Il rogo di Giordano Bruno

Giordano Bruno da False accuse alla Chiesa, Piemme, Casale Monferrato 1997, pp. 145-165.

di don Luigi Negri

L’inquisizione ha distrutto la creatività dell’uomo moderno?

Intendo fare come premessa un’osservazione metodologica che serve sia retrospettivamente per il problema delle crociate, sia per il problema molto più complesso e spinoso di Giordano Bruno e che servirà anche per tutti i punti scottanti della storia della Chiesa.Il problema della conoscenza storica è un problema di conoscenza globalrnente morale. Non si tratta di conoscenza scientifica dell’avvenimento storico.

L’avvenimento storico, infatti, in quanto è un atto di persone e di gruppi di persone che hanno intenzioni e subiscono condizionamenti non può essere studiato come un qualsiasi fenomeno scientifico. La verità ultima di tutti gli avvenimenti storici sfugge allo storico, che la può conoscere solo per approssimazione. In questa approssimazione c’è certamente un aspetto di considerazioni morali, ma non soltanto morali, infatti l’aspetto interessante sta nel vedere come attorno al giudizio morale si raccolgono fatti, valori positivi, condizionamenti che ci mostrano la struttura sottostante, per cui la conoscenza di un fenomeno storico è ultimamente la conoscenza della sua struttura.

Ora, nella struttura di questo periodo, mi sembra che il movente non unico, ma determinante, che convive con moltissime cadute o incoerenze, sia un movente che trova la sua origine nella fede e nell’impegno della testimonianza cristiana nel mondo.

L’osservazione che nel fenomeno delle crociate ci sono stati dei fatti immorali sarebbe inutile a farsi. io non ho avuto l’intenzione di dire che non ci sono stati fenomeni di violenza, ho semplicemente cercato di scardinare l’idea laicista della crociata, cioè che nella crociata la religione mostra il suo fondamentalismo utilizzando la violenza per un’operazione di carattere ideologico-politico: questo è quello che io ho messo in discussione.

Ciò che ci preme dire circa il cedimento morale è che non si tratta di un problema delle crociate, ma di quell’epoca: durante tutto quel periodo il contatto era rozzo e si avevano le mani piuttosto pesanti, non solo fra cristiani e musulmani, ma fra cristiani e cristiani, fra musulmani e musulmani, ecc

É chiaro che ovunque si ammazza un uomo si compie un delitto. Il problema è vedere il gioco di questo giudizio morale all’interno di un fenomeno che è complesso e sfaccettato, denso delle più diverse implicazioni.

Per quanto riguarda Giordano Bruno, la complessità si rivela nel fatto che la sua vicenda va situata nel suo nucleo teologico-filosofico-ecclesiale, nell’ottica di quella particolarissima situazione della Chiesa e della società civile che caratterizzava ancora il Seicento.

La soppressione di una vita (che dal punto di vista morale è sempre un grave errore, sia esso compiuto nel 1600 al Campo dei Fiori oppure nei campi di concentramento, oppure sparando all’amante della moglie) assume connotazioni, valori anche morali diversi a seconda che si cerchi di individuare il contesto in cui è operata e le motivazioni profonde che l’hanno determinata.

Quindi vi è certamente una valenza morale, ma non si può ridurre la conoscenza storica alla valutazione morale, poiché la conoscenza storica è conoscenza di un complesso di istanze che si intrecciano in ogni gesto umano. In ogni gesto umano esiste l’aspetto dell’intenzione, dei valori, del condizionamento, dell’incoerenza. L’interesse di uno studio storico è allora mettere in evidenza che cosa è Stato determinante come intenzione, che cosa è stato determinato come esperienza e quali sono stati eventualmente i valori che l’hanno resa più o meno coerente e che, quindi, rendono più o meno comprensibile il gesto.

Veniamo ora alla questione di Giordano Bruno.

Intendo immedesimarmi nella domanda che è stata posta a titolo di questa parte: “L’inquisizione ha spento la creatività dell’uomo moderno?”. Cercherò di rispondere tentando di delineare almeno gli aspetti fondamentali dell’episodio di Giordano Bruno.

1. Giordano Bruno è un fenomeno assolutamente eccezionale nella storia della cultura del Rinascimento italiano. E l’espressione di quel particolare momento, la pienezza del Rinascimento italiano, in cui l’uomo è la misura di tutte le cose, si concepisce veramente come l’origine di tutte le energie intellettuali e morali.

Rileggendo il fenomeno di Bruno, Schelling diceva: “È una personalità ebbra di Dio”. Bruno è una personalità di ricchissima cultura, normalmente acquisita in modo autodidattico, pur avendo fatto studi regolari che, seguendo l’itinerario dell’ordine domenicano cui apparteneva, avevano una impostazione sostanzialmente non ancora tomistica, ma che comprendeva una forte componente agostiniana. Infatti il pensiero di san Tommaso si fa strada faticosamente anche all’interno dell’ordine, arricchendosi di influssi e correnti diverse.

La sua stessa vita, se ripercorsa, ci mostra una capacità straordinaria di produzione culturale e di rapporti. Quest’uomo, che nasce tutto sommato in una piccola città di provincia (Nola) e che nel giro dei pochi anni giovanili ha già rotto con l’ordine, si è secolarizzato e arriva nel 1581 a Parigi.

Qui entra a contatto con le cerchie più interessanti della cultura e della politica ed i suoi rapporti con Enrico III, re di Navarra, sono qualcosa che deve essere ben studiato perché io mettono anche in una posizione di particolare rilievo a livello politico nel confronto Francia, Inghilterra, Spagna che domina in quel momento la storia politica.

Passa in Inghilterra nel 1583; a Oxford scrive le opere fondamentali in italiano: La cena delle Ceneri; Della causa principio et uno; Dell’infinito universo et lo mundi; Lo spaccio della bestia trionfante; Gli eroici furori.

Si scontra con la cultura di Oxford; commentando questo episodio, è sempre stato detto che è l’uomo del Rinascimento a mettere in crisi la struttura medievale che sopravvive a Oxford. Non è assolutamente vero: la Oxford che egli incontra è protestante, ha rotto con la tradizione filosofica del Medioevo, quindi con la grande scolastica, e si è ridotta ad essere sostanzialmente un luogo di filologi, un luogo di letterati.

Quindi, la lotta, il confronto è fatto da Giordano Bruno nel tentativo di recuperare i termini della grande cultura oxoniense ed è all’inizio di un movimento di recupero della cultura tradizionale che passa attraverso l’università, su impulso anche suo e di altri grandi personaggi del mondo elisabettiano, attraverso dei cenacoli liberi. Egli si trasferisce in seguito a Praga, dove viene a contatto con una tradizione di carattere ermetico-magico. Torna finalmente a Parigi nel 1586, dove la morte improvvisa di Enrico III di Navarra che apre l’ascesa al trono di Francia ad Enrico IV, lo convince a tornare in Italia nel 1591.

Appena tornato a Venezia, in una situazione di fondamentale libertà nei confronti della struttura ecclesiastica, viene denunziato dal patrizio che l’aveva chiamato, Giovanni Mocenigo. Incomincia qui quel lungo processo di cui parlerò come terzo argomento del nostro lavoro: iniziato nel 1591 si conclude, per quanto riguarda la fese veneta, nel 1593 con un sostanziale “non luogo a procedere” di fatto se non di diritto. A seguito di ciò abbiamo l’estradizione a Roma nel 1593, una seconda fase del processo che si conclude con il rifiuto alla ritrattazione e con l’esecuzione capitale nel febbraio del 1600 in Campo dei Fiori.

E certamente un personaggio straordinario, frate di un convento di una piccola provincia italiana, che gestisce una responsabilità di carattere culturale e in qualche modo politico che assume connotazioni di carattere sociale e politico di rilievo internazionale. Ma non è l’unico. Nello stesso periodo, più o meno coevo, Tommaso Campanella ha una situazione di carattere culturale, storico e politico analoga.

Bruno è un uomo che non ha retroterra culturali determinati, che riesce a valorizzare san Tommaso e la cultura del Rinascimento italiano; riesce anche a valorizzare la filosofia neoplatonica nella versione fondamentalmente ortodossa di Marsilio Ficino. Ma, attraverso Agricola, viene a contatto con il pensiero ermetico e magico o con quella che vien chiamata la filosofia e la religione egiziana. Dopo aver mostrato l’eccezionalità di questa figura, che dimostra realmente come il Rinascimento italiano ha determinato un’immagine d’uomo e di cultura assolutamente nuova e creativa, dobbiamo ora cercare di entrare nel vivo del pensiero di Giordano Bruno.

2. A questo scopo noi possiamo utilizzare oggi le opere di una studiosa, la Yates, che ha dedicato a Giordano Bruno tutta la sua ricerca filosofica ultraquarantennale favorendone un’interpretazione in qualche modo nuova e più adeguata.

Bruno non vuole essere un filosofo cristiano, ma un mago rinascimentale propagatore dell’antica religione egiziana, poiché attraverso Agricola valorizza e si fa promotore di tutta la corrente mnemotecnica e magica. Si tratta della corrente della teoria della memoria, che nasce come letteratura (come studi di struttura letteraria, diremmo noi oggi), ma che ha un valore molto più ampio della struttura letteraria, perché viene accostata alla capacità magica.

In questa accezione, Giordano Bruno è innanzitutto un mago rinascimentale, che crede dì poter realizzare una visione universale di carattere precristiano e fondamentalmente anticristiano perché il cristianesimo è, secondo lui, responsabile della distruzione di questa antica religione egiziana che permette il massimo nell’intervento e nella trasformazione della realtà materiale e sociale attraverso la magia in senso stretto.

La sua preoccupazione fondamentale, lo vedremo nel processo, è quella di attutire il più possibile i punti di contrasto con la tradizione cattolica e addirittura con la disciplina ecclesiastica. Egli vuole dimostrare una capacità di formulazione culturale assolutamente nuova, che non ha e non vuole avere legami immediati con la tradizione cristiana, anche se non la rifiuta.

Ecco perché a Oxford è il difensore di san Tommaso, ovvero il difensore dal punto di vista culturale di un’altissima tradizione filosofica che le vicende del protestantesimo, con una sorta di distruzione dell’immediato passato cattolico, avevano cancellato. A Oxford c’erano stati dei veri e propri roghi di centinaia di migliaia di manoscritti dell’antica tradizione filosofica; Giordano Bruno e un uomo di cultura, che non può accettare che un momento fondamentale della storia, della cultura precedente venga distrutto per fanatismo.

Si tratta dunque di un uomo che, nella sua straordinaria libertà di approccio con il passato, non ha come preoccupazione quella del dialogo con la tradizione cattolica, ma quella di formulare un’immagine assolutamente nuova dell’uomo e del suo rapporto con la realtà. Nello Spaccio della bestia trionfante si afferma: “Non sai come l’Egitto sia l’immagine del cielo? La nostra terra è tempio del mondo, ma tempo verrà che apparirà l’Egitto. Invano esso è stato religioso cultore della divinità.

O Egitto, delle religioni tue solamente rimarranno le favole, la morte sarà giudicata più utile della vita, nessuno alzerà gli occhi al cielo. Il religioso sarà stimato insano, l’empio sarà giudicato prudente, il furioso forte, il pessimo buono; ma non dubitare Asclepio, perché dopo che saranno accadute queste cose, allora il Signore, Padre e Dio governatore del mondo, senza dubbio darà fine a tal macchia richiamando il mondo all’antico volto”.

Dunque, c’è una posizione del tutto originale, che è quella della religione egiziana e della magia a essa conseguente, fenomeno che si lega al progetto globale di una riformulazione radicale e definitiva della cultura proprio del Rinascimento. Anche Campanella, infatti, parlerà di una instauratio magna della filosofia e delle scienze; anche Telesio ha parlato di una instaurazione da capo del sapere, proprio perché l’uomo che fa cultura non ha più nessuna vincolo, ed in questo senso è realmente l’uomo moderno, che si sente e vive svincolato da qualsiasi condizionamento.

Su questo progetto si innesta una preoccupazione di tipo strettamente politico: Giordano Bruno è filofrancese. Quando soggiorna a Oxford abita a casa dell’ambasciatore di Francia, presso la corte di S. Giacomo. Infatti, la Cena delle Ceneri, che è l’opera programmatica, è la descrizione di una cena, svoltasi nell’ambasciata francese, in cui egli dialettizza con i rappresentanti della cultura ufficiale di Oxford.

Sostanzialmente la sua preoccupazione religioso-politica è quella di operare una mediazione che isoli gli estremismi.

Quali sono per lui gli estremismi? Il regno di Spagna e la sua politica ultrapapale, ultracattolica e il fanatismo luterano. Stando così le cose, lo scontro e inevitabile e la possibilità di ricostruire in Europa una situazione sociale e politica non turbata dagli scontri religiosi si annulla.

Ecco perché intorno ad Enrico III c’è, certamente appoggiato all’azione culturale di Giordano Bruno, il tentativo di tessere le trame di un’alternativa moderata alla controriforma da un lato e al radicalismo luterano, calvinista, protestante e anglicano. La morte di Enrico III e la salita al trono di Enrico IV che si converte perché “Parigi val bene una messa”, mette fine a questo progetto.

É fuori discussione che uno potesse pensare di essere mago rinascimentale, cioè di creare un tipo di struttura intellettuale e tecnologica (perché, in fondo, la scienza è un aspetto della tecnologia o, almeno, ha delle applicazioni tecnologiche) per modificare la vita e il comportamento degli uomini e, al di là di esso, i comportamenti sociali e, quindi, la struttura della società ma è chiaro che tale posizione non possa più essere considerata cattolica.

Dunque, la Chiesa con Giordano Bruno si trova di fronte a un fenomeno che ha più volti e che pretende giocare anche un peso di sostanziale rilievo all’interno della politica. Occorre tener presente che sono gli anni in cui il cattolicesimo era ridotto a Italia e Spagna; sono infatti gli anni della massima avanzata del luteranesimo in Europa e, con Elisabetta, della sistemazione dell’anglicanesimo in Inghilterra e Bruno è certamente il ponte fra i settori moderati che sono attorno ad Elisabetta regno di Francia per creare un’intesa moderata.

Che questa sia la sostanza del pensiero di Bruno, credo che si possa più mettere in discussione: mi che sia un dato acquisito dalle ricerche più rea compreso il contributo della Yates, come riconoscimento unanime di tutti gli studiosi, primo fra tutti il Garin, che si erano occupati del problema della filosofia rinascimentale in Italia.

É un fenomeno, dal punto di vista culturale, di assoluta eccezionalità, nuovo e che pretende di essere nuovo, che nelle sue radici travalica, a monte, il cattolicesimo portando a galla una tradizione gnostica, sofistica, magica che ha permeato tutta la tradizione, anche tutta la cultura medievale, senza mai essere completamente eliminata.

Quindi, in Giordano Bruno viene a galla il volto anticattolico della modernità, il massimo della creatività; ma questa creatività, evidentemente, non può che essere “diversa”: si tratta di una creatività nuova che prende atto di vivere in un contesto determinato dalla tradizione. La tradizione, però, è sostanzialmente da rinnegare perché il cattolicesimo, come struttura ecclesiale ed ecclesiastica, è per Bruno responsabile della eliminazione della religione naturale universale.

La religione egiziana come religione naturale: è una tematica che tutto il Seicento affronterà, dove viene messo a tema il rapporto fra le religioni naturali e le religioni storiche e se le religioni storiche, e in particolare il cattolicesimo, siano una corruzione o un inveramento delle religioni naturali.

Si tratta perciò di una problematica che vede un mutamento antropologico: questa gente non aveva nessun pregiudizio né rispetto per niente, perché voleva costruire una visione originale dell’uomo e della realtà e portarla, il più rapidamente possibile, dall’aspetto teorico all’aspetto pratico. Quindi, viene recuperata anche quella istanza fondamentale della modernità che si sarebbe espressa compiutamente dopo l’illuminismo, cioè l’ideologicità, ovvero il passaggio dalla teoria alla prassi e la modificazione della prassi, soprattutto della prassi sociale, a partire dalla teoria.

Questo è Giordano Bruno. Egli non è soltanto un frate ribelle; è una personalità che si pone sul piano teorico, pratico, ecclesiale e politico dei problemi che sono assolutamente obiettivi.

Dopo aver chiarito l’immagine, ricordiamo che già nella sua biografia gli studiosi si sono chiesti chi ha finanziato la sua enorme capacità di viaggio, non potendo evidentemente essere pagata da lui stesso. Qualche anno fa un certo filone di studi storici ha individuato la possibilità che egli fosse una spia in Inghilterra a servizio della Francia.

Anche queste ipotesi tendono a indagare livelli di eccezionale complessità nella vicenda bruniana, la quale, nella sua realtà ultima, appare in tutta la sua perspiquità.

3. Arriviamo al processo. Su di esso dobbiamo certamente soffermarci in quanto è questo il punto dello “scandalo” per la storiografia e la cultura laicista.

Qualche mese fa, quasi provvidenzialmente, è uscito in Italia Il processo a Giordano Bruno a cura di Luigi Firpo.

Luigi Firpo è stato un grande filosofo del diritto e della morale, un grande storico della filosofia di formazione laicista, uno dei migliori allievi di Saitta e Gentile, che ha studiato per quasi quarant’anni le carte del processo di Giordano Bruno. Con questi documenti è stato possibile ricostruire con assoluto rigore tutte le vicende giudiziarie di Bruno, ad esempio le varianti delle accuse nelle denunce scritte e nelle accuse orali.

Il processo di Giordano Bruno è il tipico processo inquisitoriale; noi diremmo, provocatoriamente, un processo altamente garantista. Il processo si muove a partire da alcune accuse, orali o scritte, che vengono registrate e di cui viene data immediata notizia a colui che è inquisito perché possa difendersi; sono decine, e son tutti in archivio i memoriali che Bruno stende per rispondere alle singole accuse. Le accuse non hanno valore probatorio se non sono confermate da almeno tre testimoni; per cui, un’accusa di un solo testimone, per esempio il Mocenigo, quello che lo denunziò, viene ritenuta invalida fino agli ultimissimi giorni del processo.

Dopo la conclusione del processo a Venezia, che resta una cosa a parte, inizia la prima fase del processo romano nel 1593. Egli è detenuto a Roma nelle prigioni del S. Uffizio, che sono prigioni che prevedevano che il carcerato avesse una sua cella a disposizione, potesse scrivere, leggere, entrare a contatto periodicamente con quelli che potevano essere coinvolti nella sua difesa.

Ogni tre mesi, infatti, gli inquisitori (non soltanto i funzionari, ma i cardinali inquisitori) incontravano i prigionieri, i quali esprimevano le loro istanze, le loro richieste: ci sono documenti in cui Giordano Bruno chiede vestiti pesanti perché fa freddo, chiede una modificazione del vitto perché è sempre quello, chiede di poter leggere e scrivere, chiede penne, inchiostro, breviari, chiede la possibilità di consultare la Summa Theologiae. Quindi, anche dal punto di vista del rapporto con gli accusatori pubblici, il processo è fatto perché l’imputazione possa essere contestata.

C’è, dunque, una prima fase che è quella della individuazione delle accuse, della interrogazione dei testi, della loro verbalizzazione e contestazione, motivo per cui l’udienza si chiama “constituto”; ci sono ventun “constituti” in cui Bruno è presente, in cui vengono contestate le accuse e gli vien dato, normalmente, uno spazio adeguato di tempo per la risposta.

Quando si è in fase di conclusione del processo romano (siamo nel 1595), c’è un intervento diretto del Papa il quale, siccome le accuse hanno messo in evidenza le opere, chiede a una commissione di teologi di valutare se, nella lettura dei testi stampati e anche di quelli non ancora stampati, ma manoscritti, ci siano conferme alle accuse già fatte o nuove accuse. Questa censura (come si dice) dei libri dura due anni: dal 1596 al 1597.

Nel 1597 si rifà integralmente il processo, perché l’Inquisizione richiede che, discussa una prima volta la causa, escussi i testi, archiviate le accuse e risposto l’inquisito alle accuse, non sia sufficiente: è necessaria una ripetizione, che può essere fisica o documentale, cioè il testimone può tornare per riproporre le accuse oppure può affermare, per iscritto, che le accuse precedentemente presentate sono confermate.

Dal punto di vista del rigore giuridico, non si può fare nessuna accusa al processo inquisitoriale perché questo è esattamente lo schema di tali procedimenti.

Alla fine di questo lungo processo (leggendo Firpo ci si rende conto del passaggio) alcune accuse vengono fatte cadere e alcune sono confermate. Le quattordici proposizioni che vengono sottoposte negli ultimi due “costituti” a Giordano Bruno e sui quali gli viene chiesta la ritrattazione, non sono tutte le accuse del primo processo del 1591; non sono neppure quelle del secondo processo del 1594, ma sono ciò che è rimasto di tutta l’azione giurisdizionale di carattere inquisitoriale e che rappresentano qualche cosa nei confronti della quale la Chiesa non può ammettere che un cristiano le affermi impunemente.

Esse sono: negare la Transustanziazione, che riprende la quarta accusa della prima denuncia; mettere in dubbio la Verginità di Maria; aver soggiornato in Paesi eretici, vivendo alla loro guisa; aver scritto contro il Papa lo Spaccio della bestia trionfante; sostenere l’esistenza di mondi innumerevoli ed eterni, in una concezione totalmente panteistica, per cui l’universo è Dio e Dio è l’universo, e il rapporto tra l’uno Dio e il mondo è un processo emanativo, quindi sostanzialmente necessitato, e quindi non è più affermato il principio della creazione del mondo da parte di Dio; asserire la metempsicosi e la possibilità che un’anima informi più corpi, ritenere la magia buona e lecita; identificare lo Spirito Santo con l’anima del mondo, quindi dare una versione non cristiana di un dogma fondamentale della fede; affermare che Mosè simulò i miracoli e inventò la Legge; dichiarare che la Sacra Scrittura non è che un sogno; ritenere che perfino i demoni si salveranno; asserire che Cristo non è Dio, ma ingannatore e mago, e che a buon diritto è stato ucciso; asserire che anche i Profeti e gli Apostoli furono maghi e quasi tutti vennero a mala fine.

Ciò che è accaduto negli ultimissimi mesi rimane, anche nello studio delle carte processuali un fatto enigmatico. Giordano Bruno, non soltanto nella fase veneta (1591-1593), ma anche lungo tutto il corso della fase romana si era detto disponibile alla ritrattazione e aveva sostanzialmente ritrattato tutti i punti di più grave frizione con il dogma cattolico e con la disciplina ecclesiastica, ribadendo, nei casi del dogma, che si trattava il più delle volte di discussioni di carattere puramente teorico fatte con gente che non ci credeva; dal punto di vista della disciplina, aveva ribadito che, essendo vissuto come errabondo per tutta l’Europa in Paesi non cattolici, poteva avere certamente assunto un modo di fare e di dire non propriamente ecclesiastico.

Quindi, se si seguono le carte del processo, per quanto riguarda il patrimonio dogmatico-cattolico e la ecclesialità Giordano Bruno è morbidissimo.

a ritrattazione nel processo inquisitoriale comporla sola comminazione di pene canoniche, non di pene civili. Il reo che ha ritrattato, che ha riconosciuto avere sbagliato, al massimo ha una serie di pene cache, nel caso di frati, consistevano nel confinamento in qualche convento e nell’esercizio di una serie di pratiche di pietà da realizzare evitando, quindi, di essere consegnato al braccio secolare, come invece chi non ritrattava.

Al contrario, chi non ritrattava assumeva esplicitamente e pubblicamente una posizione alternativa alla Chiesa; e siccome la Chiesa informava la società, consegnava il reo al braccio secolare perché la vicenda da religiosa e canonica assumeva un rilevo di carattere civile.

Ora, è indubbio che il processo stia andando verso la ritrattazione quando accade un evento gravissimo: un anno prima della conclusione un frate che era stato imprigionato a Padova e a Venezia con Giordano Bruno, tal frà Celestino da Verona, che vive in un convento delle Marche e sta ponendo fine ad una condanna di carattere canonico che aveva ricevuto dall’Inquisizione, si presenta spontaneamente a Roma con un accusa circostanziata a Giordano Bruno.

Era un’accusa tremenda, così grave, dice il Firpo che ha studiato le carte, che viene segretata direttamente da Clemente VIII per cui non se ne trova traccia. Essa è comunque un’accusa gravissima, di cui Celestino si dice anch’egli responsabile, tant’è vero che viene giustiziato sei mesi prima di Giordano Bruno.

C’è dunque questo fenomeno aberrante, incomprensibile di uno che sostanzialmente accusa Giordano Bruno di una tale eterodossia e probabilmente di una doppiezza invincibile nei confronti della Chiesa che non solo il suo caso ha una conseguenza tragica, ma che il processo a Giordano Bruno, con una testimonianza così giurata e spontanea, si trova di fronte a una svolta veramente drammatica.

Giordano Bruno sembra sostanzialmente dire: “Sono disposto a ritrattare tutto, meno i principi della mia filosofia”.

Questa è la questione. Sostanzialmente il rifiuto di Giordano Bruno è di mettere in discussione, con una istanza culturale e morale come la (Chiesa, il contenuto della sua creatività. I suoi errori dogmatici e la sua disobbedienza erano per lui in fondo degli avvenimenti secondari. Il cuore della sua vicenda umana e culturale era la sua filosofia, questa nuova o antica visione della realtà recuperata e portata in vigore, su cui si poteva in qualche modo creare un momento nuovo della storia dell’umanità. Su tutto avrebbe potuto ritrattare, su questo no.

Ma le proposizioni su cui la Chiesa ha chiesto la ritrattazione sono ugualmente di carattere dogmatico, di carattere disciplinare ed ecclesiastico e di carattere filosofico. Credo che il dramma (e Firpo dice dramma tra la libertà di coscienza e l’autorità) è davvero nel senso che la visione cattolica dell’uomo ritiene che la creatività non sia l’assoluto; la creatività è una capacità soggettiva ed individuale che deve misurarsi con una Presenza che ritiene di essere la rivelazione definitiva dell’Essere, di Dio e che, quindi, in qualche modo si pone come normativa della creatività.

Allora, è indubbio che il processo ha la sua conseguenza inevitabile: il rifiuto della ritrattazione dà alla questione un carattere prevalentemente civile.

La ritrattazione rifiutata comporta l’itinerario solito, cioè la consegna al braccio secolare e l’esecuzione; ma affinché avvenga la ritrattazione dei dieci, quindi dalla comminazione della sentenza all’esecuzione, vi è stato (come ricordano le carte dei processo) un susseguirsi continuo di tentativi di aiutarlo a trattare attraverso i migliori rappresentanti degli Ordini Predicatori di Roma (agostiniani, francescani, gesuiti). Ma Giordano Bruno è irremovibile e, essendo irremovibile, la questione ha la sua conseguenza di carattere civile. Infatti la legge non prevedeva eccezioni: l’itinerario fu seguito fino al suo esito ultimo, fino all’esecuzione capitale.

Vorrei ora fare due osservazioni conclusive, sperando di avervi dato il senso della drammaticità della questione:

– Prima osservazione. Indubbiamente la creatività intesa nel senso moderno della parola è una creatività che, dove la Chiesa ha avuto un suo influsso determinante, si è in qualche modo ridotta, questo è fuori discussione. La controriforma ha rappresentato, dal punto di vista della espressione, della espansione della creatività individuale, un reale ed obiettivo condizionamento.

Ma questa creatività di tipo assoluto, in cui l’uomo si concepisce come il creatore della cultura in quanto in qualche modo si concepisce come il creatore della realtà, non può essere pensata puntualmente riferita a Giordano Bruno, il quale non può non essere collegato, al di là della sua vicenda, alla secolarizzazione dell’Occidente e alla nascita di una cultura alternativa a quella cattolica, a quella che dall’Illuminismo in poi si è trasformata sostanzialmente nelle ideologie e nei grandi sistemi totalitari da esse derivati.

Non si può, quindi, idealizzare la creatività nella storia: la creatività non cattolica nella storia dell’Occidente significa la creazione di una società in cui il riferimento religioso viene contestato, dove c’è una presunta centralità dell’uomo cui segue la distruzione ideologica dell’uomo stesso, la sua obiettiva “manipolazione” da parte del potere ideologico.

Noi non facciamo la storia di Giordano Bruno cento anni fa; noi rileggiamo la storia di Giordano Bruno alla fine della parabola moderno-contemporanea, ed è fuori discussione che, al di là di tutta l’enfasi sull’assolutezza della persona, la persona umana alla fine di questa parabola risulta molto più manipolata e negata di quanto non fosse all’inizio.

Quindi, indubbiamente, la creatività riceve un “freno”; ma stiamo attenti a valutare i termini oggettivi e storici di questa creatività.

– Seconda osservazione. Per capire questa vicenda, che è drammatica, si devono rilevare due aspetti ben distinti.

Anzitutto, che il rifiuto del dogma e dell’ethos cattolico implicava sostanzialmente il rifiuto dei fondamenti su cui poggiava la società; se volete un paragone con cui si possono capire certe cose è l’equivalente del terrorismo degli anni ’70. Dal punto di vista culturale e sociale è un fenomeno che attacca i fondamenti stessi della società; allora la società e la Chiesa, in quanto forma della società, autorizza la difesa fino all’estrema ratio della soppressione della vita, che non viene giustificata, ma utilizzata come forma estrema di difesa.

É per questo che, senza malignità e senza doppiezza ritengo che l’apparato ecclesiale ed ecclesiastico-sociale non si sentisse personalmente responsabile del delitto, ma si sentisse necessitato ad un intervento particolarmente duro perché era in questione la possibilità stessa dell’esistenza della società, la quale prima di arrivare a questa estrema ratio aveva battuto tutte le strade del convincimento: primo, aveva dato l’esempio di un processo singolarmente oggettivo, senza pregiudizi a priori sulla colpevolezza; secondo, con una preoccupazione che l’accusato potesse prendere conoscenza delle accuse e rispondervi; terzo, l’accertamento che le cose erano obbiettive, cioè l’esistenza di testimonianze e confermavano o addirittura ammissioni proprie ‘imputato (Bruno in più di un’occasione ammette: “Sì, ho pensato così, ed ho sbagliato”; ma per quanto riguarda la sua filosofia, in tutte le risposte di Bruno c’è una difesa ad oltranza della originalità del suo pensiero, di cui non si preoccupa e della cui obiezione al contenuto dogmatico fondamentale cattolico non si interessa.

Allora, concludendo, credo che il dramma di Giordano Bruno sia il dramma certamente della libertà di coscienza e della libertà di ricerca che trova sulla sua strada un punto di obiezione radicale, ma motivato in quanto c’è una dissonanza totale dalla dottrina della Chiesa e c’è la volontà a oltranza di rifiutare di rientrare nell’ambito della Chiesa; e, poiché si vive in una società che è influita dalla presenza della Chiesa, questa si difende.

È così oggettiva la preoccupazione che, secondo me, in questo caso l’aspetto morale non passa in secondo piano, ma non è quello rilevante, perché per la giurisdizione del tempo non è rilevante nel senso che quello è un modo in cui la società si difende.

Uno o due secoli dopo si potrà dire: “E una difesa eccessiva, è una difesa colposa” oppure si può obiettare che c’è una evoluzione della coscienza morale personale e sociale che dà alla società strumenti di difesa che non sono di questo tipo; ma tutto questo, secondo me, è secondario nella comprensione della vicenda di Giordano Bruno.

Riassumendo:

1) Si tratta di un fenomeno culturale assolutamente nuovo, che dice la maturità del Rinascimento italiano come capacità di creazione di un’antropologia originale e che vive una volontà di creazione totale di cui la frase “ebbro di Dio” è certamente un’immagine significativa. La vita testimonia questa creatività nell”impegno su più fronti: teorico, filosofico, religioso, politico, ecclesiastico-politico; quindi, fa diventare il fenomeno di enorme importanza.

2) L’aspetto del pensiero lo configura come non più cristiano e che non ha nessuna preoccupazione di affermare il suo non-cristianesimo di affermare una concezione sostanzialmente monistica-panteistica. Lo stesso eliocentrismo di carattere copernicano, ad esempio, viene assunto non in termini scientifici, ma magici; quindi, la visione dell’infinità dei modi, dell’Uno che si esprime nell’infinità dei mondi determina quella che potrebbe essere chiamata una polarizzazione dialettica nell’Essere, per cui l’Essere è insieme uno e molteplice.

Tutto ciò dice certamente il vigore e la genialità filosofica di questo personaggio, ma dice anche la rottura radicale con un passato, che viene valorizzato dove è necessario, perché è un uomo di cultura (ad esempio, quando la posizione che Bruno ha di fronte non è culturale, non rifiuta di difendere il tomismo, perché il tomismo ha più cultura di quello che domina ad Oxford quando vi parla).

Quindi, il fenomeno culturale è di una grande imponenza e di una grande e significativa articolazione.

3) Il processo. Sul processo non c’è niente da dire, trattandosi di un processo oggettivo, di cui il Firpo dice: “La condanna è stata oggettiva. Dal punto di vista giuridico del tempo non esisteva alternativa. Dal punto di vista del procedimento è un procedimento esemplare”; e in questo Firpo dà ragione ad un altro grande storico dei processi inquisitoriali che è il francese Leo Moulin.

E un processo altamente garantista, di cui si è in qualche modo tentato di mettere in evidenza l’aspetto delle varietà delle componenti, nessuna delle quali poteva essere ignorata dalla Chiesa: non poteva essere ignorata la visione globale della realtà al di là degli indizi per cui si è anche pensato ad un Improvviso impazzimento, ma sono tutte ipotesi sulle quali sta il fatto grave della testimonianza di frà Celestino da Verona, ma sta soprattutto la non volontà di Bruno di identificare l’aspetto dogmatico con quello filosofico e la difesa a oltranza della propria posizione filosofica contro tutto e contro tutti.

Certamente la creatività ne risulta ridotta, ma non dobbiamo dire come Gentile e come dice la cultura laicista che l’Italia e la Spagna non conoscono la libertà di cultura e di ricerca, mentre la conoscono solo i Paese protestanti.

È indubbio che Giordano Bruno rappresenta un punto di scontro drammatico; però questa creatività va letta storicamente. Essa, infatti, è all’inizio di una parabola in cui la creatività alla fine è servita a distruggere l’uomo. Non diciamo che Giordano Bruno voleva distruggere l’uomo; ma se vogliamo fare un’osservazione storica, dobbiamo legare il 1600 al 1900, che è l’espressione storica coerente di questa creatività assoluta dell’uomo per cui egli diventa padrone della realtà.

Ma diventandone padrone, diventa padrone anche dei suoi simili, cioè realizza sui suoi simili un progetto ideologico per il quale non risponde a niente e a nessuno, perché essendo l’ideologo il rivoluzionario può fare dei suoi simili tutto quello che vuole.

Allora, chi ha in qualche modo frenato questa creatività ha certamente ridotto la libertà di ricerca in un punto, ma forse ha anche messo le condizioni perché la parabola non fosse così rovinosa. Questa è almeno un ipotesi da verificare, e io ritengo che la presenza della Chiesa cattolica, che ha duramente contestato una certa antropologia e una certa vita politico-sociale, non ha fatto solamente la difesa dei propri interessi, o la difesa del passato (come dice la storiografia laicista), ma anche creato quello che Giovanni Paolo Il chiama “un grande movimento per la liberazione della persona umana”.

Queste sono tutte le osservazioni che, in questa ricerca spassionata e appassionante, io ho fatto ed ho messo a vostra disposizione perché, almeno quando si tratta di una questione così drammatica che coinvolge anche la libertà e la vita della persona, siano evitate le approssimazioni, gli equivoci o le esasperazioni particolari che non servono mai alla comprensione del dramma della storia, ma, semplificando eccessivamente la storia, danno l’illusione di conoscere.

Al contrario, al di là di questa illusione di conoscenza, c’è tanta ignoranza; e l’ignoranza è anche sempre fonte di violenza.

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