Articolo pubblicato su Il Resto del Carlino, 5/11/2003
La Resistenza della Chiesa contro la violenza liberticida
di Chiara Unguendoli
Anche la Chiesa ha la sua «resistenza»: la resistenza «agli assalti dell’insipienza, dell’irragionevolezza, della violenza liberticida, della crudeltà disumana»; e di questa resistenza sono espressione i martiri, come i santi Vitale e Agricola, ma anche Giuseppe Fanin.
Lo ha detto ieri il cardinale Biffi, nell’omelia della Messa che ha celebrato subito dopo aver concluso solennemente, nella Cattedrale di S. Pietro, la fase diocesana del processo di canonizzazione dello stesso Fanin (massacrato a sprangate dai socialisti, a guerra civile finita da tempo, vedi Nota Biografica in fondo, NdR).
Processo e Messa celebrati in una Cattedrale di S. Pietro pienissima: in prima fila le autorità cittadine, guidate dal sindaco Giorgio Guazzaloca; accanto a lui, il vicesindaco Giovanni Salizzoni e il rettore Pier Ugo Calzolari.
Biffi ha ricordato anzitutto il diciassettesimo centenario del martirio di Vitale e Agricola, che ricorrerà il 4 novembre 2004 e del quale ieri si è aperto l’anno celebrativo; e ha poi definito «una fortunata circostanza» il fatto che «per questa data sia arrivato al traguardo di una prima positiva conclusione il processo canonico circa la vita, le virtù cristiane, la drammatica morte, la fama di santità del servo di Dio Giuseppe Fanin».
«Allo stesso modo – ha commentato – è eloquente (e penso si possa dire provvidenziale) che quel sacrificio sia stato consumato proprio il 4 novembre: nel giorno cioè che da sempre la Chiesa di Bologna dedica all’esaltazione dei suoi protomartiri».
Fanin dunque è anche lui un martire, come già aveva detto l’altro giorno il vicario generale monsignor Claudio Stagni: la coincidenza infatti, ha aggiunto Biffi, «ha indole e valore di “segno”: ci induce a contemplare una Chiesa che anche ai giorni nostri è capace di suscitare nei suoi figli migliori la stessa totale e aperta adesione a Cristo che ammiriamo negli antichi testimoni della fede».
Fanin insomma, come Vitale e Agricola, è stato capace di una adesione così totale al Signore da imitarlo anche nell’esporsi, indifeso, agli assalti dei malvagi, fino ad essere colpito a morte. E come loro è morto per la sua fede: per la sua «resistenza», che, come sempre è quella della chiesa, è stata «impavida e forte, ma serena, senza rancori, senza odiose e conclamate manifestazioni di parte».
E qui il pensiero corre inevitabilmente all’atteggiamento della famiglia Fanin, che seppe perdonare gli assassini del figlio; e all’atteggiamento invece tanto diverso di altri «resistenti», che dopo la fine della guerra diedero sfogo a personali e comunitari rancori con nuove violenze, pur continuando ad esibire la propria resistenza con «conclamate manifestazioni di parte».
NOTA BIOGRAFICA
Giuseppe Fanin nacque a Lorenzatico, frazione di S. Giovanni in Persiceto, l’8 gennaio 1924. Era il terzo dei dieci figli nati dal matrimonio di Virgilio e Stella Italia Borinato.
Compiuti gli studi delle cinque classi elementari, frequentò solo per un breve periodo di tempo la scuola del Seminario Arcivescovile di Bologna, e successivamente l’Istituto tecnico-agrario «G. Scarabelli» di Imola.
Nel 1943 vi conseguì il diploma di abilitazione tecnica agraria (Perito Agrario). Nel medesimo anno si iscrisse alla Facoltà di Agraria dell’Università di Bologna.
Sostenuto dai familiari e sotto la guida del suo parroco, maturò fin da ragazzino una profonda spiritualità laicale.
Durante gli studi universitari iniziò la sua attività nelle Acli, diventando collaboratore del senatore Giovanni Bersani, mentre partecipava all’animazione della Fuci di S. Giovanni in Persiceto.
Sviluppò con entusiasmo generoso e coerente la sua missione nelle file dell’Azione cattolica e nel campo delle attività sociali.
Il 12 febbraio 1948 si laureò in Agraria. Dopo l’attentato a Togliatti (14 luglio) Giuseppe venne aggredito mentre lavorava nel suo campo. Fu un primo avvertimento.
Giuseppe Fanin, nominato segretario provinciale dell’Acli-terra, raggiunse coraggiosamente tante località della provincia per fondare varie sezioni dell’ Associazione. Inoltre fu attivo anche per la costituzione dei sindacati liberi.
Il 12 settembre partecipò con il gruppo di S. Giovanni in Persiceto all’oceanica adunata romana della Giac sigillata dal memorabile incontro con Pio XII.
Nel frattempo studiava un progetto di compartecipazione agraria che avrebbe dovuto attutire, se non risolvere completamente, i conflitti roventi del mondo bracciantile. Il fascino della sua dedizione, illuminato dalla purezza della vita, non sfuggì agli avversari. In un volantino che circolò poco prima dell’agguato veniva collocato fra i «servi sciocchi degli agrari».
Nonostante avvertimenti e minacce, egli continuò impavido il proprio lavoro, progettando fra l’altro un convegno sui problemi della compartecipazione e della riforma agraria, che doveva svolgersi a Molinella il 7 novembre alla presenza dell’allora Sottosegretario all’Agricoltura, onorevole Colombo.
Giuseppe Fanin non ebbe il tempo di essere relatore del contratto di compartecipazione come annunciava il comunicato distribuito alla stampa. La sera del 4 novembre (allora festa nazionale), si era recato al cinema locale con la fidanzata. Gli fu detto che tutti i posti erano occupati. Allora egli riaccompagnò la fidanzata a casa e poi si avviò in bicicletta verso la propria abitazione di Lorenzatico. Alle ore 21.45 circa, in un punto buio del percorso fu vittima di un’aggressione, alla quale parteciparono tre persone, che dovevano «dargli una lezione» per incarico del segretario della sezione social-comunista di S. Giovanni in Persiceto.
Colpito ripetutamente con una spranga di ferro, fu abbandonato rantolante sulla strada. Visto da un passante e trasportato in ospedale, morì, senza aver ripreso conoscenza.
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pubblicato su Avvenire, 2-11-2003
PARLA IL POSTULATORE: UN CATTOLICO INTEGRALE
Ha studiato e condotto ricerche sulla figura di Giuseppe Fanin per ben otto anni: dall’inizio dell’«inchiesta preliminare», nel 1995, in vista dell’avvio del processo diocesano di canonizzazione (che è stato l’1 novembre 1998) fino alla conclusione del processo stesso, che sarà martedì. Stiamo parlando di don Filippo Gasparrini, postulatore della causa di canonizzazione del giovane persicetano.
«Pur non potendo rivelare il contenuto dei documenti e delle testimonianze che ho raccolto – spiega – posso dire che essi hanno confermato quanto avevo concluso dopo i tre anni dell'”inchiesta preliminare”.
E cioè che Giuseppe Fanin è una figura emblematica di “santità giovanile”, con alcune caratteristiche tipiche e davvero originali».
«Una di queste – prosegue don Gasparrini – è il fatto che fu pienamente obbediente alla Chiesa che chiedeva ai suoi figli di impegnarsi nelle “realtà terrene”. Questo non era molto frequente a quel tempo, prima del Concilio Vaticano II, che sottolineerà l’importanza dell’impegno del cristiano nel “mondo”. Ed era anche molto pericoloso: nella zona nella quale viveva Giuseppe, i social-comunisti avevano oltre il 70 per cento dei consensi, e usavano metodi violenti contro gli avversari. Lui del resto lo sapeva bene, visto che anche il suo parroco, don Enrico Donati, era stato vilmente assassinato dai socialisti nel 1945. Nonostante ciò, seguì sempre fedelmente le direttive della Chiesa, e rifiutò sempre di difendersi, procurandosi un’arma».
«Un’altra sua caratteristica – dice il postulatore – fu la continuità e la profondità della sua fede: le testimonianze dimostrano che non visse la tipica “crisi adolescenziale”, ma già giovanissimo si interrogava con serietà sulla propria vocazione. Una volta scoperto che era quella di essere padre di famiglia, si fidanzò precocemente: e, in piena conformità all’insegnamento cristiano, era apertamente contrario ai rapporti prematrimoniali, e desiderava avere molti figli».
Un elemento che don Gasparrini sottolinea fortemente nella personalità di Fanin è «la perfetta corrispondenza fra la vita interiore, come “sequela Christi”, e l’azione. Era l’interiorità che animava la sua azione; un’interiorità nutrita attraverso gli esercizi spirituali e che aveva due preziose “fonti”: il Rosario, che recitava spesso assieme alla sua famiglia, ma anche da solo, persino quando andava in bicicletta; e l’Eucaristia, che riceveva frequentemente».
Quanto all’azione, il postulatore mette in rilievo il fatto che quella di Giuseppe era «polivalente»: «era indirizzata sia all’interno della Chiesa, “ad intra”, attraverso l’Azione Cattolica e poi la Fuci; e all’esterno di essa, al campo sociale e sindacale, attraverso le Acli e poi, dopo l’attentato a Togliatti, i cosiddetti “sindacati liberi”, che si staccarono dalla Cgil per costituire in seguito la Cisl».
Infine, secondo don Gasparrini è significativo il fatto che il processo diocesano di canonizzazione di Giuseppe Fanin, l’«apostolo disarmato» ucciso ad appena 24 anni, si concluda nel giorno della festa dei Santi Vitale ed Agricola, primi martiri della Chiesa bolognese.
«Il suo martirio si pone nel solco del loro – spiega – e può essere quel “chicco di grano” che, morendo, come dice il Vangelo, “porta molto frutto” per le future generazioni della nostra Chiesa».