Le donne musulmane chiedono di essere libere davvero
di Souad Sbai
Il velo fa discutere, divide gli animi, suscita interrogativi. E certe incaute dichiarazioni, come quelle rilasciate due giorni fa dall’imam di Segrate durante una trasmissione televisiva, non fanno che buttare benzina su un materiale già altamente infiammabile.Molti pronunciamenti appaiono ispirati più da motivi ideologici, politici o pseudo-religiosi.Almeno quattro sono i luoghi comuni dell’islamically correct con cui fare i conti.
1. Il velo, si dice, è parte integrante della religione e della cultura del mondo musulmano. Non è così: non c’è un solo testo religioso che faccia del velo un pilastro dell’islam.L’imposizione del velo obbedisce ad una visione gerarchica e patriarcale della società islamica, che ruota intorno alla figura dell’uomo padre e padrone.La riprova è che le donne lo indossano quando questa visione diviene dominante, se ne liberano non appena il dominio si indebolisce o si allenta. In Tunisia, Marocco, Giordania, l’uso del velo comincia ad essere scoraggiato e messo in discussione.È qualcosa che dovrebbe far riflettere i sostenitori di casa nostra.
2. Il velo, si sostiene, è un simbolo di pudore e di modestia delle donne musulmane. Al contrario, è l’esibizione di un messaggio politico e di potere.È il pubblico sigillo della sottomissione della donna alle leggi e alle tradizioni più aberranti.La donna col velo è colei che può essere lapidata se commette adulterio, non può uscire di casa senza il permesso del marito, deve accettare maltrattamenti e violenze se mette il rossetto o frequenta un occidentale, subire l’infibulazione o la poligamia, essere costretta a sposare a 12 anni un uomo che non ha mai visto.
3. Le immigrate, si dice ancora, portano il velo per una libera scelta. Nella stragrande maggioranza dei casi, esse arrivano in Europa senza il velo.Sono costrette a indossarlo per ordine di mariti, padri e fratelli istigati e appoggiati dai predicatori di alcune moschee. Anche perché non è solo un’insegna di potere, è uno strumento di controllo.Ha il compito di isolare le donne delle comunità, impedire che entrino in relazione con la società, tenere lontano «l’altro», il nemico, il rivale, l’infedele. Il velo dice alle donne: restate chiuse nelle vostre case e siate ciò che dovete essere, fabbriche di figli, senza volontà e senza diritti. Se parlate con le immigrate comuni, le immigrate della porta accanto, è questo che vi diranno.
4. Proibire l’uso del velo nelle scuole e nei luoghi di lavoro è un atto di prepotenza che incoraggia lo scontro di civiltà. In realtà, misure come queste vanno nella direzione opposta: tendono una mano alla parte più viva e avanzata delle comunità musulmane. In Francia dall’anno scorso c’è una legge che vieta l’uso del velo nelle scuole pubbliche. Dopo le proteste scatenate dai fondamentalisti nei primi tempi, i sondaggi dicono che la stragrande maggioranza delle allieve e delle donne delle comunità si sono apertamente schierate a favore della legge. Ora ci sentiamo più libere, confessano: più libere di parlare, di vivere, di essere noi stesse.Detto questo, è evidente che il problema è innanzitutto culturale, e si affronta con un dibattito ampio ed aperto. Più che perdersi in dibattiti politicamente corretti sulle proibizioni, è molto più utile e realistico difendere il diritto delle donne a non indossarlo.
Riassumendo: l’imposizione del velo rivela una concezione del mondo che non vela soltanto la donna ma anche l’uomo, la società, la mente.Che mortifica la sua parte migliore, la sua storia di civiltà e di creatività. Ogni immigrata che rinuncia al velo non lo fa perché sceglie l’Occidente corrotto. Lo fa perché sceglie e ama il vero islam, non la sua copia deforme. È da riflessioni come queste che dovremmo partire quando affrontiamo una questione così importante per il futuro dell’integrazione.
Chi oggi in Italia applaude al velo e ne fa solo un problema di centimetri di pelle da scoprire, mostra purtroppo di non averlo ancora compreso.