Romanzi e film, ma anche videogames e tante feste popolari e rievocazioni storiche: negli ultimi anni si è finito per abusare di questo periodo storico. Cosa si nasconde dietro la nuova moda del medioevo fra pseudoscrittori e pseudoarchitetti
di Franco Cardini
Sta di fatto che della parola in questione, la quale ha come noto uno statuto ben consolidato nel campo degli studi e della ricerca sotto il profilo storico e filologico, oggi troppo spesso ci si serve per indicare un oggetto ambiguo e confuso, un “medioevo” immaginario (ben altra cosa dall'”immaginario medievale” il cui studio è una dimensione, sia pur discussa, della medievistica), che forse meglio dovremmo definire “fantastico” – se ciò non facesse corto circuito con un celebre capolavoro di Jurgis Baltrusaitis – e che naturalmente, a sua volta, designava una cosa ben diversa – un “medioevo” arbitrariamente concepito e proposto, rispetto al quale si dovranno analizzare volta per volta intenzioni, metodi e materiali d’elaborazione, volontà di verosimiglianza effettiva. Comunque, la parola e i contenuti che le vengono attribuiti riempiono i nostri mass media e sembra faccia molto business.
Insieme con le piramidi e i misteri dei faraoni, è il medioevo – o qualcosa ad esso più o meno lontanamente ispirato – a tener banco e a occupare gli scaffali delle librerie e dei negozi di giocattoli, le vetrine delle edicole, gli schermi cinematografici e televisivi, i displays dei computer usati per cd-rom e per war games, molte linee internet.
Esso tiene banco con le storie del Graal, con i libri sui segreti Templari, con i romanzi di swords and sorcery e per questo potrebbe sembrare che la sua cifra prevalente sia quella di un medioevo da iniziati, da esoteristi-occultisti. Accanto ad esso ve ne sono però altri: il medioevo anch’esso di largo successo veicolato nel romanzo Il nome della rosa di Umberto Eco, dove sono presenti toni satirici e polemici contro il medioevo dei “tradizionalisti” – quello, per intendersi, largamente ispirato al “reazionarismo” d’un Borges da una parte, agli scritti di autori come Rene Guénon o Julius Evola dall’altra -; o quello reimmaginato in best seller come I pilastri della terra di Ken Follet.
Infine c’è il medioevo evocativo-popolare, legato a certe grandi feste e connesso con la ricerca romantico-nazionale dell’identità, delle radici ma anche animato dal revivalismo ch’è un ingrediente dell’industria del turismo e dell'”industria della nostalgia” tipiche entrambe di società dei consumi, un medioevo che si volge semmai al collettivo alla vita quotidiana, al tableau, come nelle feste assisane Calendimaggio, nei giochi cavaliereschi di Asti, di Ascoli Piceno Narni o di Foligno, nelle “ricostruzioni” di momenti e ambienti “medievali” in Bevagna, nelle feste di Brisighella o di Città del Sole nelle rievocazioni storiche dell’età matildica in provincia di Parma o della battaglia contro il Barbarossa a Legnano, nella “Settimana medievale” in San Marino e in tantissime altre.
Fino a pochi anni era forse l’Italia il “luogo deputato” di queste rievocazioni, in un’infinita gamma di proposte ludico-folkloriche e con differenti pretese di continuità tradizionale. Oggi, però, occasioni del genere si riscontrano un po’ in tutta Europa e magari anche fuori di essa.
Varie forme e differenti aspetti del “nuovo medioevo” aspettano utenti, clienti, turisti. È un medioevo sparso e diffuso un po’ in tuuto il mondo, là dove in qualche modo ci si senta legati all’Europa (quindi anche negli Stati Uniti, in Canada, in Australia), ma soprattutto in Europa: quello delle feste popolari, delle saghe, delle rievocazioni “in costume”, delle gare d’armi, delle riproduzioni artigianali di mediaevalia – ci limitiamo alle feste – e dei banchetti “medievali”.
Vi sono momenti solenni e ben radicati, come il Palio di Siena (che per antichità, continuità, autocoscienza e rapporto con la città resta comunque un caso a parte, difficile da paragonarsi con altre feste in apparenza analoghe, che lo prendono comunque sempre a modello), la Saga del Carroccio di Legnano o il Calendimaggio d’Assisi, che davvero coinvolgono molto seriamente intere comunità; e momenti più modesti e approssimativi, dove la storia e gli aspetti filologici dell’età che si vuoi rievocare sono trattati con più o meno allegra disinvoltura.
Di recente, sono nati anche sodalizi di amateurs abbastanza indecisi tra lo studio del medioevo dei medievisti e il fascino rievocativo del medioevo dei medievalisti (uso qui, in modo abbastanza arbitrario, e personale, il primo come aggettivo di “medievistica” e il secondo come aggettivo di “medievalismo”).
Ma questa passione, o questa “moda”, del medioevo, non è cosa nuova. Da trenta o quarant’anni, come poco fa accennavamo, continua a esser pubblicato in molte lingue del mondo – e ha dato luogo al radicarsi di un vero e proprio culto, sostenuto da un alto numero di “società tolkieniane” – il romanzo eroico-fantastico II signore degli anelli, capolavoro di un medievista di Oxford, il filologo John Reuel Ronald Tolkien; e un semiologo a sua volta di formazione medievististà, Umberto Eco, ha avuto grande successo con Il nome della rosa, anch’esso ambientato “nel medioevo”, come si usa dire nonostante si batti di una frase senza senso; d’argomento medievale – lo ripetiamo fece anche il best seller di Ken Follett.
Ormai, questo medievalismo diffuso ha dovuto interessare gli stessi studiosi, se non altro per la diffusione del fenomeno: e già abbiamo avuto, al riguardo, contributi che permettono di razionalizzarne i caratteri e i limiti.
Medioevo – dicevamo poco sopra anche questo – nello stesso cinema, dove ce n’è per tutti i gusti: dall’esistenzialismo del Bergman de Il settimo sigillo allo spirito goliardico non privo di qualche finezza teologica de L’armata Brancaleone, alla storia di Ginevra e di Lancillotto e alla Giovanna d’Arco più volte visitata e rappresentata, sino al kolossal di Luc Besson del 1999.
Per tacer del “medioevo” disneyano, più volte ripercorso (da Biancaneve a La Bella addormentata, a La spada nella roccia, a Notre Dame de Paris), che può sembrare qualcosa di strano a chi non conosce gli Stati Uniti d’America: che al contrario chi ne ha qualche pratica o ha letto qualcosa sulla loro storia sa bene quanto profonde radici abbiano in esse il neomedioevo e lo pseudomedioevo.
Basti pensare alla complessa vicenda del trasferimento e della ricostruzione d’un monastero spagnolo sulle rive dello Hudson, presso New York (il Cloister) o all’ispirazione “medievistica” di gran parte dell’architettura statunitense e canadese contemporanea, anche – soprattutto? – della più recente. Ma la cultura statunitense, fin dal secolo scorso e specie in aree alte ed esclusive – come quella dei “bramini” bostoniani – è percorsa da una passione per l’Europa medievale che si collega al pensiero costituzionalistico e al cosiddetto teutonismo: un atteggiamento ben connesso con il gusto neogotico in architettura.
Nella pittura, poi, il medioevo ha, com’è noto, conosciuto revivals illustri, dalla pittura romantica, in una gamma infinita che da Delacroix giunge ad Hayez e ai loro epigoni che, con le loro rievocazioni storiche, si addentrano nel Novecento, fino al caso del tutto speciale dei preraffaelliti ma anche a epigoni contemporanei di notevole interesse, sospesi tra revival, ispirazione fantastica, gioco e sperimentazione decorativa.
Il medioevo ha tentato anche molti cantanti di musica leggera e cantautori: tanto per restare in Italia, da De Andre a lannacci, a Vecchioni, a Branduardi, a Endrigo, a Guccini, ai Gufi, alla Vanoni. Esiste, com’è noto, anche una “giallistica” ambientata nel medioevo, di cui buon esempio italiano è I dodici abati di Challant di Laura Mancinelli: Umberto Eco in qualche modo ne dipende. In alcuni casi, si hanno anche esperimenti lirici che, più che rifarsi a modelli medievali o trarvi ispirazione, sembrano riproporre un diretto allacciamento ad essi.
Inoltre, c’è, come s’è visto, un medioevo delle polemiche: il medioevo “età oscura”, con tutto un corredo di argomenti denigratori che hanno una chiara origine illuministica; e il medioevo “età aurea” per un motivo o per l’altro vagheggiata e rimpianta, con temi che in qualche modo si rifanno al primo romanticismo ma che fino a pochi anni fa attingevano alla Weltanschauung d’una destra antimoderna collegata alle problematiche di Guénon o di Evola e affascinata dai romanzi di Tolkien, mentre adesso appaiono piuttosto raccordati al celtismo caro ad ambienti della new age.
Fino a pochi anni fa si sarebbe detto – tanto per parafrasare i giochetti proposti da «L’Espresso» o una nota canzone di Giorgio Gaber – che il medioevo era “di destra” e l’antimedioevo “di sinistra”. Ora non è più vero: forse perché le ideologie sono entrate in crisi e i parametri di “destra” e “sinistra” si sono confusi, piuttosto che non perché si sia fatto chiarezza sul medioevo.
Infine, di tanto in tanto riemerge anche il medioevo delle fantasie futurologiche e delle paure connesse con certi sviluppi della scienza e della tecnologia. La paura – o anche la previsione in apparenza fredda e razionale – di un “medioevo prossimo venturo” si collega a vecchie posizioni catastrofistiche e a visioni cicliche della storia: con Hiroshima si è aperto il tempo delle proiezioni apocalittiche sul nostro futuro, tuttavia corrette dall’ipotesi che qualcosa sopravviva comunque e che la civiltà ricominci, magari da nuove invasioni barbariche e da nuovi monasteri dove si conservino e si cataloghino i brandelli del sapere antico in attesa della rinascita.
D’altro canto, c’è chi ha osservato che la fine delle sia pur ambigue “certezze” ideolo-giche costituisce qualcosa di simile alla fine dell’impero romano d’Occidente: la caduta del muro di Berlino del 1989 come il cedere del limes e dei valla nel corso del V secolo e l’apertura d’una crepa immensa in un sistema di valori magari ingannevole e ingiusto, a suo modo comunque solido, e dopo la caduta del quale si ha difficoltà a ridare un senso al mondo?
Si è alla soglia di un “mondo senza centro”, nel quale si debba ricominciar tutto daccapo e ricostruire, ripensare, riordinare? Ma l’essenza del “medioevo” – verrebbe da chiedere e da chiedersi – sta nell’azzeramento dal quale esso può esser partito al tempo delle società romano-barbariche o nell’ordine morale, estetico e razionale al quale sembra esser pervenuto al tempo delle università e delle cattedrali? Se sono medioevo le città diroccate e le brughiere selvagge, non lo sono anche Chartres e la Summa di Tommaso?
Queste polemiche, queste ipotesi, queste preoccupazioni, queste fantasie, rispondono a una mania degli ultimi decenni? No davvero. Procedendo a ritroso nel tempo, troviamo ancora e sempre medioevo, di generazione in generazione, almeno fino alla seconda metà del Settecento: limitandoci all’Italia, il gusto romantico e poi carducciano e dannunziano per le cupe tragedie di sangue, l’architettura neogotica di chiese e di palazzi comunali nello scorcio fra Otto e le forme neogotiche o neoromaniche di banche, fabbriche, stazioni ferroviarie, nonché le molteplici forme del restauro più o meno falsificatorio dell’Ottocento e del primo Novecento); e, prima ancora, i romanzi storici come quelli del Guerrazzi o del D’Azeglio e le opere liriche come II Trovatore di Giuseppe Verdi o II Mefistofele di Arrigo Boito. Certo, altre epoche del passato hanno sprigionato un fascino persistente nei secoli successivi: nessuna, però, profonda e duratura come il medioevo. Perché?
Una risposta di fondo è soprattutto politica. Il medioevo è il luogo nel quale, a torto o a ragione, si fonda l’elaborazione del concetto di nazione e si sviluppa quello di popolo: i due concetti base del romanticismo politico, poi variamente articolatesi nel nazionalismo, ma anche nel socialismo e nelle stesse molteplici espressioni del cattolicesimo politico.
È necessario prendere dunque atto che l’interesse per il lungo periodo che ordinariamente definiamo “medioevo” situandolo fra V e XV secolo può orientarsi in due differenti dimensioni, non necessariamente opposte, ma di solito separate. Una è la “medievistica”, vale a dire la scienza che studia il medioevo sotto il profilo storico, filologico, artistico, filosofia), religioso, letterario, col fine di ricostruirne la realtà dinamica.
L’altra è piuttosto il “medievalismo”, cioè il complesso di interessi e di atteggiamenti concretizzati-si fondamentalmente lungo il XIX secolo e tesi a rivivere – in modo talora ludico, talaltra nostalgico-evocativo – un “medioevo” immaginato secondo stereotipi in parte radicati e accumulatisi nel tempo, in parte periodicamente ravvivati da mode di vario genere.
Sono un male, queste mode? No, davvero. Al contrario. Basta tener distinte la scienza dall’invenzione, la realtà storica dal fantastico. E poi, anche divertirsi con le nostre radici, magari reinventandole, è legittimo. Anzi, costituisce la prova che di quelle radici si ha bisogno, che non si può viver senza. Basta saper sempre con esattezza quel che si fa e mantener intatte onestà intellettuale e capacità di scelta.