di Giorgio Bianco
Per molti anni la demografia, e in particolare la questione della denatalità in Occidente, è stata la Cenerentola dei testi programmatici dell’Unione Europea. Si è dovuto attendere il marzo del 2005 perché finalmente la Commissione per il Lavoro e gli Affari Sociali di Bruxelles, presieduta dal ceco Vladimir Spidla, compilasse un green paper sulla crisi demografica, in preparazione di un Libro bianco che dovrebbe uscire all’inizio del 2006.
L’invecchiamento della popolazione viene presentato dalla Commissione come un problema grave e urgente che si protrae da 40 anni e che sta conducendo il nostro continente ad un’autentica implosione demografica. Si pensi che, mentre occorrono almeno 2,1 figli per donna per stabilizzare la popolazione nel tempo, i Paesi europei sono clamorosamente al di sotto di questa media: in Spagna è di 1,1; in Germania e in Italia è di 1,3; in Francia è di 1,7 solo grazie all’apporto dei numerosi immigrati islamici.
Complessivamente, la media statistica della fertilità europea è oggi di appena 1,4 figli per donna, ben di un terzo al di sotto del livello minimo di sostituzione generazionale. Se nel 1960 nascevano 7 milioni di bambini all’anno, nel 1976 eravamo già scesi a 6 e nel 2003 siamo ridotti a 4,63; se nel 1950 gli europei rappresentavano il 22% della popolazione mondiale, oggi sono scesi all’11 ed entro il 2030 si ridurranno all’8.
Ciò significa che nel 2030 vi saranno 20,6 milioni di giovani in meno. Il commissario Spidla ne deduce una grave conseguenza: «se le politiche non cambieranno drasticamente, nei prossimi decenni la potenziale crescita economica dell’Europa non supererà l’1% annuo».
Per il giornalista dell’Avvenire Riccardo Cascioli, affermazioni come queste riflettono l’impostazione sbagliata, in quanto esclusivamente economicistica, dell’approccio della Commissione al problema della denatalità. Questo induce a puntare esclusivamente su rimedi che riguardano il rapporto tra famiglia e lavoro («facilitare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro»), e a commettere il grave errore di eludere il fattore culturale che sta alla radice del problema, ovvero la paura di generare e la disaffezione alla famiglia, alimentata anche dalla cultura mass-mediatica, che dissuadono i giovani dall’aver figli.
Secondo il noto demografo francese Gerard-Francois Dumont, docente alla Sorbona di Parigi e presidente dell’associazione Population et Avenir, la causa primaria del declino demografico è la profonda trasformazione subita dalla famiglia a partire dalla fine degli anni Sessanta: «una trasformazione che ha investito la donna e la durata dell’unione, la dimensione e la composizione dei nuclei, il ruolo dei genitori e il legame tra le generazioni.
La tradizionale struttura fatta da un padre che lavora e provvede ai bisogni economici, una madre educatrice ed una prole numerosa, è quasi del tutto scomparsa in Europa, per fare posto a forme cosiddette moderne, che hanno origine nell’Europa del Nord, basate sul “rispetto” per le scelte individuali dell’altro, sull’uguaglianza dei ruoli tra uomo e donna, sul sentimento come base della formazione delle coppie e del rapporto tra genitori e figli; è una trasformazione sostenuta ed accompagnata dalla rivoluzione femminista.
Il risultato è stato avere famiglie forse più “vivaci”, ma molto più fragili e instabili, incapaci di reggersi senza specifiche politiche di sostegno; […] quando questo sostegno risulta insufficiente, la natalità si abbassa ulteriormente. […] Oggi abbiamo una situazione in cui i matrimoni diminuiscono e allo stesso tempo sono più fragili, le unioni di fatto sono in aumento, ma sono ancor meno stabili, e la decisione di avere figli è ritardata fino oltre i 30 anni. Tutto questo non favorisce certo le nascite!».
Ciò che la Commissione farebbe bene a cominciare a domandarsi è in che modo un’Europa che sta conoscendo un’implosione demografica determinata da una cultura o meglio da una «controcultura» (di cui il femminismo è parte integrante) ostile alla famiglia, e da un culto esagerato e paternalistico del welfare state, che infrollisce gli animi esasperando la dipendenza dallo «Stato-chioccia» (non a caso Dumont fa riferimento ai Paesi scandinavi), reagirà quando i musulmani, per lo più giovani, combattivi e desiderosi di rivalsa sull’Occidente cui attribuiscono la responsabilità delle loro sconfitte storiche, inizieranno a diventare numericamente maggioritari nei Paesi europei.