di Andrea Gasperini
Ospitiamo l’intervento dell’avvocato Gasperini, volto a sottolineare e ‘difendere’ l’importanza dell’esistenza e del ruolo degli ordini professionali. L’argomento ci sembra interessante, e molto delicato al tempo stesso: necessita certamente di un approfondimento, e di un’apertura anche agli aspetti negativi o comunque di criticità che naturalmente solleva. Per questo ci proponiamo di dar spazio nei prossimi numeri anche ad altri interventi, magari di parere contrario o comunque discordante. Non credano i nostri lettori che si voglia far confusione o creare imbarazzi: siamo solo convinti che la dialettica e il dialogo siano sempre il modo migliore per affrontare e analizzare a fondo le tematiche, storiche, politiche o sociali che siano.
Secondo Amato (sistematicamente sostenuto dall’assai autorevole quotidiano economico di Confindustria Il Sole-24Ore e da tutta la stampa di sinistra), il sistema italiano degli Ordini contrastava con i Trattati Cee che vietano ogni intesa tra le imprese che abbia effetti restrittivi della concorrenza e del mercato.
Ciò dipenderebbe dal fatto che i singoli Ordini raccolgono obbligatoriamente tutti coloro che svolgono una professione; stabiliscono i prezzi dei servizi (tariffe) determinandone il minimo ed il massimo; vietano agli iscritti ogni forma di pubblicità ed, infine, adottano nei loro confronti sanzioni disciplinari che, nei casi più gravi (es. l’avvocato che si appropria di denaro del cliente), possono arrivare fino alla cancellazione dall’albo con il conseguente divieto di proseguire l’attività.
Tutto questo, secondo il compatto fronte dei nemici degli Ordini, impedirebbe la formazione di un prezzo di mercato, l’informazione del consumatore con i consueti canali pubblicitari ed, infine, il libero esercizio della professione.
Come sempre accade, le tesi della sinistra sono solo poco più che slogans e così è anche in questo caso. Per dimostrarlo, è sufficiente ricordare che le attività raccolte negli ordini (mediche, giudiziarie, ingegneristiche ecc.) si svolgono di regola in settori assai delicati dove le regole del mercato non possono essere l’unico criterio di giudizio.
E’ bene infatti che, ad esempio, chi apre uno studio medico o progetta un ponte, lo faccia dopo che sia stata accertata la sua competenza dopo un congruo periodi di pratica; che, vi sia chi vigila sul suo comportamento; che, inoltre, egli non sia costretto a svilire la sua prestazione in un gioco al ribasso dei prezzi più adatto ad un mercato rionale o, magari, facendosi pubblicità sui muri come, ad esempio, l’avvocato che riesce a far assegnare ai clienti i figli in caso di divorzio.
Né si deve dimenticare che -in Italia- gli ordini non sono a numero chiuso per cui non è impedito l’accesso a chi ne abbia i requisiti e, poi, anche le tariffe (considerate l’ostacolo principale da abbattere), lasciano ampia libertà perché servono solo ad impedire eccessi verso il basso e verso l’alto. Infine, anche nelle nazioni dove gli Ordini non esistono, non mancano comunque meccanismi di vario genere che tendono ai medesimi scopi.
Nata con la Presidenza Amato all’Antitrust, la battaglia contro gli Ordini ha via via raccolto adesioni di noti .. campioni del mercato tra i quali, D’Alema, Bersani (all’epoca in cui erano rispettivamente Capo del Governo e Ministro dell’industria). In genere, comunque, tutte le sinistre italiane, con Confindustria come alfiere, non hanno mai cessato di battere questo tasto.
Se, poi, gli Ordini sono sopravvissuti, ciò è dovuto prima di tutto al fatto che gli organismi di Bruxelles, tutte le volte che se ne sono finora occupati, pur con mille riserve, non ne hanno mai decretato la fine: ciò che invece le sinistre -e non solo italiane- avrebbero sempre voluto. Inoltre, quando sembrava che la loro esistenza fosse oramai … appesa ad un filo, c’è stata la vittoria del centro-destra nel 2001 che ha allontanato dal governo i principali avversari.
E’ però evidente che, tra qualche mese, la questione potrà tornare a riproporsi perchè il centro-destra, in cinque anni, non ha seriamente tentato di metterli al riparo. Ciò che si sarebbe potuto fare, ad esempio, in occasione dell’approvazione della costituzione europea o della recente modifica di quella italiana.
Esistono infatti tanti buoni motivi perché gli Ordini professionali siano difesi e, magari, anche un po’ migliorati. E questo sia perché lo scorrere del tempo richiede sempre lavori di manutenzione sia, soprattutto, perché operando in una società segnata da una profonda crisi dei valori, si è certamente un po’ troppo abbassato il loro livello di guardia sotto il profilo del controllo disciplinare degli iscritti: ma non è certo questo il rimprovero di chi vuole sopprimerli.
Pur con tutti i loro limiti, essi rappresentano ancora uno degli ultimi ed apprezzabili residui di struttura corporativa della società dal momento che garantiscono la libera iniziativa e la concorrenza dei singoli professionisti assicurando nel contempo che il mercato non sia il sovrano assoluto.
Questo accade perché:
a) la concorrenza incontra anzitutto il limite del giusto prezzo: autentico residuo degli scolastici del Medioevo (S. Tommaso in testa);
b) la pubblicità, con il suo abominevole corredo di bugie, di istigazione e di pornografia, è fortemente compressa;
c) nasce in genere un senso di solidarietà tra coloro che svolgono la stessa professione che sono aiutati dall’ordine di appartenenza nella formazione, nelle loro necessità familiari, mediche e pensionistiche (l’ordine forense e quello notarile sono in ciò, autentici modelli);
d) l’Ordine ha di mira – e non secondariamente – il decoro della professione e la correttezza dell’operato degli iscritti anche contrastando gli accaparramenti di clientela.
Non è dunque un caso che gli Ordini professionali siano stati aboliti dalla Rivoluzione francese (come tutte le corporazioni di arti e mestieri): gli avvocati furono addirittura soppressi da chi, evidentemente, riteneva che i processi dovessero essere solo popolari. In Italia, essi seguirono più o meno la stessa sorte con l’avanzare delle armate napoleoniche e furono poi ripristinati solo nel 1874 durante il governo della c.d destra storica che, per quanto liberale, sempre destra era.
Erano, del resto, gli anni in cui anche nel mondo cattolico, si assisteva ad una notevole ripresa di interesse per le vecchie corporazioni viste come valida alternativa sia al laissez faire liberale -che aveva causato fenomeni come la giornata lavorativa anche di 16 ore, il lavoro minorile e l’assenza di ogni tutela sociale- che al nascente sindacalismo socialista.
È interessante, per finire, dedicare poche righe al variopinto fronte degli avversari degli Ordini professionali:
– anzitutto i marxisti (anche post-) per i quali, nella visione del materialismo storico -loro permanente schema mentale- gli Ordini rappresentano solo dei residui pre-capitalistici del vecchio socialismo feudale che debbono essere superati, cioè distrutti, in vista del progresso della dialettica della lotta di classe;
– i tecnocrati -di cui Prodi ed Amato sono senz’altro esponenti di spicco con molti amici in Banca d’Italia- per i quali non c’è posto che per l’homo oeconomicus. Detestano pertanto l’esistenza di corpi intermedi che, come la famiglia e le associazioni di categoria, si frappongono tra l’individuo e lo Stato difendendo l’esistenza di tutto ciò che non è mercificabile;
– il mondo che fa capo a Confindustria alle banche ed alle assicurazioni vorrebbe poi estendere la propria competenza ad un milione e mezzo di persone (tanti sono i professionisti in Italia) che ad esso oggi sfuggono. Aboliti gli Ordini, gli avvocati, i commercialisti, gli architetti, gli ingegneri ecc. diverrebbero infatti facile preda di quelle società multifunzionali di cui molto si parla dove il professionista, oggi lavoratore autonomo, si trasformerebbe a poco a poco in un dipendente: né più né meno di come i supermercati hanno fatto sparire o fagocitato i piccoli commercianti;
– tutti gli statalisti infine, vedono di buon occhio la possibilità di far confluire le ricche casse pensionistiche di molti ordini professionali (nate con denaro degli iscritti e senza oneri per lo Stato) nel marasma dell’Inps.
È dunque molta -e di non poco peso- la posta che è in gioco. Sparito infatti il mondo delle professioni, un altro non insignificante passo sarebbe compiuto verso uno stato di cose livellato, tecnocratico, globalizzato. Certamente poi, chi non fa parte dei poteri forti, non avrebbe più davanti a sé un professionista, per così dire, alla sua portata e per il quale egli è un significativo cliente ma se lo vedrebbe fornito da una holding rispetto alla quale egli ha la stessa poca importanza di quando passa con il carrello della spesa davanti alla cassa del supermercato.