di Rino Cammilleri
Il 16 agosto 2006, nel corso della consueta udienza del mercoledì, il papa a Castel Gandolfo ha ricordato l’anniversario della morte di frère Roger Schutz, fondatore della comunità ecumenica di Taizé in Francia. Come si ricorderà, il novantenne frère Roger era stato pugnalato da una squilibrata durante la recita dei vespri in chiesa. In quel momento erano presenti migliaia di fedeli, soprattutto giovani.
Non molto tempo fa sugli stessi tiggì è passato il commosso necrologio di Simon Wiesenthal, il «cacciatore di nazisti»: un uomo che ha dedicato praticamente tutta la sua lunga vita a braccare i responsabili del genocidio ebraico nei lager. Anche qui, data l’enormità del misfatto, tutti abbiamo considerato più che legittimo l’esercizio della giustizia, pur a tanti decenni di distanza, pur su colpevoli ormai novantenni.
Eppure, nessun cattolico, nessun cristiano ha mai pensato di organizzare scientificamente la vendetta, con tanto di schedature, contro i persecutori di decine di milioni di martiri cristiani, mai in duemila anni.
Proprio del cristiano, infatti, e solo di esso, è il perdono, che è semplicemente inconcepibile per chiunque altro. Un perdono che quasi sempre rinuncia alla richiesta di scuse da parte del perdonato (altra follia); un perdono che in ogni caso rinuncia perfino alla giustizia, che pur sarebbe una virtù cristiana. C’è da chiedersi come sia potuto sopravvivere, e alla grande, il cristianesimo fino ad oggi. Ragione di più per ritenerlo di origine divina.