Il cubo e la cattedrale, libro di George Weigel – uno dei più influenti intellettuali cattolici – è una risposta dal punto di vista religioso al testo famosissimo di un neocon laico, Paradiso e potere, secondo cui gli europei vivono in un loro piccolo paradiso che cerca di realizzare l’ideale kantiano della pace universale. Per Weigel tutto comincia non con la Seconda, ma con la Prima guerra mondiale, dove vengono a scadenza le cambiali di un mondo che a partire dal 1789 aveva cercato di costruirsi intorno a ideali nazionalisti che separavano la nazione dalla memoria e dalla religione
Massimo Introvigne
Ma «Il cubo e la cattedrale» non è un libro su Prodi. È una risposta dal punto di vista religioso al testo famosissimo di un neocon laico, Paradiso e potere, secondo cui gli europei vivono in un loro piccolo paradiso che cerca di realizzare l’ideale kantiano della pace universale, finanziato dalla rinuncia a consacrare una parte del loro budget pari a quella delle altre grandi potenze economiche alla difesa, e che in realtà riesce a sopravvivere solo perché è protetto dall’esterno – come il Paradiso Terrestre – da un angelo con la spada fiammeggiante che invece crede nel potere, lo finanzia e lo esercita: gli Stati Uniti.
Kagan spiega questa diversità di atteggiamento fra europei e americani (da cui discendono scelte diverse sull’Irak, le Nazioni Unite, la linea dura contro il terrorismo) con il trauma che ha colpito l’Europa dopo le due guerre mondiali, l’Olocausto e gli altri orrori del Novecento.
Weigel risponde a Kagan che la sua analisi è giusta, ma si ferma a metà. Non si chiede perché l’Europa ha conosciuto nel Novecento orrori ideologici come il nazismo e il comunismo cui gli Stati Uniti (che Weigel non idealizza affatto) sono in gran parte scampati. Per il teologo cattolico americano tutto comincia non con la Seconda, ma con la Prima guerra mondiale, «inutile strage» nelle parole di Benedetto XV e «onda di pazzia» in quelle di Winston Churchill, dove per Weigel vengono a scadenza le cambiali di un mondo che a partire dal 1789 aveva cercato di costruirsi intorno a ideali nazionalisti che separavano la nazione dalla memoria e dalla religione, dalla laïcité francese al Kulturkampf tedesco.
La radice della differenza fra Europa e America sta nel fatto che il 60% degli americani va in Chiesa contro il 20% degli europei, esito di una storia che parte da una Rivoluzione americana che si è proposta di difendere la religione dallo Stato e da una Rivoluzione francese che ha voluto invece difendere lo Stato dalla religione. Rimanendo in Europa, da Chirac a Zapatero – secondo le parole del grande giurista ebreo ortodosso Joseph Weiler – una «cristofobia» di fondo, l’avversione alla fede e al cristianesimo, spiega la mancanza di speranza (che si esprime nel non fare più figli, nel «suicidio demografico» denunciato da Giovanni Paolo II) e di cristiano coraggio contro il terrorismo, che spingeva appunto la Commissione Europea di Romano Prodi a «cedere per non perdere» di fronte all’aggressione ultra-fondamentalista islamica.
Due elementi che lascerebbero presagire uno scenario apocalittico, con il trionfo in Europa del fondamentalismo islamico per via sia demografica sia terroristica.
Ma Weigel prevede anche uno scenario alternativo. I giovani della «generazione Giovanni Paolo II», all’Est come all’Ovest dell’Europa, mostrano spesso una sensibilità diversa. Tra vent’anni, potrebbero essere loro le classi dirigenti europee