Franco Apicella
“Meno carri armati, più carabinieri” è il titolo dato il 29 ottobre scorso dal Messaggero a una intervista rilasciata dal ministro della Difesa; un richiamo subliminale all’intramontabile “più burro, meno cannoni”. Ciò che conta comunque è il contenuto dell’intervista, da prendere per quello che è, non certo una dichiarazione programmatica.
Sul primo argomento – il rientro dal contingente dall’Iraq – il ministro ha sostanzialmente confermato quanto già anticipato dal premier Berlusconi. Dopo le elezioni del 15 dicembre l’Iraq sarà “uno Stato nella pienezza della legittimazione democratica” e quindi potrà iniziare il ritiro graduale.
Sarebbe una strategia su cui si sta lavorando anche negli Usa e nelle scadenze temporali “il ritorno in Patria del contingente iracheno verrebbe benedetto da una campagna elettorale in pieno svolgimento”, secondo l’intervistatore. Il ministro ha negato che ci siano connessioni tra elezioni e decisioni militari sull’Iraq; queste ultime sono invece dettate dal progressivo incremento di capacità operativa delle forze di sicurezza irachene.
Fino qui tutto scontato, da parte dell’intervistatore e da parte del ministro. E’ stata invece la banalità disarmante della successiva domanda “… quale sarà il futuro delle Forze armate?” a provocare la risposta che ha dato lo spunto al titolo. La curiosità a dire il vero poteva essere soddisfatta anche solo leggendo il discorso che l’ammiraglio Di Paola aveva pronunciato il 22 giugno di quest’anno alla cerimonia di chiusura dell’anno accademico del Casd (Centro alti studi della Difesa).
Forse però il giornalista voleva sentire la voce del ministro, il quale ha concentrato la sua argomentazione sui pregi dell’arma dei Carabinieri dotata di “alcune capacità militari, molto antiche e venerabili (…) improvvisamente diventate di grandissima attualità”. Il riferimento è agli attuali scenari di transizione nei quali sarebbe prevalente l’obiettivo di addestrare le forze di sicurezza locali (Iraq) o di assicurare il passaggio da una amministrazione militare a una civile (Balcani).
Il ministro ovviamente smentisce l’intervistatore quando si affretta a dedurre che “il futuro sono i Carabinieri”; sottolinea invece l’importanza per tutte le Forze armate del “capitale umano” concludendo che “non è più, insomma, l’era dei carri armati”. Provocato con la domanda “carri armati kaputt?” il ministro conferma che le componenti pesanti come carri armati e sommergibili sono diventate oggi meno importanti.
Alla domanda conclusiva sul bilancio, il ministro risponde citando gli impegni onorati (Eurofighter e portaerei Cavour), quelli assunti (Joint strike fighter, aerei tanker e fregate Fremm). Resta il fatto che l’Italia, in coda alla graduatoria europea, spende meno dell’1% del Pil nella Difesa ma ha ambizioni di politica internazionale da grande Paese.
Da questa intervista si dovrebbe concludere che Marina e Aeronautica sono a posto (i loro programmi sono stati onorati o avviati), i Carabinieri hanno un futuro più che promettente e l’Esercito può fare a meno dei carri armati (fino alla prossima battaglia dei ponti di Nassirja). Anzi, forse si può fare a meno dell’Esercito o riconvertirlo in una forza di polizia ausiliaria.
Se non il ministro, certamente i suoi collaboratori sanno quali siano le vere priorità delle Forze armate italiane e come queste debbano essere consequenziali con gli studi e le indicazioni elaborate in ambito Nato e Ue. Anche le Alleanze, nei cui staff peraltro operano militari italiani, costituiscono impegni assunti e al tempo stesso opportunità di sinergie e dunque di integrazione e di risparmio.
A meno che non si voglia ricorrere anche per la Difesa alla finanza creativa. Il ministro, a conclusione della sua intervista, cita una scritta posta sulla porta dell’Istituto affari economici di Londra: “Non abbiamo soldi e quindi dobbiamo usare il cervello”. Gli aveva già risposto indirettamente parecchi anni fa il generale Riccardo Bisogniero, capo di stato maggiore della Difesa, che, a conclusione del suo intervento per la chiusura della 38^ sessione del Casd, citava questa frase di Churchill.
“Le Forze armate non sono una società a responsabilità limitata da ricostruire, rimodellare e ristrutturare di settimana in settimana, a seconda delle fluttuazioni del mercato del denaro, non sono neppure un oggetto inanimato da ampliare o modificare secondo i capricci del locatario o del proprietario. Sono una cosa viva. Se maltrattate si adombrano. Se infelici si avviliscono. Se attaccate con frequenza si ammalano. Se ostacolate oltre un certo limite si inaridiscono fino quasi a perire. E quando le loro condizioni divengono estremamente gravi possono essere ricostituite solo impiegando molto tempo e molto denaro”.