L’Oriente visto da vicino

Conferenza del 28 ottobre 2005

a cura della Circoscrizione 1 del Comune di Pisa
e del  Centro cattolico di Documentazione di Marina di Pisa

missionari

relatore: padre Piero Gheddo

(missionario del PIME)  

– testo riveduto dal relatore –

Ringrazio il Centro Cattolico di Documentazione che mi ha invitato questa sera per parlare di un argomento che per me che sono missionario è appassionante; anche il titolo mi pare azzeccato: l’Occidente comincia a vedere l’Oriente “da vicino”.

Sono un missionario del  PIME (Pontificio Istituto Missioni Estere) che è in movimento da circa 155 anni; è nato nel 1850 a Milano e ancora manda missionari, suore, laici in Africa, Asia e America Latina, ma soprattutto in Asia. Sono un missionario e ringrazio per essere stato presentato così, anche se sono giornalista. Io sono infatti soprattutto un missionario e questa sera non vi parlo come politologo, economista o sociologo ma da missionario.

La domanda cui cercherò di rispondere è: come un missionario vede l’Oriente? Sono cinquant’anni che sono prete e da quarantasei anni, non per merito mio ma perché i miei superiori mi han tenuto in Italia e nel mondo per visitare, fotografare, scrivere e fare conferenze, che faccio il visitatore delle missioni, soprattutto dell’Asia.

Io ho questa impressione: oggi si parla molto di altri popoli non europei, una volta si diceva del Terzo Mondo, non occidentali e non cristianizzati ma c’è un buco enorme. Si fa un gran parlare dell’economia, della politica, del commercio ma quasi nulla delle culture asiatiche e delle religioni asiatiche. Non si riesce a capire  – prendiamo ad esempio l’Islam, che è solo una delle religioni dell’Asia – questo terrorismo islamico e questa reazione, che però i missionari capiscono molto bene benché non approvino.

Noi condanniamo tutto questo ma li capiamo, perché bisogna partire dalla cultura. Per capire un popolo bisogna partire dalle sue radici culturali e religiose. Il tema è vastissimo e questa sera mi impongo di parlare in modo schematico. Verso la fine farò degli esempi per concretizzare quanto detto ma cercherò comunque di fare uno schema generale.

I. PERCHE’ TANTE CULTURE E RELIGIONI DIVERSE?

Quali le caratteristiche culturali e religiose dell’Oriente che lo rendono così abissalmente diverso dall’Occidente?

1) Precisiamo il concetto di cultura

Incominciamo precisando il concetto di cultura. Intendiamo il significato antropologico di cultura: tutto quello che l’uomo impara dalla nascita in avanti; che si distingue dalla natura. Gli uomini nascono tutti uguali e la natura è uguale per tutti: neri, bianchi o rossi, ma si differenziano per la cultura, ovvero per il loro modo di mangiare, di vestirsi, di comportarsi, per la lingua, la religione o le relazioni con l’altro. A noi italiani i cinesi e i giapponesi potrebbero sembrare uguali, invece c’è tra loro una differenza enorme, a cominciare dalla struttura della lingua.

2) Da dove derivano queste lingue e culture diverse?

Il filosofo cattolico Jaques Maritain, francese, nel suo libro Cultura e religione (Culture et Religion, Deschlée de Brouwer, Parigi 1946) ha scritto che la cultura nello sviluppo della vita umana comprende non solo lo sviluppo materiale, per permettersi di condurre una vita adeguata, ma anche e soprattutto lo sviluppo morale: lo sviluppo delle attività speculative, artistiche che gli permettano di svilupparsi in modo autentico.

Poiché lo sviluppo umano non è solo materiale ma anche e principalmente morale di conseguenza l’elemento religioso ordina la formazione della cultura in ruolo principale. Anche il clima, anche le condizioni ambientali e anche le relazioni umane di fondo, pur non essendo tutte riconducibili alla religione vi contribuiscono ma la radice è proprio ciò che i nostri costituzionalisti non hanno voluto riconoscere nella Costituzione europea. Ma se si toglie il cristianesimo dall’Europa cosa rimane? Torniamo alle civiltà greca e romana, che pure sono state grandi civiltà.

Un altro grande studioso delle culture, Arnold Toynbee, dice che la cultura si sviluppa in base all’ambiente fisico in cui quel popolo vive ma soprattutto in base a come ogni popolo immagina Dio; al suo rapporto con Dio, in cui tutti i popoli credono. Non esistono popoli atei; l’ateismo è solo nelle nostre civiltà secolarizzate, supertecnicizzate e materialiste. I valori culturali quindi sono spiegabili soprattutto con il senso religioso, che dà l’orientamento globale alla vita. La cultura è stata anche definita una concezione globale della vita.

Alcune religioni sono talmente ispiratrici della cultura di un popolo che si distinguono con difficoltà da quel popolo e dal suo modo di vivere, ad esempio il brahmanesimo e l’induismo in India o l’islamismo nei paesi islamici, mentre il buddismo, che non è una religione ma una filosofia di vita, in Cina e Giappone ha infuso uno spirito religioso ma in modo molto superficiale.

II. DIVERSITA’ CULTURALI TRA ORIENTE E OCCIDENTE

Se guardiamo all’Oriente cosa ci dice? Moltissime cose ma dobbiamo tener conto che c’è una differenza abissale tra popoli cristiani o cristianizzati e popoli non cristiani, cosa che non si dice mai. Non parlando mai delle culture religiose si dice che i popoli sono tutti uguali; ma non è vero. Lo sono per natura ma non per cultura.

1) Diversa immagine di Dio e dell’uomoNoi cristiani, ma anche le altre religioni monoteiste: ebraica e islamica, crediamo in un Dio creatore, personale, non indefinito, e padre che ha mandato suo figlio Gesù a redimere l’uomo. Dunque un Dio trascendente, ma incarnato; che si è fatto uomo, che ci vuole bene, che ci aiuta. Questo è il concetto di mondo della civiltà cristiana o cristianizzata. Andare in Oriente e parlare di Dio non è facile. Prendiamo ad esempio il nome stesso di Dio.

Per noi Dio è quello lì: il Padre che sta nei cieli, creatore, eccetera, eccetera. Per i popoli asiatici è invece qualcosa di indefinito – non parlo ovviamente dell’Islam – e lo stesso vocabolo di Dio, che ad esempio noi traduciamo nelle lingue locali con deva, in sanscrito, e kami in giapponese, secondo monsignor Pietro Rossano (P. Rossano, I perché dell’uomo e le risposte delle grandi religioni, Ed. Paoline, 1987, pagg. 33-34) si potrebbe meglio tradurre con “spiriti”.

Qualche anno fa in Giappone ho incontrato un padre francescano giapponese, che aveva studiato in Italia otto o nove anni e che sapeva parlare bene la nostra lingua, il quale diceva che «Dopo secoli che la Chiesa è in Giappone, non sappiamo ancora tradurre in giapponese i termini più elementari del cristianesimo. Non anno le parole adatte perché non hanno i nostri concetti. Non solo il termine ‘Dio’, ma il termine ‘amore di Dio’ come tradurlo? Noi prendiamo la parola giapponese che vuol dire amore, ma per loro significa ‘amore sessuale’, conoscono solo l’amore umano che si esprime soprattutto nell’incontro sessuale, l’amore a Dio non lo immaginano nemmeno. Dio non sanno chi è e non è una persona, ma un’entità astratta». Ecco la difficoltà dell’inculturazione del messaggio cristiano.

2) Diversa concezione del rapporto fra l’uomo e il cosmo

Qualcuno potrebbe anche pensare: che importanza ha Dio nella cultura, nei modi di vita, nella storia? Invece è importante, perché innanzitutto c’è un diverso concetto dell’uomo. Da ogni diversa immagine di Dio deriva un diverso concetto dell’uomo. Per noi cristiani, formati dalla Bibbia e dal Vangelo, l’uomo è creato da Dio a sua immagine e somiglianza per dominare la natura, per trasformarla in modo da renderla utile. Le radici della scienza e della medicina moderna stanno in questo dominio dell’uomo sulla natura. Noi pensiamo che l’uomo è il re del creato; nelle religioni orientali dicono che l’uomo è parte del cosmo. Certo, qualcuno ha creato questo cosmo ma non sappiamo quando e come e comunque nel cosmo ci sono le piante, gli animali, gli uomini e tante altre cose.

Faccio qualche esempio per dare l’idea. Nella civiltà cristiana, preparata da quella greco-romana – perché il buon Dio ha preparato la venuta del Messia creando l’Europa di quel tempo, con Grecia e Roma che hanno sviluppato concetti filosofici, antropologici, giuridici, preparatori del cristianesimo – la natura rispetto all’uomo è un elemento da conquistare, trasformare, perché l’uomo è al centro del creato. Nella pittura cinese e giapponese, ma anche indiana, prima dell’incontro con l’Occidente e con questi concetti espressi nella Bibbia e nel Vangelo, nei quadri i corpi umani sono sempre stilizzati, rappresentati in modo schematico, impersonale, al centro troviamo la natura, gli alberi, le cascate, gli animali.

3) Diversa concezione della donna

Il filosofo giapponese Okakura ha scritto che il dono più grande ricevuto dall’Occidente è che la donna è uguale all’uomo. Nelle filosofia e nella cultura tradizionale del Giappone non c’è nessun principio che affermi questo. In Giappone la donna ha sempre avuto un ruolo non di oppressione, come nei paesi islamici o in altri paesi, ma perlomeno di compagna dell’uomo ed è arrivata alle scuole negli ultimi ottanta-cento anni. Gli inglesi hanno conquistato l’India attorno al 1860 e tra le prime cose che hanno fatto è stato abolire i sati, i roghi ove venivano arse le vedove dopo la morte del loro marito. Le vedove venivano uccise perché credendo alla rinascita delle anime esse dovevano continuare a seguire il marito, in secondo luogo perché avendo lasciato morire prima il marito voleva dire che non lo avevano servito bene. Oggi questo costume non c’è più ma ci sono tante altre cose.

4) Diversa concezione del lavoro manuale

Per un cristiano anche il lavoro manuale ha la sua dignità, poiché trasformando la natura in modo da renderla adatta a sostenerlo è il modo col quale l’uomo partecipa alla creazione. In altre culture e civiltà invece il lavoro manuale è disprezzato ed è fatto dagli schiavi, o dalle caste inferiori. In India, secondo la tradizione, le caste basse o i fuori casta sono adibiti al lavoro manuale e i nostri missionari, che sono in questo Paese dal 1855, si dedicano in particolare ai paria, che sono appunto i fuori casta, che oggi sono ben 130 milioni.

Noi del PIME, che siamo un piccolo istituto di missionari, abbiamo già fatto tre università per i paria, che ancora oggi non entrano o hanno difficoltà enormi ad entrare nelle scuole superiori statali. Padre Clemente Vismara, vissuto per 65 anni in Birmania, oggi Myanmar, una ventina di anni fa scriveva: «La pigrizia è come incarnata in questi nostri buddisti e a volte viene persino lo scrupolo ad aiutarli: se li aiuti li rendi ancora più pigri (…) Sono convinto che prima di insegnargli il segno della croce bisogna aiutarli al lavoro manuale e per insegnare bisogna dare l’esempio. Io lavoro molto manualmente: nell’orto, nelle costruzioni… Perché qui, tra i nostri buddisti, si considera fortunato chi può vivere senza lavorare». Questi sono concetti propri di una cultura che rende i popoli orientali diversi dai nostri. Ripeto: fa questa cultura la radice religiosa e filosofica.

5) Diversa concezione dei diritti dell’uomo, della democrazia, della giustizia sociale.

La carta delle Nazioni Unite dei diritti dell’uomo del 1948 viene dalla Bibbia e dal Vangelo. Nelle culture non cristiane, non essendoci questo concetto, i diritti dell’uomo e della donna sono magari accettati ma poi poco rispettati, perché manca proprio il concetto. Nel 1972 è stato segretario delle Nazioni Unite un birmano, U-Thant (1962-1972), che tra l’altro aveva studiato in una scuola cattolica, dei nostri missionari del PIME, e che era da tutti descritto come uomo equilibrato, giusto, che però quando è stato eletto segretario dell’Onu ha scritto una lettera a tutti i paesi buddisti e mussulmani spiegando che la carta dei diritti umani che erano stati costretti a firmare conteneva dei concetti che non erano accettabili, sollecitando a formare comitati di induisti, buddisti e islamici che facessero una carta dei diritti dell’uomo diversa da quella presentata dalle nazioni cristiane.

Nel 1948 l’Onu era infatti costituito da 27 paesi e solo successivamente sono entrati tutti gli altri. Quando nel 1991 sono andato per la seconda volta nello Sri Lanka mi sono recato all’Università buddista di Kandy dove ho trovato due preti cattolici che studiavano il buddismo. Era stato il loro vescovo a mandare questi due cingalesi a studiare il buddismo, anche se nello Sri Lanka il cattolicesimo è l’8%, che non è poco. Uno di questi due preti diceva che ormai il concetto di giustizia sociale è entrato nella loro legislazione, e la gente lo apprezzava; tanto che c’erano sindacati, contratti di lavoro e scioperi, ma nel fedele buddista c’è una schizofrenia tra quello che crede e quello che vive nella società moderna.

Credendo nella rinascita delle anime e nel karma (ovvero: quel che uno ha meritato nella vita precedente lo segue nelle vite seguenti) la giustizia sociale non ha senso. Ciascun uomo ha il suo karma, dovuto alle vite precedenti, pertanto è giusto che il povero sia povero e il ricco, ricco. Poi quest’ultimo deve fare l’elemosina, per acquistarsi dei meriti, ma niente di più. La missione in Asia è estremamente positiva e ha senso non tanto per i convertiti, che sono pochissimi, eccetto in alcuni paesi come Sri Lanka, Corea, Viet Nam, Filippine, India, Indonesia, ma perché i valori cristiani diventano comuni nonostante le radici culturali siano distanti.

Passo adesso all’argomento seguente. La diversità tra i popoli Orientali e i popoli Occidentali cristianizzati.

Quanto più il popolo è cristianizzato tanto più sente che l’uomo è creato da Dio e deve tornare a Dio. Jacques Maritain, poi ripreso da Paolo VI nella Populorum progressio, con una frase lapidaria afferma: «se l’uomo è creato da Dio, lo sviluppo dell’uomo deve riportarlo a Dio». Nelle società bibliche ed evangeliche, quindi anche nell’ebraismo, c’è il senso del futuro, del progresso verso il regno di Dio, da raggiungere nell’altra vita ma che comincia anche nella vita presente. Nei popoli orientali questo non c’è.

Jawaharlal Nehru, padre dell’India moderna, nella sua biografia scritta nel 1946 si chiedeva perché il suo grande paese, con centomila anni di civiltà ha dovuto attendere l’arrivo degli inglesi, nella metà dell’Ottocento, per avere la democrazia, l’industrializzazione, la medicina moderna, le scienze e la tecnica.

Più avanti osservava che mentre la civiltà occidentale era continuamente percorsa da venti di rinnovamento, e cambiamenti rivoluzionari e progressisti la società indiana è rimasta bloccata per cinquemila anni da concetti come il karma e le caste. Questi popoli poi hanno appreso il progresso moderno, vediamo ad esempio il Giappone, e un certo modello di sviluppo tecnico, ma c’è sempre una schizofrenia e poi un ritardo storico.

Fino a questo momento ho parlato dei popoli orientali, così diversi dai popoli cristiani, non per dire quanto noi siamo superiori agli altri ma quanto siano stati fortunati a vivere in una civiltà e in una cultura che ha ricevuto prima degli altri la rivelazione da Dio; una cultura in cui l’uomo e la donna camminano avanti. Però le cose sono complesse e non è facile precisare bene i concetti.

Io ho cominciato a prepararmi per la missione nel 1953, poi ho intrapreso la carriera giornalistica e di anno in anno il momento della mia partenza per l’Oriente è stata rimandata. E’ stato lì che ho capito come non c’è niente di più definitivo del provvisorio. Poi però ho cominciato a girare ugualmente il mondo e parlando con i missionari cattolici. Soprattutto nei paesi islamici, quaranta o cinquant’anni fa non c’era tutta questa opposizione al cristianesimo e all’Occidente.

C’è un missionario di Lucca, il quale mi ha mandato un bollettino dal Bengala, il quale diceva che quando lui nel 1950-’51 è arrivato laggiù è stato accolto bene anche se non bisognava parlare di conversioni. Poi c’è stata una crescita della reazione anti-occidentale e quindi anti-cristiana. Questo si capisce approfondendo il concetto che le culture Orientali, e anche quella africana, hanno dei valori da trasmettere all’Occidente. Io dico sempre: trasmettete ai vostri figli, ai vostri alunni i valori del cristianesimo missionario, di una mentalità grande come il mondo; non rinchiudiamoci nel nostro piccolo, perché il mondo è grande ed è diverso.

IV. QUALI VALORI HA L’ORIENTE DA OFFRIRE A NOI CRISTIANI?

Questa potrebbe essere una conversazione a parte. Ma pensiamo solo all’India, che secondo me nel panorama orientale è la nazione, la cultura e la religione che si sono più avvicinate al cristianesimo di quanto abbia fatto l’Islam o il buddismo. Essa ha cominciato ad adottare i valori cristiani in seguito alla presenza missionaria non solo dei padri italiani ma anche di altre nazioni.

L’induismo è oggi una cultura millenaria orientale intrisa di spirito religioso e tutto sommato, nonostante le persecuzioni, si è molto avvicinata al cristianesimo. Questo è merito del grande mahatma Gandhi e di tutta la corrente rinnovatrice dell’induismo, iniziata nel 1800, che sotto l’influsso delle missioni cristiane hanno cambiato questa religione assumendo i valori evangelici.Gandhi diceva sempre che nella storia nessun uomo è stato così grande, così profetico, così moderno come Gesù Cristo; aggiungendo – purtroppo – che lui non si era fatto cristiano perché aveva letto il Vangelo, trovandolo meraviglioso, ma i cristiani no.

Gandhi ha dato un’impostazione alla nuova India prendendo dai dieci comandamenti e dalla Bibbia. Ricordo che negli anni Ottanta (forse nel 1986-’87) c’è stato un convegno nazionale in India su questo tema: può l’India raggiungere lo sviluppo dell’America seguendo la via indicata da Gandhi? Noi pensiamo alla non violenza ma non è solo questo: Gandhi coniugava lo spirito religioso dell’induismo con i valori della Bibbia; ciascun uomo è una persona nobile ed egli infatti parlava a tutte le caste. Aveva in mente il progresso totale del popolo indiano: religioso e materiale.

A quel congresso conclusero che Gandhi non voleva che l’India raggiungesse l’America nel suo modello di sviluppo tecnocratico ed economico e che anzi rifiutava decisamente uno sviluppo materialista che sacrificava lo sviluppo umano e spirituale. E’ quello che diciamo anche noi cristiani. Ma Gandhi non era il solo a pensare questo; se ci avviciniamo un po’ alla cultura religiosa dell’induismo del 1800-1900 troviamo personaggi come Vivekananda, che ha fondato la Ramakrishna mission. Sono stato due o tre volte nel monastero della Ramakrishna mission, dove ho trovato un missionario italiano che viveva lì e che mi ha fatto vedere la biblioteca, con opere di San Paolo della Croce, di Santa Teresa del Bambin Gesù, il Vangelo e opere sul cristianesimo.

Vivekananda, morto mi pare nel 1910, è stato il grande riformatore dell’Induismo, come Tagore, Gandhi e altri, e scriveva: «Abbandonate i vostri misticismi che vi indeboliscono. L’amore è l’anima del mondo. Per questo amore Cristo ha donato la sua vita per l’umanità. Adorate Dio nei poveri. A noi occorre una religione che ci dia fiducia in noi stessi e il rispetto degli altri Se volete servire Dio, servite l’uomo». Qui abbiamo un grande dell’induismo moderno che parla come un cristiano. In India questo insegnamento è disceso nella gente, anche attraverso i profeti del campo politico.

Scusatemi ma devo fare qualche esempio per farmi capire. Nel febbraio-marzo scorso sono stato in India a vedere gli effetti dello tsunami; come sapete il 26 dicembre 2004 c’è stata una tremenda ondata che ha spazzato quattrocento chilometri di costa dell’Andhra Pradesh, dove lavoriamo noi del PIME, facendo 80 mila morti. Là ho trovato una costa completamente lavata per sei o sette chilometri nell’interno. Hanno raccontato che l’acqua si spingeva verso l’interno e poi tornava indietro portando via tutto quello che non era costruito con tecniche moderne. Alcune persone si sono trovate su una pianta sei o sette chilometri lontano da dove erano. Io stesso nei miei viaggi ho visto tanti disastri naturali ma come questo mai.

Pensate che nella città di Nagapattinam, a sud di Madras, c’è una specie di baia che ospitava 280 grosse barche di pescatori; veri e propri pescherecci con tanto di cabina. Ebbene la marea le ha portate fino a quattro chilometri lontano. Due mesi dopo lo tsunami le missionarie dicevano che nella loro regione, l’Andhra Pradesh, erano arrivati subito gli aiuti internazionali: la Croce Rossa, i Medici senza frontiere, il governo, la Caritas, ma c’erano ancora 30 mila famiglie che vivevano per strada. Ad assisterle sono rimasti i volontari italiani e indù. Anche indu? Ma certo. L’induismo oggi è anche questo e ha fatto un cammino in avanti grosso, anche se noi non lo leggiamo sui giornali.

E’ vero, si sa che è stata attaccata la cappella di quello o quell’altro missionario e questi fatti avvengono – anche perché la politica strumentalizza la religione – ma le radici dell’India moderna sono ben diverse da quelle dell’Occidente cristiano, che si rifà all’Illuminismo, alla Rivoluzione Francese, alla filosofia di Marx e al marxismo. I movimenti che hanno preparato la nostra modernità sono atei e anti-cristiani; in India è tutto diverso.

Sono i movimenti teisti, ovvero che credono in Dio, e in qualche modo cristianizzati ad aver preparato la modernità. Oggi l’icona dell’India, anche per l’induismo, è Madre Teresa; l’unica personalità straniera che ha meritato funerali di Stato è che è ovunque ricordata. Andando in giro per questi posti si trovano ovunque immagini di Madre Teresa.

La Chiesa in India è una bella Chiesa: circa 22 milioni di cattolici, con molte vocazioni, famiglie molto unite e ultimamente con un grande sviluppo economico; che ha avuto anche un certo numero di conversioni ma con una difficoltà: non riesce a trovare le chiavi per trasmettere il messaggio di Gesù Cristo con un linguaggio comprensibile per la cultura indiana. Quindi l’induismo insegna molto alla Chiesa in questa incarnazione, adattando il linguaggio a quella mentalità.

Aggiungo che il pensiero indiano è dominato dallo spirito, contrariamente al pensiero occidentale, che parte dalla realtà materiale senza mai, talvolta, arrivare alla dimensione spirituale. Questa concezione spiritocentrica è un valore che deve interessare la Chiesa e che, è pensabile, cambierà la Chiesa stessa e le filosofie-teologie occidentali.

Concludo.

Quando noi missionari parliamo di missione ad gentes c’è un certo pessimismo, perché è nota la crisi che viviamo e si pensa che i missionari ormai siano più utili qui che in posti così lontani. E’ vero però che missionari siamo tutti, anche voi, che dovete trasmettere ai giovani, alle giovani e nei luoghi dove vivete lo spirito evangelico. La missione ad gentes deve rimanere; soprattutto in Oriente e la lettera enciclica del 1990 Remptoris missio dice una frase bellissima, che ripete per tre volte: «La missione ad gentes del futuro sarà rivolta principalmente verso l’Asia, perché in Asia vive il 62% di tutti gli uomini». L’India da sola ha un miliardo e trecentomila abitanti, più di tutta l’Africa e l’America Latina messe assieme.

Purtroppo però c’è pessimismo riguardo la missione in Asia perché le conversioni sono poche. Due anni fa sono stato in Indonesia, paese in gran parte mussulmano, nell’isola di Sumatra, dove erano parecchi missionari italiani: cappuccini, salesiani, passionisti; che hanno cura di un 4-5% di cattolici.

In questa isola con 50 milioni di abitanti divisi in etnie vi sono spesso delle guerre – perché la globalizzazione, che avvicina i popoli, avvicina anche le etnie, che quindi si combattono – la cosa strana è che la gran maggioranza è mussulmana, però quando scoppiano queste guerre il governo promuove un comitato di pacificazione dove ci sono sempre dentro almeno due cristiani e spesso gli altri membri eleggono proprio il cristiano come loro presidente.

Quando andai a Giacarta a intervistare il ministro degli interni indonesiano gli chiesi come mai mettevano dei cristiani in questi comitati. La sua risposta fu: «Ma lei lo sa meglio di me il perché. Perché quando voi cristiani parlate di pace siete credibili; primo, perché parlate di perdono e non può esistere la pace senza perdono. I vostri documenti parlano continuamente di perdonare le offese, mentre da noi la vendetta è sacra. Quindi abbiamo bisogno di questo valore. Inoltre parlate di universalità, altro concetto che per noi ha poco senso, infine di gratuità e le vostre missioni sono tutte gratuite».

Dunque hanno bisogno di tutte queste cose e pur essendo un paese mussulmano i valori cristiani sono talmente apprezzati da portare il governo a fare un’opera come questa. Ma di esempi ne potrei raccontare ancora tanti. Nel 1980 andavo in giro per la Caritas, che nel 1977-’78 ha cominciato ad essere internazionale – è  stata fondata infatti nel 1973 dalla Conferenza episcopale italiana –  e di cui ero stato chiamato a far parte del comitato direttivo.

Per la Caritas sono stato in Thailandia, Eritrea, Afghanistan e ho accompagnato l’arcivescovo di Taranto, monsignor Motulese, allora presidente, a visitare i profughi di Cambogia e Vietnam al confine thailandese. Erano gli anni dei boat people, che fuggivano dal regime comunista e venivano respinti uccisi o derubati dalle popolazioni vicine, compresi i thailandesi, che pure erano buddisti.

In quell’estate del 1980 il re Bhumibol, che è considerato il dio della nazione, simbolo dell’identità culturale e del buddismo di quel paese, è comparso in televisione per invitare i thailandesi ad aiutare i cristiani alle frontiere ad accogliere i profughi. Io non capivo ma c’era chi mi traduceva; il re diceva ai suoi sudditi: se voi respingerete questi profughi, li derubate o li ricacciate in mare mandandoli a morte sicura non siete dei buoni thailandesi.

Il discorso fu poi ripreso dai giornali e amplificato. I missionari, le altre volte che sono tornato da quelle parti, mi dissero che da allora anche i buddisti hanno formato associazioni per aiutare questi profughi, che hanno continuato ad arrivare non solo dal Laos e dal Vietnam ma anche da Myanmar, un altro stato comunista di cui si parla pochissimo e in cui non abbiamo neppure missionari, dove vige un sistema terribile. Tra i buddisti thailandesi ci sono pochissime conversioni ma anche lì la gente sta cambiando atteggiamento.

*  *  *

DOMANDA: in questi paesi cosa pensano dei miracoli e dei santi? Ne hanno anche loro oppure sono sconosciuti?

RISPOSTA: In molti di questi paesi i santuari cristiani sono frequentatissimi dai non cristiani. Quest’anno sono andato in India a visitare il santuario mariano di Vailankanni, dove la Madonna apparve nel XVI secolo e che è chiamato la Lourdes dell’India, ma immaginatevi il doppio dei pellegrini: dai sei ai sette milioni l’anno e la maggior parte non cattolici, ma indu, buddisti e soprattutto mussulmani. Se inoltre andate nel sud del paese la figura di Sant’Antonio è veneratissima, come Francesco Saverio.

Io dico sempre che la via a Cristo per questi popoli è rappresentata da Maria. Quando sono andato nella Corea del Sud, dove ci sono un 8-9% di cattolici e un 9-10% di protestanti, mi hanno detto che questi ultimi sono chiamati “evangelici”, mentre i cattolici “figli della Mamma” o religione “della Mamma”. Davanti ad ogni chiesa cattolica a grandezza naturale c’è sempre una statua della Madonna che indica la porta. Ma anche i protestanti in vari paesi hanno fatto moltissimo, e anche loro sono cristiani; qualche volta molto forti.

C’è un libro, La terza chiesa, scritto da Philip Jenkins, un inglese anglicano, dove si dice che il futuro della chiesa nel XXI secolo è nel Terzo Mondo, raccontando di come questi paesi non cristiani (Asia, Africa, America Latina) diventeranno cristiani proprio in forza di questa radice spirituale dei loro popoli, che non hanno perso come noi il senso religioso della vita.

Vi posso assicurare che tante volte girando, non come turista, in villaggi e parrocchie a volte mi fermo e dico: sto vivendo gli Atti degli apostoli. Viene spontaneo dopo aver visto questa gente povera, mezza analfabeta che vive la fede in maniera molto più sentita e con tanto più entusiasmo che da noi.

DOMANDA: In India esiste uno stato, il Kerala, dove c’è una Chiesa cristiana autoctona; questo fatto ha creato una società indiana diversa da quella di radice indù o buddista?

RISPOSTA: Mentre in India i cristiani sono circa il 3-4% nel Kerala sono circa l’8%, quindi non è che qui sono tutti cristiani, tuttavia se andate da quelle parti vi sembra che siano tutti cristiani, come del resto in Corea. La situazione dei cristiani in questi paesi, dove c’è una grande maggioranza non cristiana, è diversa dalla nostra, dove tutti sono battezzati e poi…

Ci sono gli atei, i praticanti, i non praticanti, in un gran miscuglio. Laggiù il cristianesimo è una cosa seria e ad ogni passo ci sono edicole di santi, santuarietti, chiese, croci sulle case, sulle scuole. Ricordo che a Seul, città di oltre 8 milioni di abitanti, nella casa delle missionarie dove ero ospite, dall’alto della collina di notte si vedeva una distesa di croci perché là hanno l’abitudine di mettere una croce luminosa sulle scuole, gli ospedali, gli orfanotrofi ma anche su molte case di cristiani. Eppure in Corea sono ora appena il 20% della popolazione.

Io sono convintissimo, ma lo dicono anche i nostri 3 missionari che vivono in Cina e i 35 che vivono a Hong Kong, che quando finirà il comunismo la Cina scoprirà di avere 50 o 100 milioni di cristiani, perché dopo il marxismo, che ha azzerato tutto i cristiani sono quelli che hanno dato l’esempio di saper soffrire per la fede, di non cercare la vendetta, di amare il prossimo, eccetera, eccetera.

DOMANDA: lei ha citato il libro di Jenkins, La terza chiesa, e mi sembra che dalla lettura emerga che il cristianesimo che viene fuori nei paesi del Sud del mondo e in Oriente sia un cristianesimo non debole come il nostro. Quelle persone chiedono cioè un cristianesimo totalizzante, che mi pare sia la stessa cosa che chiede il Papa per rivitalizzare l’Europa.

RISPOSTA:  l’ho detto prima: i cristiani del Sud del mondo, in particolare i cattolici, essendo giunti alla fede da poco tempo hanno l’entusiasmo dei neofiti e questo vale anche per l’Africa. I neofiti sono quelli che hanno capito la grazia di Cristo e l’hanno accolta con grande entusiasmo perché hanno visto i cambiamenti profondi che Egli causa nelle persone, nelle famiglie e nella società quando si segue la Sua legge. Entusiasmo significa voglia di conoscere, voglia di praticare, di essere missionari nel proprio ambiente.

Noi, che siamo cristiani da duemila anni, abbiamo fatto diventare i valori evangelici leggi, carte dei diritti, eccetera; però poi… Mah. La provocazione che il mondo moderno fa alla nostra identità cristiana, ma non solo identità, perché il cristianesimo non ha etichette da mettere, alla nostra vita cristiana è di tornare a Cristo e di convertirci a Cristo. Questa è la vera provocazione.