A proposito di tasse e di Finanziaria
di Gianfranco Marcelli
La novità di quest’anno, allarmante quanto basta, sembra però un’altra: la controriforma fiscale, preannunciata nel programma elettorale dell’Unione, rischia di assumere, sulla base dei “boatos” più ricorrenti, un pesante contenuto punitivo a carico delle famiglie, soprattutto se numerose, che ricadono nell’area del reddito medio. Si profila infatti il micidiale effetto combinato di una maggiore progressività delle aliquote, che già di per sé incide di più sui nuclei monoreddito con figli a carico, attraverso l’abolizione di qualunque detrazione per familiari al di sopra dei 45mila euro l’anno.
Per uscire dal linguaggio degli addetti ai lavori, sarà bene chiarire che gli stessi 70mila euro l’anno, indicati come soglia oltre la quale scatterebbe il prelievo del 43 per cento (da inasprire anzi al 45, secondo le richieste della sinistra radicale), equivalgono al netto a poco più di 3mila euro al mese. E non serve la laurea in economia per comprendere che uno stipendio del genere garantisce un “menage” più che dignitoso a chi vive da solo o in una coppia dove magari anche l’altro partner raggranella la sua fetta di reddito.
Ma perde una buona parte del suo valore nel caso di una famiglia con due, tre, quattro figli che vanno a scuola o all’università. E si assottiglia ancora di più quando in casa si trova un anziano o, peggio, un disabile grave, sui costi umani ed economici del cui mantenimento vorremmo tanto ascoltare appelli al Quirinale in grado di innescare apprezzabili riscontri nell’opinione pubblica.
Abbiamo presenti le perplessità e i timori, per altro concentrati sul piano delle conseguenze elettorali, che la “linea Visco” sta destando in alcuni settori politici della maggioranza. Si vorrebbe – non tanto sommessamente – far presente anche qualche altro profilo da tenere in considerazione, a cominciare da quello costituzionale. Se ha ancora un senso l’articolo 53 della nostra Carta fondamentale, che collega alla «capacità contributiva» l’obbligo per i cittadini di «concorrere alle spese pubbliche», sarà pure ora di trovare un criterio rigoroso per misurare la reale, effettiva capacità di ciascuno.
In concreto, questo sacrosanto principio andrebbe messo in diretto rapporto con quelli, non meno nobili, previsti dall’articolo 31 per la tutela della famiglia. Perché se quest’ultima norma impone alla Repubblica di agevolarne «con misure economiche» la formazione e «l’adempimento dei compiti relativi», non è possibile continuare a muovere la leva fiscale come se, a partire da una certa soglia di reddito, cinque bocche finiscono per contare quanto una sola.
E più in generale sarebbe interessante calcolare – provando a tenerne conto in campo tributario quanto “concorre” a garantire l’attuale e il futuro equilibrio dei conti statali una madre di famiglia con tre figli e un marito ” da 50mila euro l’anno” (lordi, ovviamente), che non mandando i bambini al nido (ammesso che potesse mai entrare in graduatoria) fa risparmiare il Comune. E magari accudisce pure madre o suocero, altrimenti destinati a pesare sui servizi socio-assistenziali. Una madre che, secondo il nostro viceministro dell’Economia, essendo sposata a un “ricco” (visto che si può permettere di non lavorare), passerebbe i suoi pomeriggi in palestra o dal parrucchiere.