di Olimpia Tarzia
Così cominciò il suo racconto: «Ho due figli di 6 e 8 anni. Ho sempre creduto nelle battaglie di liberazione della donna e ho partecipato a tutte le manifestazioni, i collettivi, le iniziative che rivendicavano il diritto delle donne all’aborto. Ero tra quelle che scrivevano sui muri “aborto libero!”. E’ un mucchietto di cellule, così mi dicevano. E’ un mucchietto di cellule, così dicevo alle altre quando le accompagnavo ad abortire. E’ un mucchietto di cellule, così mi dissi quando scoprii di essere incinta ed andai ad abortire. Poi mi sono sposata e dopo qualche tempo desiderammo un figlio. Ad un mese e mezzo di gravidanza andai a fare l’ecografia. Ho sentito il cuore del mio bambino battere… e mi è crollato il mondo addosso! In pochi istanti ho ripensato a tutte le bugie dette, sussurrate, urlate. Sono stata ingannata! E quante donne ho ingannato! Non deve più succedere, voi dovete impedirlo, voi dovete dirlo a tutti! Vi prego datemi la possibilità di raccontare la mia storia perché nessuna donna venga più ingannata!»
E mentre parlava i suoi occhi si riempivano di lacrime per quel figlio perduto, per quell’aborto compiuto 10 anni prima ma che sembrava avvenuto ieri. 8 marzo 2002: immancabilmente, con un copione che si ripete da anni, sparuti gruppi di donne, amplificati da giornali e Tv, intrecciano danze e girotondi intonando lo stesso ritornello: «La 194 non si tocca. Il diritto all’aborto è una conquista delle donne. Indietro non si torna». Purtroppo, indietro non si torna. Più di quattro milioni di bambini, grazie a questa “conquista” non potranno mai fare il loro girotondo.
Centinaia di migliaia di donne porteranno nel cuore la tristezza e la rabbia di Anna. «Come può una madre uccidere il proprio bambino, contraddicendo la sua stessa natura?» Madre Teresa di Calcutta affermava che in tal modo la donna uccide due volte: il bambino e la sua coscienza. Sostenere la donna, la madre nel suo ruolo di accogliere e accompagnare la vita è importante non solo per la donna, ma anche per la società che altrimenti sarebbe più povera di speranza e di futuro.
Gli uomini politici per lo più tacciono. E non è una cosa buona. Gli uomini tutti devono capire che la battaglia in difesa del diritto alla vita non deve vedere differenze, né di sesso, né di religione, né di credo politico. Ma, per un consolidato e tacito accordo, lasciano questo territorio alle colleghe donne. E quelle che hanno spazio nei grandi mezzi di comunicazione – sempre le stesse – assumono i toni arroganti di chi si fa portavoce “delle donne” e continuano ad intrecciare i girotondi che avevano imparato quando, da giovani, militavano nelle file femministe, smerciando il loro stantio messaggio come qualcosa di nuovo, di moderno, di evoluto.
E purtroppo molte di quelle che non hanno fatto parte di quella cultura e che su altre tematiche si ritrovano su posizioni opposte, quando devono affrontare il tema dell’aborto si rifugiano in luoghi comuni, come se soffrissero di una sorta di complesso di inferiorità culturale, come se per una donna e ancor più per una donna politica, parlare a difesa del bambino concepito significasse essere “intolleranti, fondamentaliste, retrograde, ecc. ecc.”. E così questa politica si allontana sempre più dalle persone. E così queste donne politiche si allontanano sempre più dal vissuto vero delle donne.
Dov’è dunque la novità, il contributo specifico, il genio femminile? Forse che non può estrinsecarsi in una politica a servizio della vita? Certo che può. E ce ne sono testimonianze, ancora poche, ma comunque sempre di più. E’ una cultura che deve cambiare. E’ una consapevolezza che deve essere personale, convinta, coraggiosa, capace di farsi carico di tante attese di “liberazione” presenti nell’universo femminile. Liberazione dalla menzogna sulla vita nascente, liberazione da una pervasiva cultura di morte, liberazione dai luoghi comuni falsi e ingannevoli sull’emancipazione femminile, liberazione dagli ostacoli culturali, sociali, politici, economici e giuridici che si frappongono tra la donna e il figlio concepito.
Una consapevolezza che deve essere dichiarata: la legge 194 è stata una sconfitta per la donna; una consapevolezza cui devono seguire fatti: mobilitazione generale delle coscienze e delle Istituzioni a sostegno della vita e della donna. La nostra generazione può compiere una svolta epocale nella direzione della non discriminazione tra esseri umani, nati e non nati, delle pari opportunità tra forti e deboli, tra ricchi e poveri, tra sani e disabili.
E a questo processo storico cui tutti, uomini e donne possono partecipare, la donna può dare un contributo fondamentale: nel portarlo a termine o, drammaticamente al contrario, nel distruggerlo. Essere sempre dalla parte della vita, per ritrovare se stesse, per generare una società più matura e più giusta, per aiutare altre donne ad essere libere di non abortire, libere di scegliere la vita.
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