ANTICIPAZIONE
Il secondo volume sui documenti trafugati dall’archivista russo E l’Urss faceva affari con la giunta militare argentina
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Molto si è scritto sulle operazioni segrete condotte in Cile dalla Cia per provocare la caduta del presidente socialista Salvador Allende, abbattuto l’11 settembre 1973 dal colpo di Stato del generale Augusto Pinochet.
Ben poco si sa invece dell’attività parallela svolta nel Paese andino dallo spionaggio sovietico per sostenere Unidad Popular, il fronte delle sinistre. Ora però dalle carte riservate del Kgb giunge una novità importante: lo stesso Allende, a quanto pare, era un contatto confidenziale degli agenti di Mosca, dai quali ricevette ingenti somme di denaro.
La rivelazione si trova nel secondo volume dedicato dallo storico inglese Christopher Andrew ai documenti del Kgb copiati e trafugati in Occidente dall’archivista Vasilij Mitrokhin, morto nel gennaio del 2004. Il libro, che parla delle imprese compiute dalle spie sovietiche in Asia, Africa e America Latina, esce quasi simultaneamente in Italia (da Rizzoli), Usa e Gran Bretagna.
Il capitolo sul Cile si apre negli anni Cinquanta, quando Allende, socialista alleato dei comunisti, fu avvicinato da un uomo del Kgb, Svjatoslav Kuznetsov, cui assicurò «la sua disponibilità a collaborare su basi confidenziali e a fornire tutto l’appoggio necessario». Il cileno in realtà, nota Andrew, «non corrispondeva a nessuno stereotipo di leader marxista»: massone dai gusti aristocratici, amante del lusso e delle belle donne, era visto con diffidenza dai comunisti ortodossi, che gli attribuivano «simpatie maoiste». Tuttavia aveva un grande seguito tra le masse popolari e, proprio per il suo stile di vita borghese, appariva rassicurante ai ceti medi progressisti.
Sconfitto alle elezioni presidenziali nel 1964, nella tornata del 1970 Allende venne favorito dalla frattura del fronte moderato, diviso tra un candidato democristiano e uno di destra. Cia e Kgb investirono parecchi quattrini in quel turno elettorale, ma va ricordato che i fondi di Mosca andarono perlopiù al Pc di Luis Corvalán.
Comunque Allende prevalse nel voto popolare, sia pure con la maggioranza relativa e per uno scarto esiguo, poi venne eletto dal Parlamento: il Kgb rivendicò parte del merito per il successo e continuò a sovvenzionare il presidente, che s’incontrava e consultava spesso con Kuznetsov. I problemi iniziarono quando Mosca inviò a Santiago l’ambasciatore Aleksandr Basov, che pretendeva l’esclusiva dei rapporti con Allende. Il conflitto tra i due russi è emblematico della rivalità fra servizi segreti sovietici e ministero degli Esteri che caratterizzò l’epoca della Guerra Fredda.
Intanto la dura reazione di Washington all’elezione di Allende induceva il Cremlino a più miti consigli. Jurij Andropov, capo del Kgb, osservò che gli americani non interferivano nell’Est europeo e quindi, in ossequio alla spartizione del mondo, l’Urss in America Latina doveva procedere con cautela: su questo Mosca si trovò in perenne attrito con Fidel Castro, smanioso invece di esportare la rivoluzione in tutto il continente.
D’altronde il leader cileno aveva poco in comune con il dittatore cubano: «Secondo il Kgb – scrive Andrew – il difetto fondamentale di Allende era la sua indisponibilità a far uso della forza contro gli avversari». Forse anche per questo le somme stanziate dall’Urss in Cile furono piuttosto basse, rispetto agli enormi aiuti economici destinati a Cuba e più tardi al Nicaragua sandinista, per non parlare dell’Egitto di Nasser.
L’epilogo è noto. Colto di sorpresa dal golpe di Pinochet, nonostante i moniti delle spie di Mosca, Allende non fece appello alla resistenza popolare e preferì sacrificarsi (quasi sicuramente si suicidò mentre il suo palazzo veniva bombardato) per «evitare un bagno di sangue» ancor più orrendo.
Più in generale l’America Latina si dimostrò un ambiente inospitale per il Kgb, non soltanto perché situato nella sfera d’influenza americana, ma anche perché difficile da comprendere. Castro prese il potere senza alcun appoggio da parte dell’Urss: fu poi lui a contattare di sua iniziativa i sovietici, che ne fecero la loro testa di ponte, ma lo considerarono sempre un eterodosso dalle ambizioni eccessive. E non parliamo di Ernesto Guevara, accusato di ignorare «i principi basilari del marxismo-leninismo». La morte del Che in Bolivia, nell’ottobre del 1967, vide scendere in piazza a Mosca solo pochi studenti latinoamericani, mentre a Washington, nel covo del nemico, gli resero omaggio oltre 50 mila attivisti di sinistra.
Paradossalmente l’Urss trovò invece una tacita sintonia con i generali argentini. Mentre scatenava sulle atrocità di Pinochet un’intensa campagna propagandistica, con tanto di documenti falsificati, il Kgb preferì tacere sui delitti ancor più gravi della giunta di Buenos Aires. Un silenzio, osserva Andrew, tutt’altro che disinteressato: «Nel 1980, l’80 per cento delle esportazioni di grano argentino era destinato all’Unione Sovietica».
Il libro di Christopher Andrew e Vasilij Mitrokhin «L’archivio Mitrokhin. Una storia globale della guerra fredda da Cuba al Medio Oriente» (Rizzoli, pp. 604, 26) sarà in vendita dal 21 settembre
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