Giuliano Ferrara
La Bibbia o il Corano del giornalismo liberal e politicamente corretto, il New York Times, ha scritto sabato nella rubrica dei suoi editoriali, una sequenza di enormità, che ricalcano alla lettera le aggressioni islamiche a Benedetto XVI dopo il suo discorso di Regensburg.
Pericolose enormità, che dimostrano la chiusura del cerchio magico dentro il quale si collocano ormai il correttismo politico occidentale e l’islamismo politico della ummah maomettana. C’è da sperare che di fronte a questo manifesto dell’intolleranza verso di sé, verso la propria cultura, verso i propri sacri principi di libertà del pensiero, si muovano, non in difesa del Papa, che non ne ha bisogno, ma in difesa di se stessi, gli intellettuali e i politici europei che conoscono la differenza tra tolleranza e intolleranza, e predicano stucchevolmente tolleranza e dialogo a noi estremisti dello scontro di civiltà, cosiddetti.
La prima enormità: «Il Papa ha insultato i musulmani, citando una descrizione dell’islam, risalente al XIV secolo, come cattivo e disumano».
La seconda enormità: «I leader musulmani di tutto il mondo hanno denunciato nelle parole del Papa una visione falsa e ispirata al pregiudizio dell’islam. Per molti musulmani la guerra santa o jihad è una lotta spirituale e non un appello alla violenza. Ed essi denunciano il suo pervertimento da parte degli estremisti che usano il jihad per giustificare assassinio e terrorismo».
La terza enormità: «Non è la prima volta che il Papa fomenta la discordia tra cristiani e musulmani. Nel 2004, quando era ancora il capo dei teologi del Vaticano, parlò contro l’ingresso della Turchia nell’Unione europea, perché la Turchia, in quanto paese musulmano, era stata “in permanente contrasto con l’Europa”».
La quarta e finale enormità: «Il mondo ascolta con attenzione le parole di ogni Papa. È tragico e pericoloso quando esse alimentano la discordia, per scelta deliberata o per negligenza. Il Papa deve offrire con parole persuasive le sue scuse, dimostrando che le parole possono anche guarire le piaghe».
Quando diciamo che il correttismo politico ricalca alla lettera l’islamismo politico (e lo diciamo da tempo, ma non avevamo mai avuto una dimostrazione tanto persuasiva delle nostre ragioni), parliamo sul serio. Nell’editoriale del NYT non esiste un punto di vista culturale occidentale, figlio . della nostra cultura laica, del nostro modo filosofico e politico di intendere il dialogo o la disputa in materie di fede e di ragione.
Non ci si pone nemmeno il problema se le parole di un Papa che parla di religione, di filosofia, di cultura e di civiltà politiche debbano essere discusse civilmente, contrastate laicamente, anziché dannate e messe in croce con gesti e linguaggi da tagliatori di teste, da emittenti di fatwa che parlano contro l’infedele a nome sia della comunità, sia del clero islamico, sia degli stati islamici (dall’università cairota Al Azhar al Parlamento del Pakistan, fino ai gruppi jihadisti della provincia irachena di Anbar dove i guerriglieri sunniti minacciano, mediante avviso in moschea, di sterminare i cristiani se il Papa cattolico non dovesse scusarsi).
Quel testo del New York Times quasi incredibile a occhi e orecchie liberali, manifesto involontario della trasformazione del liberalismo in ideologia carceraria della libertà in nome del rispetto della diversità, retrodata la cultura dei giornalisti che lo sottoscrivono ai secoli in cui l’islam si chiuse a riccio, interruppe ogni possibilità di discussione e analisi e interpretazione del testo coranico e della precettistica legale o sharia. E un editoriale scritto a Cordoba nel XII secolo dai censori della filosofia araba.
È un testo che mostra in modo compiuto che l’ultima ondata del secolarismo e del laicismo occidentale ha condotto, per paura, per viltà, per dabbenaggine, per ignoranza, al regresso verso l’irrazionalismo e il nichilismo oscurantista, naturalmente mascherato da argomenti multiculturalisti e dal mito del dialogo inter-religioso senza premesse e senza conseguenze, dialogo in sé, cioè resa relativista all’inesistenza della verità, all’impossibilità della ricerca della verità come matrice del dialogo.
L’editoriale accetta che il Papa abbia insultato l’islam per avere criticato una parte dottrinale importante del corpus coranico e della prassi islamica della conquista e del califfato (prima enormità). La critica teologica diventa un caso politico e si trasforma in un insulto solo in un mondo in cui regna l’intolleranza. O no?
L’editoriale sposa la protesta dei leader musulmani di tutto il mondo e abbraccia senza alcun dubbio la loro versione di ciò che è e di ciò che non è guerra santa jihadista, con l’effetto involontariamente tragicomico di cancellare oltre alla storia e alla teologia, di cui gli editorialisti del NYT non sono tenuti a sapere, i fatti.
Parliamo di quel che è sotto gli occhi dell’occidente e dell’oriente, cioè appunto il risveglio jihadista che ha portato per esempio diciannove bravi musulmani a dirigere un paio di aerei di linea sulle torri che facevano ombra sul Downtown Manhattan, dove quel giornale si pubblica, e migliaia di altri a uccidere cristiani ed ebrei (e molti musulmani) in nome di Dio clemente e misericordioso.
L’editoriale trova censurabile che un teologo abbia ricordato nel 2004 una certa inimicizia storica tra la Turchia e l’Europa, cioè la verità della storia, quella verità che gli accademici liberal amici dei giornalisti liberal vorranno forse riscrivere in qualche cattedra di Lepanto studies, dopo avere già abbondantemente dannato le crociate come culmine dell’inciviltà occidentale.
Infine le scuse. Anche qui, ricalco alla lettera degli argomenti delle cattedre islamiche di ogni tipo, dal terrorista al primo ministro di Hamas, dallo sceicco Al Tantawi al Parlamento Pakistano al portavoce della religione islamica di Stato in Turchia. Roba forte, fortissima, roba da pazzi. Le scuse per aver pensato e per aver detto. Per aver esercitato la libertà di predicare la virtù del Logos, di una ragione che comprende la fede e di una fede che si esprime anche attraverso la ragione in uno statuto di vera analogia tra l’umano e il di vino.
Eccoli, i laicisti dell’autocritica papale su suggerimento intollerante e su decreto delle autorità politico-religiose dell’islam “moderato”. Eccoli, gli immemori! Gli occidentali squinternati verso i quali vorremmo si volgessero le attenzioni di persone serie come i Rusconi, come le Mancina, come i Cacciari, come i Finkielkraut, come i Gluksmann e più in generale le attenzioni critiche di un’intelligenza ormai introvabile nei media, nelle università, nelle elite europee.
Ci resta solo il popolo, e i venti milioni di copie vendute dalla Fallaci. Ma è ancora poco. I Vogliamo il resto. Vogliamo un piccolo esercizio di ragione laica in difesa del Papa cattolico aggredito e ricattato dalle richieste intolleranti di scuse multiculturali, che vengano dai mullah, dal laicissimo Ahmadinejad o dal Corano del giornalismo liberal, poco importa.