiva i due elementi costitutivi del federalismo: gli Stati, le città che si federavano (elemento costituente) ed il potere centrale che istituivano (elemento costituito). Il primato spettava quindi non al potere centrale ma all’esistenza anteriore e quindi con diritti propri ed inalienabili degli Stati e delle città che lo costituivano. Pertanto, come spiegava lo storico svizzero: “Il federalismo differisce in modo profondo dal regionalismo e dal decentramento. Il regionalismo e il decentramento escludono ogni idea, ogni principio di sovranità”.
Si può intuire abbondantemente da queste prime considerazioni non solo la critica al potere centrale ed alle disfunzioni sfociate prima nei totalitarismi e nelle ideologie legate ai fanatismi nazionalistici e poi nella burocratizzazione dell’apparato politico-amministrativo centralizzato, ma anche ad un concetto di “democrazia” tipico dei Paesi occidentali (tra cui l’Italia) in cui risultava esattamente capovolto il principio del federalismo e dove il potere partiva sempre dal centro per eventualmente conferirne parte alle periferie (sia attraverso la sussidiarietà verticale sia attraverso quella orizzontale dei cosiddetti “corpi intermedi”).
De Reynold faceva osservare che i due elementi costitutivi non potevano avanzare gli stessi diritti, non solo perché il potere centrale costituito (lo Stato centrale) era subordinato al primo, ma in quanto l’elemento primigenio costituente non era uguale né per età né per valore al secondo, essendo quest’ultimo derivante dal primo. Tuttavia, affermava Gonzague de Reynold, i due elementi costituivi del federalismo erano indissolubili e dovevano stare reciprocamente uniti.
Perché il federalismo ?
Alla domanda sui motivi profondi del federalismo, De Reynold così rispondeva: “Gli Stati si sono federati per conservare la loro autonomia, la loro personalità, non per sacrificarle al potere centrale”.
Qual era quindi la mission, la ragion d’essere del potere centrale costituito? Quella di difendere, salvaguardare, promuovere l’autonomia di ogni Stato. Si esplicava quindi l’autentico principio di sussidiarietà e quella distinzione acuta tra legale e legittimo, indispensabile per capire la vera natura del federalismo. Gonzague de Reynold rilevava che si doveva partire dalle origini, ovvero dal potere legittimo rappresentato dagli Stati e dalle città e non dal potere legale dello Stato centrale: “Ora, la legalità, cioè la conformità a una legge scritta, è inferiore alla legittimità, cioè a quanto è fondato sul diritto, in virtù non di una legge scritta, ma di un principio anteriore a questa legge”.
Si può intuire la sconvolgente attualità di queste affermazioni in un’epoca come la nostra, non solo in cui viene misconosciuta la legge naturale a favore di una legge positiva auto referenziata e normata spesso a livello giurisprudenziale, ma soprattutto dove vengono reclamati “diritti” in nome di desideri individualistici senza alcun fondamento razionale né alcun patto costitutivo essenziale.
I principi del federalismo
De Reynold confutava quanti valutassero il federalismo alla stregua di una forma politica o di un sistema di governo, in quanto bisognava identificarne e sostanziarne i principi: “I principi non sono astrazioni, ma radici; non sono al di sopra della vita, ma nella vita come le radici sono nella terra; non si integrano assolutamente nella vita dall’alto al basso, con la forza delle leggi e delle costituzioni, ma la vita riceve da essi la linfa senza la quale non potrebbe sbocciare nella sua integrità”.
Vi era un principio primo del federalismo che doveva essere compreso poiché costituiva l’elemento di unione, di legame : l’associazione. Era la difesa, il baluardo delle libertà di tutti quegli elementi sociali che stavano all’origine del patto federale; era la tutela della fonte della sovranità, del potere legittimo contro la frammentazione e l’indebolimento che poteva prodursi dalla centralizzazione e dallo statalismo: “Il federalismo è il principio contrario alla legge del numero, al governo delle masse, alla dittatura anonima e irresponsabile della burocrazia”.
Quelli che solitamente, in un quadro non federalista, sono chiamati i “corpi intermedi” tra lo Stato e il cittadino, ovvero in primis la famiglia, i comuni, le associazioni professionali, le organizzazioni religiose, ecc. dovevano rendersi consapevoli dell’importanza storica e naturale che la loro esistenza presupponeva, in quanto cellule autentiche della società. Prima ancora di essere un principio politico, il federalismo doveva essere un principio sociale: “Proteggere, armonizzare, sviluppare la vita sociale: questa è la ragion d’essere del federalismo ed il suo fine”.
La concezione cristiana dell’uomo
Gonzague de Reynold precisava la filosofia del federalismo: “Il federalismo ha senso, valore e solidità solo se rimane attaccato a questa filosofia come un lampadario all’anello”. L’anello era la concezione cristiana dell’uomo e della vita. Al contrario la concezione ispiratrice dell’epoca moderna era l’individualismo, che per Gonzague equivaleva all’umanesimo: “L’uomo è la misura di tutto: tutto si riporta all’uomo e tutto emana da lui …si sposta il centro dell’universo per fissarlo nell’uomo”. Cosa comportava questa concezione non cristiana dell’uomo? Perché avremmo dovuto pagare l’errore iniziale sulla vera natura dell’uomo?
Egli rispondeva in modo molto chiaro: “Se cominciate con un errore sull’uomo, sbaglierete poi su tutti gli aspetti della vita umana. Non solo l’aspetto intellettuale, ma anche quello politico, quello sociale e infine l’aspetto economico”. Credo che non ci sia bisogno di rimarcare la lucidità e la lungimiranza del suo pensiero anche nel cercare di comprendere la crisi (non solo economica) che stiamo vivendo. Qual era la concezione cristiana sottesa al federalismo?
La distinzione tra individuo e persona: “Individuo e persona sono termini non sinonimi. Ci si deve guardare dall’usarli l’uno al posto dell’altro”. Quante volte ai giorni nostri li abbiamo sentiti citare in modo equivalente! Precisava ancora De Reynold: “Nell’uomo, l’individuo è l’essere di carne, l’essere perituro; la persona, è l’essere spirituale, l’essere immortale”.
Questa differenza sostanziale tra individuo e persona qualificava la concezione cristiana dell’uomo e ne palesava i fini specifici: “Il fine dell’individuo è la società. Il fine della persona è Dio…La vita ha poco prezzo per chi si sente un’anima immortale. Invece, l’umanità, la società, lo Stato hanno verso la persona solo doveri, perché la persona è ordinata a Dio”.
Bene comune e civiltà
In una concezione individualista non solo non c’è spazio per una prospettiva autenticamente federalista e quindi cristiana, ma si arriva al paradosso (che spaventosamente stiamo sperimentando) di un ritorno alla schiavitù per un eccesso di libertà. Questo stato servile (già Hilaire Belloc aveva documentato nei suoi scritti) era conseguente alla soppressione dei corpi intermedi e dell’ordine cristiano.
La ricerca del bene comune, nozione più elevata di quella dell’interesse generale – come sottolineava Gonzague de Reynold- doveva situarsi nella concezione cristiana dell’uomo:“L’insieme delle condizioni naturali e umane che permettono all’uomo di vivere secondo le necessità dell’individuo ma anche secondo le esigenze della persona”.
Il federalismo, se fosse rimasto fedele alla sua essenza, come ammoniva lo storico svizzero ai Signori di Berna, avrebbe costituito un ambiente favorevole allo sviluppo di una civiltà cristiana: “La società sia sufficientemente differenziata da possedere gli organi necessari a una vita completa e superiore. Tale condizione non potrebbe essere realizzata da una società uniformizzata, senza autorità sociali … una civiltà non potrebbe resistere a lungo a un regime di mediocrità, perché la mediocrità finisce sempre nel materialismo”.
Un monito ancora attuale
Gonzague de Reynold chiudeva la sua densa analisi con la presentazione di quanto i posteri avrebbero conosciuto: “Vediamo ritornare quanto avevamo creduto abolito definitivamente, impossibile: la guerra, il regno della forza, la violazione del diritto, la barbarie…tutte queste constatazioni (siamo negli anni ’30) ci obbligano a riflettere sulle idee che ci erano care, su questa adorazione dell’uomo da parte dell’uomo che abbiamo sostituito all’adorazione di Dio. Non siamo più sicuri di noi stessi e della nostra modernità”.
Cosa bisognava fare, come bisognava rimodellare il pensiero cristiano in un contesto poco federalista, molto individualista, in cui si era perduta la qualità essenziale della persona ed il principio del bene comune ispirato alla Dottrina sociale della Chiesa?
All’uomo astratto Gonzague de Reynold contrapponeva l’uomo incarnato: “Il corpo alla terra e l’anima a Dio; è la spartizione originaria ma anche il fondamento primordiale…la società umana ha all’origine un altare e una tomba, e l’altare è sulla tomba”. Egli voleva rimarcare la necessità e il diritto di organizzarsi in società familiare e in società religiosa: non bisognava sopprimere (ed il federalismo autenticamente cristiano sarebbe servito a questo) la costituzione storica e naturale del Paese, le sue reali e cristiane risorse sia materiali sia spirituali.
Bisognava in ultima analisi, secondo le parole del De Reynold: “Prendere coscienza di un ultimo diritto: quello di non essere affogato nella massa…questi diritti, che non sono assolutamente astratti, sono i veri diritti dell’uomo, ciò che la sociologia cristiana chiama pre-sociali”.
Sono convinto che il monito e le acute analisi di Gonzague de Reynold possono essere ancora oggi attualizzabili e che la sua concezione di un federalismo autenticamente cristiano può, anche se difficilmente perseguibile, essere conosciuta ed aiutare le persone a sperare in un mondo migliore.