di Marina Corradi
A me che venivo dall’Italia quella vignetta sembrò non solo macabra, ma sbalorditiva nel suo tentare di edulcorare la morte parlando un linguaggio da bambini; nel raccontare che la morte, una volta che ci si metta d’accordo, che si scelga quando e come lasciarsene prendere, è qualcosa di lieve, di “dolce”, così che ben ne può parlare l’orso del parco di Yellowstone, ammiccando.
La fondatrice del maggiore movimento olandese per l’eutanasia era una signora anziana, elegante, garbata. Finita l’intervista, mi domandò se ero cattolica. «Anche io – aggiunse – lo ero, da ragazza». Sembrava parlare di quel tempo con la nostalgia di chi ricorda una bella illusione perduta.
Poi, disse, era venuta la guerra. «Quando, dopo il ’45, ho visto le foto di Auschwitz e Dachau, il Dio della mia infanzia è andato in pezzi. Non era possibile. Il Dio in cui credevo non avrebbe permesso quell’inferno in terra. Il mio Dio, non era dunque mai esistito».
Non si parlava ancora come oggi di nichilismo. Capii più avanti che il Nord Europa era già dentro una convinzione di fondo: la vita è tollerabile solo finché è sana e lieta, e, dopo, nulla che valga un giorno di pena. Ma il dolore, oggi quasi sempre affrontabile con le cure palliative, non è la prima ragione di questa ansia di andarsene “dignitosamente”. Nei reparti in cui si muore di cancro i malati si attaccano all’ultimo istante di vita. Chi sta morendo – mi disse il medico di un “hospice” per terminali – domanda una faccia accanto, non un’iniezione.
Al fondo, l’eutanasia è la battaglia ideologica dei sani. La grande pressione è fuori, nei parlamenti, a Strasburgo. Contagiati e convinti da un pensiero che dagli intellettuali si è allargato al popolo: nascere, vivere si può finché il nostro corpo funziona. I difettosi, è meglio eliminarli prima che vedano la luce, e gli inguaribili, pietosamente sopprimerli. Perché, se non c’è un Dio, né un senso, stare di fronte alla morte è intollerabile.
Come quell’orso Yoghi che s’avviava ammiccando verso il suo nulla. Quindici anni dopo, l’Olanda, prima in Europa a mostrare i sintomi del nichilismo e relativismo di massa, è il paese più minacciato dall’integralismo islamico. Dove si ammazza un regista per un film “blasfemo” contro il Corano. È solo un caso? Come se, in quel vuoto di non senso e di nulla, più facilmente si fosse aperto un varco – come in un ventre molle – la protervia di nuovi padroni, conquistatori di un mondo in declino.
Scrive Benedetto XVI in Senza radici: «Il confronto (dell’Occidente contemporaneo, ndr) con l’Impero romano si impone: esso funzionava ancora come cornice storica, ma in pratica viveva già quei modelli che dovevano dissolverlo, aveva esaurito la sua energia vitale». Avanguardia Olanda, dalla eutanasia legale alla perdita di sé – laboratorio di un mondo prossimo venturo.