di Rino Cammilleri
Traggo dal mio I mostri della Ragione 2 (Ares) il brano che segue.
In una riunione preparatoria a Roma, cui partecipavano la socialcomunista Unione Donne Italiane, il cattolico Centro Italiano Femminile, sindacaliste e vedove di partigiani, Marisa Rodano propose la mimosa, in quella stagione facilmente reperibile. A quel tempo, essendo finita la guerra da poco, le serre erano scarse e i fiori non potevano, come oggi, giungere in aereo da ogni dove.
Così, la scelta cadde su quei fiorellini gialli che ornavano gli alberi mentre tutte le altre piante erano spoglie. Ma a Cattabiani la giustificazione non bastava, perché i prati laziali in quella stagione sono pieni anche di altri fiori, dai crochi alle pratoline (queste ultime, tra l’altro, avrebbero ben potuto simboleggiare la primavera e la «rinascita femminile»).
Così, si chiedeva se la scelta era stata davvero casuale oppure suggerita da qualcuno più esperto di simboli. Infatti, la mimosa cresce su un albero preciso, l’acacia dealbata, importantissimo simbolo massonico.
Dice il biblico libro dell’Esodo che l’Arca dell’Alleanza, la Tavola della Presentazione dei Pani e l’Altare dei Profumi nel Tempio salomonico era fatti di legno di acacia, tant’è che quel simbolo fu adottato dalla Chiesa primitiva, che, in greco, chiamava quell’albero àkantha.
Conoscendo la passione dei massoni per il Tempio di Salomone e il suo mitico costruttore Hiram, non stupisce che l’acacia abbia perfino dato il nome a una rivista di settore. A proposito di feste, concludiamo con una citazione da Giorgio Galli, il quale accenna ai «Celti, la cui festa del 1° maggio divenne anche quella delle “streghe” e poi quella del movimento operaio» (La Magia e il Potere, Torino 2004, p. 337).