Salve, vorrei chiedere qual è la posizione ufficiale della Chiesa sulla donazione di organi?Esiste?
Le sarei molto grata se mi volesse eventualmente segnalare prese di posizione al riguardo, da indicare ad alcuni che si sono rivolti a me per chiarimenti.
Ringrazio in anticipo e porgo cordiali saluti,
Alessandra N.
Risponde la dott. Chiara Mantovani, perfezionata in bioetica, presidente della sezione ferrarese dell’Associazione Medici Cattolici Italiani, responsabile culturale del Servizio di Accoglienza alla Vita di Ferrara
sì, esiste una posizione della Chiesa sui trapianti d’organi. Essa è espressa in vari pronunciamenti sia di singoli teologi o pastori, sia di vari organismi ufficiali. Unanimemente si dice che, in sé e per sé, il trapianto d’organi da cadavere a vivente non presenta elementi di illiceità; devono però essere fatte salve alcune condizioni sempre da rispettare, fra cui è bene ricordare, la prima e più importante, che il cadavere deve essere davvero tale; che a nessuno deve essere abbreviata la vita; che non deve mai realizzarsi un “commercio”, un tornaconto di natura economica.
C’è qualche teologo, in particolare don Gino Concetti, che addirittura argomenta in merito ad un vero e proprio “dovere morale” del cristiano a rendersi disponibile alla donazione. Per quanto riguarda il trapianto da vivente a vivente, anch’esso non scorretto, le certezze sulla non pericolosità nei confronti del donatore sono, ovviamente, il primo punto necessario. Altri criteri sono suggeriti dalla riflessione bioetica in ambito cattolico e, pur non rivestendo i caratteri del pronunciamento ecclesiastico, mantengono una autorevolezza notevole, tanto che molti sono accettati e riconosciuti anche dalle legislazioni nazionali. Ad esempio l’esigenza della distinzione fra l’équipe che esegue l’espianto e quella che si occupa dell’impianto; così come la diversificazione delle persone che richiedono l’autorizzazione ai parenti dai curanti di chi abbisogna di trapianto; così come la dichiarazione netta di non eticità (e dunque di inammissibilità) del nesso causale morte/espianto.
Ciò che giustifica la liceità dei trapianti si può così sintetizzare:
È atto altamente meritorio donare qualcosa di proprio al fine di aiutare, fino a salvare, una vita umana.
– Dopo la morte non siamo più di fronte ad una persona umana bensì ad un cadavere, nei confronti del quale sussistono doveri di rispetto e compassione, ma di natura e misura diversa rispetto al vivente. Il rispetto deriva dal fatto che il corpo è stato, fino a pochi istanti prima, la manifestazione visibile della persona umana; la persona umana è quello spirito incarnato che ha proprio nel corpo non un accessorio della propria sostanza, bensì una componente imprescindibile, senza il rispetto della quale non si da’ il rispetto della persona.
Eppure, contemporaneamente, il corpo non esaurisce in sé tutto il significato della persona ed una volta abbandonato dalla vita (in realtà dallo spirito che lo vivifica), esso è pur sempre “materia” (seppure nobilissima) della quale è lecito disporre per “buon” uso. E quale “uso” migliore del salvare un’altra vita?
Fatte dunque salve le condizioni dette prima, la Chiesa non giudica illecito il trapianto d’organi.
Non sarei però esauriente se non riferissi di due difficoltà, di due “inciampi”.
Il primo, forse il più sostanziale, riguarda proprio quelle paroline semplici semplici e apparentemente ovvie: il trapianto da cadavere deve avvenire DA UN CADAVERE. Il problema può apparire (e talvolta può essere) proprio quello dell’accertamento della morte. In Italia la legislazione in materia è fra le più serie e scientificamente rigorose: l’accertamento della morte esige criteri severi, non interamente condivisi e applicati in altre nazioni, e sufficienti a garantire sicurezza. Questo non significa che siano assenti gli abusi, nella stessa misura in cui il codice della strada non garantisce che tutti si fermino agli stop. È certamente importante che le regole ci siano e che siano eticamente corrette, cosa che non si può dire di tutte le leggi dello Stato.
In Italia, queste lo sono. Diciamola pure tutta: allo stato attuale delle nostre conoscenze, queste lo sono. Esistono associazioni (“contro la predazione degli organi a cuore battente”) che contestano i criteri di accertamento della morte: è una contestazione che deriva talvolta da una non conoscenza o non comprensione dei termini, talvolta dalla considerazione che qualcos’altro sarà scoperto in seguito e che quindi i nostri parametri sono inaffidabili. A questo, e solo a questo, mi permetto di replicare che prima o poi un cadavere dovrà essere sepolto: alcuni secoli fa lo seppellivano se non appannava più un vetro con il respiro: oggi siamo certamente in condizioni migliori. Eticamente è sostanziale avere la certezza della competenza attuale, non è necessaria la competenza futura.
La seconda e ultima perplessità è trasversale all’ambito cattolico (nel quale, anzi, è dibattuta) ma non riguarda precisamente l’eticità dei trapianti, bensì la liceità della legge sul silenzio-assenso. Per dirla molto in breve: a qualcuno non piace che uno Stato si arroghi il diritto di imporre un dono. La volontarietà espressa inequivocabilmente è caratteristica fondante del dono; altrimenti è dono di uno (lo Stato) ad un altro (il malato) senza che il vero donatore (pure senza dubbio cadavere, altrimenti l’illecito è a priori fuori discussione) ne sia certamente consapevole. Il che assomiglia terribilmente ad un esproprio, che è cosa diversa dal dono. E fra persone umane l’unica relazione eticamente corretta è quella di dono, non di uso.
Mi scuso per la lunghezza di questa risposta, che comprende almeno due domande rivoltemi ultimamente, che testimonia dell’interesse di queste tematiche, anche spesso impropriamente presenti nel panorama culturale attuale.