Un’analisi dei riti cattolici
di Geminello Alvi
II libro è una storia della liturgia cattolica, dalla Chiesa primitiva fino al Concilio Vaticano II. Vi si ritrovano erudizioni utili a capire ad esempio quanto sia stata grande l’importanza della riforma carolingia del rito. Giacché è proprio il rito romano riformato «che ritorna da Francia e Germania nel X secolo in una Roma liturgicamente indebolita e la conquista».
Fino a Gregorio VII (1073-85), che biasima la cessione della liturgia romana ai «teutoni» e le loro praticità abbrevianti, e predica ordinem romanum et antiquum morem. Ogni storia della liturgia è compresa tra il solve della storia e il coagula della tra¬dizione. E San Tommaso perciò la diceva fatta di costumi canonizzati ma pure di leggi.
Come ribadì nel 1831 il cardinale John Henry Newman, «le forme non provengono immediatamente da Dio, ma il loro lungo uso le ha rese per noi divine». Perché questo è il fatto: noi siamo stati tutti, persino quanti non vanno più in chiesa, penetrati dalle forme liturgiche. Le quali dovrebbero perciò pensarsi in un nesso divino, senza rotture, come il tronco di una pianta che si adegua ai suoi rami. È proprio questa idea organica ad essere piaciuta al Papa: ed ecco detto il secondo motivo per cui occorre occuparsene.
Quello che piace di più ai giornalisti, rovinati dal rumore della notizia ma spesso distratti da cosa significa. Del libro si è occupato, prima di diventare Papa, appunto il cardinale Ratzinger. Egli nella precisa recensione sul Forum Katholische Theologie, 1/2005, ha scritto: tra «i riformisti radicali e i loro avversari intransigenti, viene a perdersi spesso la voce di coloro che considerano la liturgia come qualcosa di vivo, che cresce e si rinnova nel suo essere ricevuta e nel suo attuarsi.
Costoro, peraltro, in base alla stessa logica, insistono anche sul fatto che la crescita è possibile solo se viene preservata l’identità della liturgia, e sottolineano che uno sviluppo adeguato è possibile solo prestando attenzione alle leggi che dall’interno sostengono questo “organismo”». E ancora, più avanti: «Il Papa non è un monarca assoluto la cui volontà è legge, ma piuttosto il custode dell’autentica Tradizione e perciò il primo garante dell’obbedienza.
Non può fare ciò che vuole, e proprio per questo può opporsi a coloro che intendono fare ciò che vogliono. La legge cui deve attenersi non è l’agire ad libitum, ma l’obbedienza alla fede». Il cardinale è abile e non sceglie tra tradizionalisti e non. Ma ribadisce l’idea tomistica che la liturgia, pronunciate le parole dell’istituzione, non è a piacere: «Le teorie di molti liturgisti, sfortunatamente, si muovono in questa direzione. Vogliono superare il rito come un che di rigido e costruiscono prodotti di loro fantasia, ritenuta pastorale».
E inoltre «dato che stiamo cercando i criteri della riforma dobbiamo pure menzionare i pericoli che negli ultimi decenni, purtroppo, non sono rimasti solo fantasie di tradizionalisti nemici della riforma». Insomma, pure se non entra in chiesa da molti anni, come accade al sottoscritto, chi ancora protegga una sua infantile venerazione, a questo libro «organico» deve forse badare.