di Pierre Faillant de Villemarest
All’inizio di febbraio del 1992 il governo argentino annuncia l’apertura dei suoi archivi relativamente all’esodo e all’insediamento nel paese, dopo il 1945, di numerosi nazionalsocialisti. Il 14 dello stesso mese la Santa Sede diffonde, attraverso l’agenzia Reuter, una nota che qualifica come “storicamente falsa” la tesi secondo cui la Chiesa, con alla testa il Sommo Pontefice, avrebbe favorito l’evasione dei criminali di guerra.
In un tempo non lontanissimo, il rabbino Jacob Kaplan se ne ricordava a proprio proposito e a proposito dei suoi. E se, dopo il 1945, sacerdoti hanno aiutato collaborazionisti come prima di loro avevano aiutato resistenti, lo hanno fatto perché da secoli la Chiesa apriva le sue porte agli uomini, senza chiedere loro carte d’identità, visti di quanti danno lezioni al prossimo, oppure autorizzazioni di vedette dei mass media.
Posso aggiungere che, dopo il 1945, ho provato compassione nei confronti di giovani della mia età, gettati nelle braccia dei nazionalsocialisti dall’ingenuità e dalla completa mancanza di cultura politica. La maggior parte di quanti, sistemata nelle sue confortevoli redazioni, oggi li giudica, non ha conosciuto questo periodo ed è uscita da scuole nelle quali veniva praticata la disinformazione sulla guerra, sulla Resistenza e sul nazionalsocialismo, nascondendo soprattutto il fatto che il Sicherheit Dienst, il Servizio di Sicurezza del Terzo Reich, la Gestapo, il Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori Tedeschi, e così via, fossero sistematicamente infiltrati dall’apparato comunista, a partire dal 1932, dopo una circolare segreta – ma scoperta in seguito – di Walter Ulbricht.
E questa infiltrazione era di tale qualità e quantità che – per esempio – negli anni 1941 e 1942 più del 60% del personale nazionalsocialista in Belgio lavorava in realtà per il governo sovietico. Lo affermo in quanto mi ha illustrato il caso, dopo la guerra, sulla base di documenti, uno dei tre dirigenti del controspionaggio belga.
Se gli archivi “nazionalsocialisti” d’Argentina vengono realmente aperti ai ricercatori, si potrà verificare il grado di onestà di quanti li utilizzeranno. Infatti vi si trova, per esempio, che Juan Domingo Perón e sua moglie Eva Duarte, più nota come Evita erano certamente agenti dell’Abwehr, lui dal 1930; ma che, siccome il governo sovietico aveva scoperto il loro dossier a Dresda, dopo il 1945, lo stesso uomo politico argentino è stato indotto a lavorare per il KGB dal 1948 fino alla morte, avvenuta nel 1974 (1).
Quanto a Martin Bormann, che ha sostituito Rudolf Hess a fianco di Adolf Hitler dopo il 1941, non è assolutamente morto a Berlino. L’ho incontrato nel 1948. A capo di una filière che ho penetrato, un personaggio, ancora vivente a Buenos Aires e che ho visto nel 1978, l’ha provvisoriamente accolto presso di sé. E lo stesso Martin Bormann, nel 1949, ha ispirato in Der Weg, pubblicazione filonazista d’Argentina, gli articoli che incitavano gli emigrati tedeschi a “riprendere il cammino della collaborazione germano-sovietica”.
Evidentemente, con buona pace di un certo storico britannico, più ammiratore di Harold “Kim” Philby che del generale Reinhard Gehlen, capo dello spionaggio tedesco-occidentale fino al 1972, Martin Bormann era un agente dell’Unione Sovietica.
Quando Shimon Samuels, “storico” del Centro Wiesenthal, scrive su The New York Times del 9 febbraio 1992 che Heinrich Müller, detto Gestapo Müller, forse è ancora vivo, ci si può sbellicare dalle risa: infatti ho raccontato anni fa come sia andato in Inghilterra e abbia tentato di abbandonare i suoi veri padroni, il NKVD/KGB, recandosi in America Centrale, qui sia stato rapito dai servizi segreti cecoslovacchi e condotto a Praga, dove è stato tenuto sotto controllo sovietico fino alla morte (2).
In proposito, Simon Wiesenthal mi ha chiesto perfino informazioni, e in una delle sue lettere lamentava che “anche Allende” non gli aveva voluto consegnare Walter Rauff e altri, rifugiati in Cile. Walter Rauff aveva avuto una parte importante in Italia e costruito “la via romana” di evasione dei nazionalsocialisti verso l’America Meridionale. Certo, ho risposto al professor Simon Wiesenthal, è accaduto “perché Rauff era passato al servizio del KGB”… come Heinrich Müller e la metà dei maggiori esponenti nazionalsocialisti in America (3).
Dunque, la messa a disposizione dei dossier argentini costituisce un regalo avvelenato da parte del presidente Carlo Sául Ménem. Certo, si potranno risolvere una decina di casi notori di carnefici, grazie ai quali l’Occidente cadrà in trance nella “danza dello scalpo”; certo, Eduard Roschmann, alias Fritz Wegener, il cosiddetto “macellaio di Riga” è là; certo, il dottor Josef Mengele vi è giunto sotto il nome di Gregor Helmut, e così via. Sì, gli archivi personali di Adolf Hitler sono arrivati in Argentina nel 1948 – posso fornire la data – e anche certi nazionalsocialisti li hanno rivenduti parzialmente, compresi diversi filmati, vent’anni dopo.
Ma avranno cattive sorprese anche anti-nazionalsocialisti di professione: infatti, scopriranno una volta di più il comune lavoro nazi-comunista, nel corso di diversi periodi storici, nella Germania Orientale e nel mondo, e che né la Santa Sede né i cattolici del tempo o la Chiesa di Francia – per fare ancora riferimento a questa – erano al servizio dei loro avversari patentati, e non ne sono stati complici.
Note
(1) Cfr. il mio GRU, le plus secrèt des services soviétiques. 1918-1988. En collaboration avec Clifford A. Kiracoff, Stock, Parigi 1988, p. 240; cfr. anche il mio Les stratèges de la peur. Vingt ans de guerre révolutionnaire en Argentine. Enquête réalisée avec la collaboration de Danièle de Villemarest et des archives du Centre Européen d’Information, Éditions Voxmundi, Ginevra 1980; la stessa caduta del presidente argentino, nel 1955, sembra essere stata “pilotata” dal governo sovietico (cfr. ibid., p. 42).