L’Islam contemporaneo a noi più vicino non si può comprendere, neppure a grandi linee, se non si cerca di far luce sui Fratelli Musulmani. Dopo essere cresciuta fino a diventare un soggetto politico tutt’altro che secondario, l’organizzazione, che sposò la causa delle classi sociali più povere e giocò anche un ruolo nel nazionalismo egiziano, è oggi una delle più importanti con un approccio di tipo politico all’Islam.
di Massimo Campanini
I Fratelli Musulmani occupano la scena
II fatto è che la vittoria comunque conseguita è segnale preciso del processo di neo-islamizzazione non solo della società egiziana, ma delle società della maggior parte dei Paesi arabi (anche in Marocco e in Giordania, ad esempio, hanno notevole peso partiti e gruppi politici che si richiamano alla tradizione dei Fratelli Musulmani, per non parlare della Palestina) e perfino della «laica» Turchia (dove è al potere un partito islamico assai moderato). Chiudere gli occhi di fronte a questo processo, o superficialmente condannarlo solo per timore del trionfo dell’integralismo o addirittura del terrorismo, sarebbe miope e pericoloso.
Spesso i policy-makers occidentali, quando hanno sottolineato la necessità di dialogare con il cosiddetto «Islam moderato», hanno accreditato l’idea che tale «Islam moderato» coincidesse con i regimi al potere, da quello di Ben ‘Ali in Tunisia a quello di Mubarak in Egitto o a quello di Bouteflika in Algeria oltre alla monarchia saudita.
In realtà, la legittimità di questi governi è fragile, spesso messa in discussione oppure garantita da un asfissiante controllo poliziesco sulla società civile. È invece nella società civile in via di neo-islamizzazione che debbono essere ricercati gli interlocutori dell’Islam moderato.
E i Fratelli Musulmani in Egitto sono profondamente radicati e ramificati nella società civile, per cui sarebbe un tragico errore ignorarli o semplicemente reprimerli. Una ricercatrice dell’Università Americana del Cairo ha di recente ribadito un concetto che è da molti largamente accettato: l’estremizzazione radicale di certe frange islamiste è derivata anche, se non soprattutto, dalla costante repressione cui sono state sottoposte le organizzazioni islamiche di origine popolare che si sono presentate come alternative ai governi spesso corrotti, sempre autoritari che hanno gestito i Paesi musulmani (1).
Non è questo il luogo per narrare la storia dei Fratelli Musulmani (2); è piuttosto importante sottolineare come essi siano stati nel bene e nel male la matrice di tutta l’islamizzazione tradizionalista che ha pervaso il mondo musulmano a partire dalla fine degli anni Sessanta del Novecento. I Fratelli Musulmani, già pochi anni dopo la loro fondazione nel 1928, avevano aperto filiali in tutto il mondo arabo, dal Marocco al Sudan, dalla Siria alla Giordania.
Durante i due decenni del nazionalismo arabo, del socialismo nasseriano, delle rivoluzioni baathiste in Siria e in Iraq (gli anni 1950 e 1960), le organizzazioni islamiche in generale e i Fratelli Musulmani in particolare furono marginalizzati, perseguitati e indubbiamente conobbero una sconfitta dottrinale rispetto alle trionfanti ideologie secolariste del panarabismo e del socialismo.
In seguito però i fallimenti del nasserismo e dello stesso baathismo riportarono in auge gli islamisti. Lo spartiacque fu la disfatta degli arabi e soprattutto dell’Egitto di Nasser nella guerra dei Sei Giorni del 1967. Da quel momento, le correnti islamiste si diffusero sempre di più e conobbero una radicalizzazione via via più acuta.
Se i gruppi estremisti e votati alla lotta armata come la Jama’a Islamiyya o Takfir wa Hijra (o attualmente Hamas in Palestina) possono essere in qualche modo ricondotti, relativamente alla loro matrice ideologica, ai Fratelli Musulmani, i Fratelli Musulmani «ufficiali» hanno seguito una loro strada, una strada di legittimazione sociale e politica nei confronti del potere en place, in Giordania per esempio, o, per quanto più ci riguarda, in Egitto sia all’epoca della presidenza Sadat (1970-1981) sia all’epoca della presidenza Mubarak (dal 1981 a oggi) (3).
Ora, questo articolo vuole contribuire, evitando di avanzate giudizi di valore che vengono lasciati all’opinione di chi legge, a far conoscere più ampiamente il credo ufficiale dell’organizzazione come formulato agli inizi del XXI secolo. Naturalmente, è vero che un documento teorico ufficiale non sempre e non di necessità riflette quella che è la prassi di coloro che il documento hanno stilato.
Per cui si potrebbe presumere che i Fratelli Musulmani siano, nella prassi, più radicali di quello che sembrano in teoria. Tuttavia, è anche vero che, per raccogliere proseliti, si deve presentare un programma e che, per conservare il consenso, bisogna in qualche modo mettere in pratica siffatto programma. Quella che segue ne è una breve analisi (4).
I principi del credo dei Fratelli Musulmani
II primo passo riguarda lo studio dei Principi. Ora, i Fratelli Musulmani si dichiarano interpreti dell’appello che, più di 1400 anni fa, il Profeta Muhammad ha lanciato alla Mecca:
Quell’appello (da’wa) universale era rivolto a tutto il creato […]; era l’annuncio chiaro ed esplicito di un ordine nuovo legiferato da Dio Sapiente Onnisciente e comunicato da Muhammad – che Dio lo benedica e lo salvi – , il Nunzio Ammonitore. La sua carta fondamentale e la sua costituzione era il Limpido e Luminoso Corano; il suo esercito era la generazione dei pii antenati, vuoi gli Emigranti [che seguirono Muhammad dalla Mecca a Medina in seguito all’Egira] vuoi gli Aiutanti [i convertiti di Medina], vuoi i loro successori che bene hanno operato.
Nel sottolineare che il Corano contiene i fondamenti della riforma (usulal-islah) di ogni aspetto (della realtà); contiene i principi cui la società deve ispirarsi per incamminarsi verso la sicurezza, la pace e il progresso, il documento evidenzia fin dall’inizio il valore politico, di costituzione e carta fondamentale della Comunità musulmana, rivestito dal Libro sacro. In ogni caso, i principi basilari in cui i Fratelli Musulmani si riconoscono sono:
– la Signoria di Dio (rabbaniyya). Si intende: ogni direttiva individuale, sociale o nazionale; ogni azione, comportamento, concezione e scelta politica deve soddisfare Dio; deve essere compiuta secondo quanto Dio ha ordinato oppure deve essere evitata se provoca l’ira di Dio.
– lo spirito umano deve sottrarsi a ciò che induce lo sdegno di Dio, elevarsi al di sopra della materialità e sforzarsi di conseguire l’ascesi. – la fede nella resurrezione, nel giudizio finale, nella ricompensa e nella punizione.
– bisogna tenere in grande stima il legame di fratellanza che unisce gli uomini e promuovere i loro diritti.
– bisogna valorizzare il ruolo della donna e dell’uomo: essi cooperano nelle cose fondamentali che strutturano la realtà sociale; si completano a vicenda e sono uguali; ognuno dei due svolge una funzione fondamentale nella costruzione e nello sviluppo della società.
– la libertà, la proprietà, la compartecipazione, il diritto alla vita, al lavoro e alla sicurezza sono riconosciuti a tutti i cittadini, sotto il manto della giustizia, dell’uguaglianza e della certezza della legge (qanun).
– salda dev’essere la costanza dei valori e degli ideali e l’energia nel combattere tutto ciò che è futile, corrotto e corruttore.
– bisogna adoperarsi per una autentica unità comunitaria.
– Il jihad sulla via della Comunità.
La «signoria di Dio» sembra essere concetto diverso dalla «sovranità di Dio» (hakimiyya) sostenuta dal celebre Fratello Musulmano radicale, maìtre-à-penser dei gruppi armati degli anni Settanta e Ottanta, Sayyid Qutb (5). Laddove infatti Qutb enfatizzava l’aspetto politico della sovranità (Dio è l’unico legislatore e l’unico autentico dirigente della Comunità), il documento in esame enfatizza l’aspetto etico-morale della direzione divina che è una sorta di punto di riferimento dell’azione umana. Si noti che, parlando di certezza della legge, l’estensore ha usato il termine qanun (legge secolare) e non il termine shari’a (legge religiosa).
D’altro canto, il jihad è prescritto «sulla via della Comunità», cioè come «sforzo» sociale e politico rivolto al benessere dei musulmani, e non, come è tradizione, «sulla via di Dio». È interessante notare come uno degli ideologi più estremisti del jihad contemporaneo, il famoso medico egiziano Ayman al-Zawahiri, ideologo di al-Qaida. abbia aspramente denunciato i Fratelli Musulmani come corrivi e supini ai regimi al potere perché disposti a partecipare ai governi, ed anzi come traditori del presunto autentico messaggio islamico (6).
La sezione sui Principi si conclude col riconoscimento che:
1) La Comunità (Umma) è la fonte dei poteri (sultat).
2) La giustizia (‘adl) è il fine del governare, sia sul piano interno che sul piano internazionale.
3) La consultazione (shurà) deve essere praticata per prendere ogni decisione. Non vi è posto per la dittatura, né per l’autorità di uno solo. La libertà deve essere protetta, difesa e affermata come diritto di tutti.
La «consultazione» (che ha base nel Corano, cfr. il versetto 42,38) è volentieri evocata dai teorici islamici come via islamica alla democrazia (7). Dal punto di vista economico,
– non vi deve essere accumulazione nelle mani dei ricchi a scapito dei poveri,
– è proibita l’usura [esplicita regola coranica, cfr. i versetti 2,275-278].
– è proibita la tesaurizzazione.
– è proibito il monopolio.
– bisogna rispettare la proprietà (privata), che è un diritto sociale, e ottemperare alla Legge (shar’) di Dio.
Gli obiettivi
Passando ora agli Obiettivi, il documento ufficiale dei Fratelli Musulmani proclama la sua fedeltà agli insegnamenti del fondatore dell’organizzazione, Hasan al-Banna (1906-1949), che ha definito sinteticamente come segue i fini che l’associazione deve impegnarsi a realizzare:
«Noi vogliamo [realizzare] l’uomo musulmano, la famiglia musulmana, il popolo musulmano, il governo musulmano, lo Stato che conduce allo Stato islamico; vogliamo riunire i musulmani dispersi e i loro Paesi soggetti a [continua] violenza; quindi sollevare la bandiera del jìhad e lo stendardo dell’appello a Dio Altissimo, affinchè il mondo approfitti degli insegnamenti dell’Islam». L’imam martire [al-Banna fu ucciso dalla polizia egiziana] ha poi puntualizzato questi fini dicendo: «Ricordatevi sempre che di fronie a voi ci sono due obbiettivi fondamentali: 1) liberare la patria (watan) islamica da ogni potere straniero. E’ questo un diritto naturale di ogni uomo, e può negarlo solo il perverso, l’ingiusto e il sopraffattore; 2) istituire, nella patria liberata, uno Stato islamico libero che operi secondo le direttive dell’Islam e ne applichi l’ordinamento sociale».
Intriga in questo passo, l’uso del termine del tutto secolare watan per indicare non una «patria» qualsiasi, ma la patria islamica. E curioso cioè l’uso di un termine del linguaggio del nazionalismo laico per indicare una realtà tipicamente sopranazionale quale sarebbe appunto una «patria islamica». L’obbiettivo fondamentale dell’organizzazione viene quindi indicato nella realizzazione dello «stato islamico».
Nonostante quanto normalmente si crede e viene accreditato sia da una parte dell’accademia sia soprattutto dai media, la realizzazione dello Stato islamico è una richiesta del tutto moderna, ripresa dopo secoli di prassi governamentale «laica».
Per secoli gli Stati e i Paesi musulmani, infatti, pur ricercando la legittimazione delle autorità religiose, hanno praticato politiche secolari; e ciò è rimasto vero nel Ventesimo secolo, soprattutto prima, ma anche dopo la crisi del nasserismo nel 1967 (8).
Ora, per arrivare allo stato islamico bisogna innanzi tutto formare l’uomo musulmano che costruirà la famiglia musulmana e, quando si sarà costituito il nucleo familiare islamico, verrà in esistenza anche la società musulmana che diffonderà al suo interno e attorno a sé l’appello al bene e alla lotta contro i vizi e le turpitudini; promuoverà la virtù, il lavoro e la produzione, la sicurezza, la generosità e l’altruismo.
Sulle basi di una società musulmana retta si costruirà lo Stato islamico che implicherà l’applicazione della Legge (shar’) di Dio, farà di Dio il protettore del popolo, il custode e il garante dei suoi diritti. Implicherà inoltre l’applicazione della legge secolare (qanun) per l’implementazione dei diritti dell’uomo relativamente alla libertà, alla sicurezza, al lavoro, al cambiamento, alla manifestazione delle opinioni, al rispetto dei diritti in un quadro di cooperazione e alla esecuzione delle decisioni prese.
Ancora una volta si fa differenza tra la legge religiosa e la legge secolare cui pare essere demandata la difesa dei diritti:
il governo islamico che sarà scelto dalla società musulmana disimpegnerà il suo compito in quanto servitore della Comunità, operando in vista della sua prosperità. I membri di questo governo islamico, nel disimpegno dei loro doveri, saranno vincolati alla loro educazione e formazione islamica, ma chiederanno comunque l’ausilio dei non musulmani presenti nella società, al fine di realizzare ciò che è utile e buono per la Comunità.
Lo Stato islamico prefigurato dal documento, nonostante, come abbiamo detto, l’uso del termine watan, ha evidenti caratteristiche trasversali rispetto alle singole «nazioni» islamiche. Si tratta di fatto di una versione moderna dell’antico califfato, una sorta di «società delle nazioni islamica». L’estensore prevede infatti come obbiettivo estremo l’istituzione dello Stato islamico unificato, cioè degli Stati Uniti dell’Islam (al-wilayat al-islamiyya al-muttahida), [che] ripristinerà lo status internazionale della Comunità, ne esalterà le virtù civili e ne affermerà il ruolo per la conquista della pace, della sicurezza e della libertà in tutto il pianeta. Il cambiamento avverrà senza tentativi di egemonizzazione facendo ricorso ad altre forze
L’obbiettivo che, a sua volta, deve adempiere lo Stato islamico unificato è la diffusione dell’Islam nel mondo attraverso un appello alla conversione (e in questo pare consistere il jihad sia nel brano citato più sopra degli Obbiettivi sia nel passo che citeremo immediatamente più sotto). L’estensore tenta infatti una sintesi:
Asseriamo:
– di essere una Comunità la cui forza e la cui gloria derivano solo dall’Islam, la dottrina (cui aderiamo) con l’intelligenza e con l’azione;
– che l’Islam solo è la soluzione di rutti i problemi politici, economici e sociali, interni ed esterni, della Comunità;
– che con l’Islam ogni lavoratore troverà un lavoro, ogni postulante il salario di cui ha bisogno, ogni contadino la terra, ogni cittadino una casa e una sposa; un dignitoso tenore di vita (sarà garantito) a ognuno;
– che i problemi che assillano il mondo finiranno solo quando sorgerà la scienza dell’Islam e sarà proclamato il jihad;
– che l’unità araba non potrà formarsi senza l’Islam, e che l’unità e l’unificazione di tutti i musulmani non potrà formarsi senza l’Islam. Il pendere della bilancia a favore dei musulmani non è cosa impossibile, una volta che si sia implementato l’Islam;
– che operare per istituire il governo islamico è un obbligo; è obbligatorio associarsi per stabilire l’Islam, mentre in nessun modo è lecito associarsi per rimuovere l’Islam, e anzi ciò è del tutto alieno dalla percezione e dalla concezione dell’uomo musulmano;
– che l’instaurazione dello Stato islamico ne risulterà una possibilità più facile,
– che l’Islam conferisce a tutti i cittadini – a coloro che godono della cittadinanza sulla terra islamica – il diritto al culto, alla libertà, alla sicurezza, al lavoro, alla libertà di professare un’opinione o di cambiare.
L’accenno al diritto di cittadinanza sulla terra islamica è ovviamente memore della istituzione classica islamica della dhimma: secondo questa istituzione, i credenti nelle altre religioni del Libro o monoteiste (in particolare ebrei, cristiani, zoroastriani, ma anche gli indù), che sono considerati appartenenti a Comunità identificate dalla religione, hanno il diritto di vivere e di praticare il loro credo e i loro costumi in Stati governati da musulmani (nell’impero ottomano ogni Comunità religiosa applicava le proprie norme di diritto privato). I «protetti» dalla dhimma godono peraltro di minori diritti nel campo politico (per esempio non possono diventare capi di Stato, anche se possono diventare ministri o parlamentari) e a loro non è permesso fare proselitismo.
I metodi
II documento ufficiale dei Fratelli Musulmani ritiene che i Metodi [siano] congruenti con la natura dell’appello. Invero, i Fratelli Musulmani sono una associazione di musulmani che, fin dalla fondazione, si è adoperata per il rinnovamento dell’Islam e per la realizzazione dei suoi obbiettivi tanto a livello locale quanto a livello internazionale, tenendo nella giusta considerazione la modernità, ossia (ad un tempo) coltivando la cultura e la scienza moderne e conservando l’autenticità e l’identità (islamica).
L’estensore insiste particolarmente sul fatto che l’organizzazione cerca una «islamizzazione idonea alla contemporaneità» (islamiyys mu’asira) insieme a una compiuta cultura islamica, rispettosa delle radici e dei fondamenti […] e attenta a consolidare l’identità. A tal fine è fondamentale che i Fratelli Musulmani facciano del Corano e della sunna [i racconti tramandati della vita e dei detti del Profeta Muhammad] le fonti del loro metodo, adoperandosi a costruire nell’uomo islamico una volontà incrollabile e una profonda lealtà che né incostanza né infedeltà sapranno scuotere, e uno spirito di sacrificio senza il quale non ci si può distogliere dall’ambizione (personale) e dalla grettezza… oltre alla conoscenza dei principi che sanno discriminare tra il genuino e il fasullo, tra il sano e il corrotto. Prima di tutto viene però la fede, immune da sbagli, remota dall’errore, spronante al disinteresse e all’ascesi, produttrice di longanimità e di generosità.
In questo quadro spicca il ruolo dell’educazione e del suo fondamento; il ruolo della cultura, delle sue fonti e dei suoi fondamenti; il ruolo della propaganda con ogni mezzo possibile.
Educazione e propaganda furono i mezzi che, oltre all’impegno e all’assistenza sociale, consentirono ai Fratelli Musulmani in Egitto, negli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso, di arrivare (pare) a un milione di affiliati. L’enfasi sulla educazione si esprime nella proposta di una organicità (tawhid) di comprensione e una visione complessiva in grado di eliminare dall’idea che dell’Islam si fa la gente (comune) tutte le incerte variabili frutto dell’assenza di un metodo corretto, e quindi di generalizzare il metodo scientifico-pratico islamico in modo da renderlo operante nell’appello dei Fratelli Musulmani. Invero, condurre l’uomo dall’agnosticismo (al-la-islamiyya) all’Islam, dalla non responsabilità a una islamizzazione cosciente, avvertita e consapevole è dovere universale ma necessario, che esige metodi appropriati per tradurre in atto la trasformazione richiesta.
Anche qui vi è un importante rilievo lessicale. Il termine tawhid è termine tecnico per indicare l’assoluta Unicità di Dio. Qui viene utilizzato per sottolineare come il «concetto islamico» sia un concetto unitario che ingloba tutti gli aspetti della realtà. La critica alla presunta erraticità del modo di pensare dell’Occidente, disancorato da valori saldi e costanti e supino alla debolezza dello scetticismo e del perenne variare delle idee, si trova già esplicito nel libro del citato Sayyid Qutb Il concetto islamico e le sue caratteristiche (9).
Nonostante la compattezza del concetto islamico e la sua apparente impermeabilità, il metodo perseguito dall’associazione si fonda sull’organizzazione e sulla regolamentazione, sulla costanza del procedere, sulla critica costruttiva e il rispetto delle opinioni altrui. Questo metodo soddisfa pienamente alle (necessità del) rinnovamento e dell’evoluzione, riconosce il progresso e respinge la trascuratezza. …
II sicuro successo del metodo è garantito dal fatto che, con esso, [si rafforza] nell’uomo islamico un equilibrio grazie al quale egli bilanciatamente misura tutto ciò che lo circonda, tutto ciò che gli accade e inaspettatamente lo coglie, tutte le situazioni e le condizioni diverse (che lo riguardano); si tratta cioè di dare all’uomo musulmano una concezione islamica operativa per mezzo della quale egli valuti tutte le cose e le circostanze.
Il Corano e la sunna sono le due faci grazie alle quali l’uomo islamico vede di fronte a sé, grazie alle quali i suoi occhi sono acuti e la sua valutazione e il suo giudizio sulle cose e le circostanze sono precisi In ultima sintesi, nel metodo dei Fratelli Musulmani per la riforma della società e per l’educazione emergono alcune pietre miliari essenziali su cui esso poggia e si fonda. Le principali sono le seguenti:
1) la signoria di Dio (rabbanìyya);
2) l’elevazione dell’anima umana:
3) la salda credenza nulla ricompensa e nel castigo (dell’aldilà);
4) la proclamazione della fratellanza tra gli uomini;
5) la cooperazione tra l’uomo e la donna nella costruzione della società; è pertanto necessario ribadire e riaffermare l’importanza di entrambi;
6) il bilanciamento tra le necessità spirituali e le corporali;
7) la sicurezza sociale ottenuta attraverso la garanzia dei diritti alla vita, alta protezione, alla libertà, alla proprietà, al lavoro, alla salute, alla libertà di opinione;
8) la riaffermazione dell’unità (islamica), il rifiuto delle divisioni, l’impegno per eliminare tutte le differenziazioni e le ostilità reciproche.
Conclusioni
Il principio di attivismo etico è quello che emerge, mi pare, con maggiore evidenza da questo ultimo schema. Tale principio è tradizionale nel pensiero politico e sociale islamico ed è accettato da tutte le scuole teologiche. Due versetti coranici, il 3,104 e il 3,110 lo prescrivono esplicitamente: «Si formi tra voi una nazione di uomini che invitano al bene, che promuovono la giustizia e impediscono l’ingiustizia». Il proibire il male e il promuovere il bene può avvenire in tre modi, secondo quanto recita una tradizione attribuita al Profeta: con la mano (cioè con la prassi), con la lingua (cioè con l’esortazione), con il cuore (cioè con la preghiera).
I commenti ai brani citati hanno voluto sottolineare soprattutto gli elementi caratteristici ed anche innovativi del credo dei Fratelli Musulmani in relazione al pensiero sociale e politico tradizionale dell’Islam. Da molti punti di vista, questo credo appare come moderno, nel senso che tenta di rinnovare e di riadattarci principi tradizionali islamici alla situazione contingente e contemporanea. Quello che è importante notare in conclusione è che i Fratelli Musulmani non possono e non devono essere meccanicamente ricondotti all’islamismo radicale e armato degli ultimi due decenni.
La loro specificità è quella dì appartenere ancora al mainstream delle correnti del riformismo islamico che risalgono ad al-Afghani (1838-1897) e Muhamhnad ‘Abduh (1849-1905), a correnti, dunque, moderniste (10), laddove è possibile dire che il jihadismo di al-Qa’ida e di organizzazioni consimili è post—moderno, rivelando tutte le incertezze, le contaminazioni e gli irrazionalismi della post-inodernità (11).
Note
1) M. Kassem, Egyptian Politics. The Dynamics of Authoritarian Rule, Boulder – London, Lynne Rienner, 2004, p. 9 e cap. V.
2) R. Mitchell, The Society of the Muslim Brothers, London, Oxford University Press, 1969; B. Lia, The Society of the Muslim Brothers in Egypt. The Rise of an Islamic Mass Movement, London, Ithaca Press, 1998.
3) H. Al-Awadi, In Pursuit of Legitimacy. The Muslim Brothers and Mubarak, London – New York, Tauris, 2004.
4) I testi in arabo da cui traduco direttamente si trovano in rete nel sito ufficiale dei Fratelli Musulmani www.ikhwanonline.net e rispettivamente www.ikhwanonline.net/Principles.asp per i «Principi», www.ikhwanonline.net/Target.asp per gli «Obbiettivi», www.ikhwanonline.net/Procedure.asp per i «Metodi». I testi sono stati scaricati il 16 ottobre 2005.
5) II libro più noto e provocatorio di Sayyid Qutb, Pietre miliari sulla via, anatemizzato e introvabile nelle librerie arabe, è peraltro facilmente scaricabile in internet, tradotto in inglese, all’indirizzo www.youngmuslims.ca/onlinejibrary/books/milestones.
6) Cfr. G. Kepel (a cura di), Al-Qaida dans le texte, Paris, Presses Universitaires de France, 2005, pp. 235-236 e 245 ss. (i testi).
7) Si veda M. Campanini, Shùrà (Consultazione), «II Pensiero Politico», n. 1/2005, pp. 75-87.
8) Si veda anche per la bibliografia di riferimento M. Campanini, Islam e politica: il problema dello stato islamico, «II Pensiero Politico», n. 3/2005, pp. 456-466, e Id. La teoria politica islamica, in F.Montessoro (a cura di), Lo stato islamico. Teoria e prassi nel mondo contemporaneo, Milano, Guerini e Associati, 2005, pp. 17-64.
9) S. Qutb, The Islamic Concept and Its Characteristics, Indianapolis, American Trust Publications, 1991.
10) Cfr. per un primo approccio P. Branca, Voci dell’Islam moderno, Genova, Marietti, 1996, ma soprattutto T. Ramadan, Il riformismo islamico. Un secolo di rinnovamento musulmano, Troina, Città Aperta, 2004.
11) Si veda già A. Ahmed e H. Donnan (a cura di), Islam, Globalization and Post-modernity, London -New York, Routledge, 1994.