La Turchia membro dell’Unione. I negoziati procedono, ma le mancano dei requisiti fondamentali. Parla il Vice-presidente del Parlamento europeo Intervista a Mario Mauro
a cura di Luigi Geninazzi
In Bahrein, per assistere ad un inedito esperimento di democrazia. Sono alcune tappe significative di una ricognizione dentro i Paesi islamici che ha compiuto in queste ultime settimane l’onorevole Mario Mauro, vice-presidente del Parlamento europeo. Gli abbiamo chiesto un resoconto a partire dalla questione più scottante, vale a dire l’ingresso nell’Unione Europea della Turchia i cui negoziati hanno preso il via lo scorso 3 ottobre.
Lei è stato l’unico euro-parlamentare di Forza Italia a votare contro l’apertura dei negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione Europea. Per quale motivo?
L’ho fatto per una serie di ragioni molto concrete, non per pregiudizio ideologico. Sia chiaro, la Turchia non è Europa. Lo ammettono gli stessi turchi, lo dice un cartello sul ponte del Bosforo che accoglie quanti arrivano a Istanbul dall’Anatolia con un “Benvenuti in Europa!” Ma forse anche la Ue oggi è ben poco europea…Dunque, io non sono pregiudizialmente contrario alla possibilità che la Turchia in futuro possa diventare membro dell’Unione Europea.
Ma per decidere l’apertura del negoziato bisognava valutare se il governo di Ankara avesse adempiuto ad alcuni pre-requisiti fondamentali per quanto riguarda gli standard di democrazia. Ebbene, i turchi hanno annunciato una serie di riforme che però finora non sono stati capaci o non hanno voluto attuare.
Ci sono dei nodi irrisolti, a cominciare dal grave problema della libertà religiosa che non è pienamente rispettata, come ci siamo sentiti ripetere dal Patriarca ortodosso e dai rappresentanti delle comunità cristiane. C’è la questione sempre aperta dei diritti delle minoranze e più in generale c’è un conflitto crescente tra islam e modernità. Istanbul è la più europea delle città turche ma lo è meno di qualche anno fa. E se è vero che il governo di Erdogan appare determinato a traghettare la Turchia in Europa, è altrettanto chiaro che a livello popolare questo obiettivo non è sentito certo come una priorità.
Perché allora il Consiglio europeo ha deciso l’apertura dei negoziati?
Lo ha fatto obbedendo a una grande finzione, determinata pesantemente dalle strategie di alcuni Paesi come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna. Le condizioni poste alla Turchia dall’Unione Europea indicano un percorso fittizio, non reale e misurabile. Si parla di cose dichiarate, non fatte, vedi appunto il caso della libertà religiosa. In questo modo l’Unione Europea entra in contraddizione non solo coi propri principi ma anche con le sue procedure.
Eppure le comunità cristiane e gli intellettuali dissidenti della Turchia fanno il tifo per l’ingresso del loro Paese nella Ue e vedono nei negoziati per l’adesione uno stimolo potente per la democrazia. Non è d’accordo?
Dobbiamo prendere molto sul serio le loro aspettative di libertà. Proprio per questo voglio che le istituzioni europee siano aperte e leali nei confronti della Turchia. Il che vuoi dire non avere alcun pregiudizio ed essere al tempo stesso molto esigenti nel chiedere il rispetto dei requisiti democratici. Io non ce l’ho con la Turchia, ma con l’Unione Europea che fa finta di essere aperta e disponibile perché ritiene che poi ci sarà qualche Paese come la Francia che affosserà tutto con un referendum. Non è dignitoso, non è onesto comportarsi in questo modo.
Molti pensano che l’ingresso della Turchia in Europa favorirà il dialogo dell’Occidente con il mondo islamico. E davvero così?
In questi giorni ho potuto constatare che è esattamente il contrario. I Paesi arabi non vedono con favore l’adesione alla Ue della Turchia, che ai loro occhi resta l’agente americano e l’alleato principale d’Israele in tutta la regione. L’idea che la Turchia possa fare da ponte tra l’Europa e il mondo islamico è fuori dalla realtà.
Nel dibattito su islam e democrazia si parla molto del ruolo che potrebbero avere i cosiddetti Paesi islamici moderati. Qua! è la sua impressione?
Negli incontri che ho avuto in queste ultime settimane se n’è parlato molto. Ma siamo arrivati a delle conclusioni tutt’altro che confortanti. L’esperienza insegna che quando un Paese islamico si apre alle regole del gioco democratico deve fare i conti con l’avanzata dei gruppi fondamentalisti. E successo recentemente in Egitto. Di fatto i cosiddetti Paesi islamici moderati sono governati da oligarchie che hanno preso il potere al momento della proclamazione d’indipendenza e lo hanno mantenuto inalterato fino a oggi.
Quindi l’unica alternativa è tra l’autoritarismo delle oligarchie e l’islamismo dei fondamentalisti?
No, ci sono cose nuove e interessanti che stanno emergendo in alcuni piccoli Paesi come il Bahrein. Anche qui le elezioni, a suffragio universale, hanno segnato l’affermazione in parlamento di una maggioranza di chiaro segno islamista. Ma accanto alla Camera bassa è stata istituita la shura, un consiglio consultivo con potere di veto i cui membri sono scelti dalla famiglia reale e sono rappresentativi della società civile. Si tratta di personalità illuminate che cercano di coniugare il Corano con la democrazia e che godono della stima popolare. Credo che possa costituire un buon esempio anche per altri Paesi islamici.