di Massimo Introvigne
Comunque finisca, la campagna elettorale in corso avrà il merito di avere mostrato con un’evidenza straordinaria da che parte stanno in Italia tutti i «poteri forti», la cui scelta di campo a favore della sinistra è franca, esplicita, spesso perfino tracotante.
Per la prima volta gli stessi poteri si manifestano apertamente all’interno del mondo cattolico italiano, dove dal Concilio Vaticano II una «cupola» di intellettuali e di teologi occupa un gran numero di posizioni di potere, dalle cattedre ai settimanali e mensili più venduti, e opera in strettissima simbiosi con gli altri «poteri forti» che dal cattolicesimo e dai suoi valori sono lontanissimi ma che di questa «cupola» cattolica sono compagni di merende e di finanziamenti elargiti attraverso le banche e le inserzioni pubblicitarie.
Non è stato solo il Corriere della Sera a schierarsi per l’Unione; anche il più diffuso settimanale cattolico, Famiglia Cristiana, è passato dall’implicito all’esplicito con una serie di editoriali che attaccano duramente il Polo e Berlusconi, mentre il mensile Jesus (stessa catena editoriale) arriva a criticare la Conferenza Episcopale per le sue posizioni sul referendum in tema di procreazione assistita.
Pietro Scoppola, che firma l’attacco su Jesus, fa parte di quella «scuola di Bologna» da cui esce anche Romano Prodi e che ha interpretato il Concilio Vaticano II come una rottura con tutta la tradizione precedente e come una resa della Chiesa di fronte non alla laicità ma al laicismo dominante. Da questa interpretazione del Concilio – e dalla «scuola di Bologna» – nasce l’intreccio di cultura, ma anche di interessi, fra «cupola» intellettuale cattolica e potentati economico-politici favorevoli alla sinistra e al laicismo. L’emersione di questa economia religiosa sommersa, che per anni ha preferito comandare dall’ombra, avviene per due motivi.
Il primo è che proprio il referendum sulla procreazione assistita ha dimostrato che la «cupola», nonostante il denaro e il potere, non controlla più il mondo cattolico italiano, che non ha seguito i teorici del «cattolicesimo adulto» alla Prodi ma il magistero del Papa e del cardinale Ruini. Il secondo motivo è che l’interpretazione del Concilio che è al cuore della «scuola di Bologna» e del suo potere è stata presa di petto dal regnante Pontefice, in particolare in un magistrale discorso del 22 dicembre scorso. Qui Benedetto XVI ha denunciato come falsa «l’ermeneutica della discontinuità e della rottura» (fra il Concilio e la tradizione della Chiesa) che «si è potuta avvalere della simpatia dei mass-media» ma «ha causato confusione».
In termini meno diplomatici – e certo meno appropriati a un discorso pontificio – l’allora cardinale Joseph Ratzinger, conversando con giornalisti, aveva a suo tempo definito l’«ermeneutica della discontinuità» come «un’idea stupida». E – sempre a un amico giornalista – il futuro Benedetto XVI aveva confidato che un principio che lo aveva sempre guidato, e che pensava gli fosse spesso tornato utile, era quello secondo cui «un’idea cattolica non può essere stupida, e un’idea stupida non può essere cattolica». L’«idea stupida» ha ancora molto potere nel mondo cattolico italiano, ma teme di perderlo se dopo il referendum anche le elezioni confermassero che la «cupola» non rappresenta la base.
Di qui lo schieramento esplicito con Prodi e l’Unione, che però svela questa «cupola» teologico-giornalistica come semplice portatrice d’acqua dei «poteri forti» laicisti.