Settembre 1973
Quando, tre anni fa, Allende ottenne un irrisorio margine di superiorità sul conservatore Alessandri, e poi, in parlamento, la Democrazia Cristiana gli permise di insediarsi definitivamente al governo, tutta la stampa incominciò a parlare della «via cilena» come di un nuovo «passaggio a Nord-Ovest» verso terre paradisiache. E con il nome nuovo e mediamente esotico si aprì una mossa tattica del comunismo internazionale, teso a uscire dal vicolo cieco nei quale ormai da anni è rinchiuso.
1. Da anni, infatti, la setta comunista non riesce a progredire visibilmente nella conquista imperialistica del mondo se non trasformando, come sempre, guerre locali o mondiali in guerre civili; e, quindi, lega inevitabilmente la propria immagine, nei fatti e nella psicologia collettiva, al carro armato con la stella rossa e al soldato con il berretto di pelo e con il mitra dal caricatore rotondo, versione «aggiornata» dell’ungaro, che nel secolo X incuteva terrore all’Europa del tempo (1).
Questo collegamento che si produce nel subcosciente collettivo provoca, però, una inconsapevole reazione di rigetto, che si esprime in questi termini: dal 1917 il comunismo non è mai andato al potere attraverso elezioni libere e fededegne né dove è andato al potere, lo ha mai lasciato, quindi il comunismo rappresenta un’avventura sempre sanguinosa e irreversibile. Questa tesi – vivente, come dicevo, nel subcosciente collettivo – arreca un danno non indifferente alla diffusione del comunismo internazionale, confermata com’è da episodi tragici come quello ungherese del 1956 e quello cecoslovacco del 1968, per ricordare soltanto i maggiori o i più noti, dal momento che, su di essi, la stampa «indipendente» non ha potuto tacere.
2. L’uscita da questo vicolo cieco comporta lo sforzo di diffondere immagini diverse del comunismo, la rottura – apparente — del suo carattere monolitico e la moltiplicazione delle «vie nazionali», di cui si sottolineano piuttosto le differenze che le convergenze, e i caratteri divergenti piuttosto che l’unico e immutato comunismo soggiacente.
Nascono, così comunismi, «nuovi», neocomunismi, anche se di natura e di genesi semplicemente propagandistica; al centralismo si sostituisce un policentrismo e all’unico «Piccolo Padre» fanno corona personaggi folkloristicamente attraenti, o che almeno dovrebbero e vorrebbero essere tali. Così la gamma si stende da Kim Il Sung «amato e rispettato», come recita, fino alla nausea la «liturgia» ufficiale; al defunto Ho Ci Mm, dalla biografia vagamente mazziniana e dal sembiante corrispondentemente iettatorio; al pagliaccesco Castro, ecc.: ce n’è per tutti i gusti, e con l’uno o con l’altro qualcuno può pensare che sia possibile aprire il dialogo!
L’immagine terrificante si sfoca in versioni diverse e distraenti – il tutto ricorda quei perfetti soldatini-giocattolo moderni cui è possibile cambiare divisa, senza che il soldato cambi -, ma non basta a togliere e a fugare la diffidenza ormai provvidenzialmente diffusa. Infatti, anche se in questa nuova versione i personaggi apparentemente non sono più identici, essi continuano, però, a conquistare il potere allo stesso modo!
3. Dopo il cambio dell’abito si impone, dunque, il cambio del metodo: ecco la «via cilena». Allende ottiene, come ho detto, una «vittoria da operetta» e la Democrazia Cristiana lo conferma Presidente. L’esultanza del mondo comunista e progressista è grande: per la prima volta nella storia della setta il comunismo giunge al potere attraverso elezioni, legalmente! I capi della setta possono sperare che il mondo non comunista dimentichi la «guardia rossa» e non la riconosca sotto il «doppio-petto» di Allende. Incomincia il battage pubblicitario, che propaganda «la via democratica, la via legale, la via liberale al socialismo», ma… incomincia anche, per il Cile, il cammino verso un socialismo più spinto di quello già instaurato dal democristiano Frei!
Rapidamente appare chiaro, almeno ai cileni, che:
a. se il comunismo ha perso unità formale e divisa unica;
b. se il comunismo ha perfino cambiato metodo di conquista del potere, servendosi del «cavallo di Troia» democristiano e clerico-progressista invece che del carro armato sovietico;
c. il comunismo non ha, però, cambiato le proprie mete sovversive di ogni ordinamento naturale e cristiano. Anzi, se ha cambiato divisa e mezzi, lo ha fatto proprio per raggiungere più agevolmente il suo fine « intrinsecamente perverso »!
Così la nazione cilena cade rapidamente nel terrore e nella miseria tipici dèi paesi socialisti; ma questa caduta è più rapida del rafforzamento al potere di Allende, che «deve fare il democratico». Il potere legislativo e quello giudiziario resistono alle pressioni dell’esecutivo, ma resiste soprattutto il popolo cileno. I minatori scoprono presto che cosa si nasconde dietro l’illusione socialista e diventano oppositori del regime prima che quest’ultimo possa trattarli come il governo polacco ha trattato gli operai di Stettino e di Danzica. I commercianti, i professionisti, gli agricoltori, gli autotrasportatori, spesso contro i loro dirigenti di categoria, scendono reiteratamente in sciopero, e le massaie «capiscono» prima degli «intellettuali»!
4. La situazione si fa sempre più tragica e insostenibile e la «via cilena» corre il rischio di provare, per l’ennesima volta, che un popolo può piegarsi al terrore, alla paura e alla ingiustizia soltanto sotto la pressione della violenza.
Allende è al governo, ma non ha conquistato tutto il potere prima del crollo economico, che sempre si accompagna alla instaurazione del socialismo e alla estinzione della libera iniziativa e della proprietà privata (2). Chiama a protezione della sua posizione instabile il «fratello» Prats – massone come il presidente, e che da «guardia bianca» diventa «guardia rossa» —, ma il MIR, il Movimiento de Izquierda Revolucionaria, incombe e il colpo di Stato rosso è preannunciato da una sommossa della marina. Non tutti capiscono che non è il Cile comunista da salvare, ma il mito della «via cilena». Non tutti sono addentro alle «segrete cose», e quindi non tutti capiscono che, per salvare l’immagine della «via cilena» — che apre tante prospettive alla setta comunista e sta già dando i suoi frutti, specialmente in Italia (3) —, non c’è tempo da perdere, ma soprattutto… bisogna perdere, possibilmente per opera di «amici»!
5. Le alternative di Allende sono:
a. Ritirarsi pacificamente, ma non si conoscono le reazioni della base di estrema sinistra, dei «non iniziati» della Rivoluzione; e poi, ciò equivarrebbe a lasciare il paese in mano,al Partito Nazionale e non alla Democrazia Cristiana — nei confronti della quale la Rivoluzione ha tanti debiti di riconoscenza —, che, dunque, non potrebbe ricominciare la fruttuosa manovra di Frei, il Kerensky cileno!
b. Ritirarsi dopo un plebiscito — o rimanere in caso di vittoria, anche se il «caso» è puramente ipotetico, dal momento che, di recente, per ottenere il 43% dei suffragi, ha dovuto ricorrere a un broglio di 300 mila voti —, ma questa soluzione non conviene alla Democrazia Cristiana, perché, in un plebiscito, dovrebbe scegliere non più «di vertice» — come quando, in parlamento, confermò Allende presidente —, ma «di base», e quindi uscire dall’equivoco che fa parte della sua natura e per cui è nata a vita storica, e non potrebbe impedire ai suoi sostenitori di dividersi in «cristiani» e «democratici».
c. Ripiegare su un centro-sinistra, conquistando così una maggioranza in parlamento; ma le cose sono andate troppo avanti e la dirigenza democristiana non può esporsi a una totale separazione dalla propria base, che preme in senso antigovernativo. Si potrebbe contare sull’alto clero, soprattutto sul cardinale primate di Santiago, le cui benemerenze rivoluzionarie sono già molte, ma si tratta di una guida ormai abbondantemente squalificata.
d. Tentare un auto-golpe, ma l’esperimento cade nel ridicolo, così come le voci di una invasione boliviana non stringono attorno al governo affamatore un popolo affamato!
e. Permettere, se non favorire, un colpo di Stato che raccolga. le spinte di opposizione della nazione e la riconsegni nelle mani della Democrazia Cristiana, divisa in una destra e in una sinistra e quindi già pronta per prendere il potere «da destra» e poi trasferirlo di nuovo – più o meno rapidamente e con le cautele suggerite dall’esperimento fallito — «a sinistra», secondo lo schema enunciato da Bidault: «Gouverner au centre et faire, avec les moyens de la droite, la politique de la gauche » (4), programma che nel linguaggio degasperiano suona: «La Democrazia Cristiana [è un] partito di centro inclinato a sinistra, [che] ricava quasi la metà della sua forza elettorale da una massa di destra» (5).
6. Quest’ultima ipotesi, per chi «deve fare il democratico» e quindi salvare il mito della «via cilena» dall’evidente naufragio, è certamente la più facile. Arresta lo sfacelo e non ne permette la verifica universale e totale; impedisce lo scollamento della Democrazia Cristiana dal suo elettorato e rende possibile la ripresa della marcia verso sinistra, magari sotto la guida dello stesso Frei; permette di inquinare preventivamente l’alzamiento e di «imporre» una pacificazione nazionale per la ricostruzione, che spoliticizzi il popolo e gli tolga, più o meno lentamente, le consapevolezze raggiunte nella reazione e nella lotta. Certo, quest’ultima ipotesi comporta sangue, lutti, dolori; ma cosa importano questi dettagli a chi deve fare la Rivoluzione e salvare un suo travestimento tatticamente così utile?
La strada imboccata è questa ultima e sulla «via cilena» si stende il velo di lacrime artificiali delle prefiche della sovversione internazionale — dai comunisti e dai democristiani a Perón, che proclama tre giorni di lutto nazionale —, e sul tutto si posa il suicidio di Allende, demoniaca contraffazione del martirio. Il «tradimento» dei militari trasforma di nuovo in «guardie bianche» della reazione gli stessi che non avevano temuto di essere «guardie rosse» del governo affamatore.
Certo, i centomila uomini armati, militanti di estrema sinistra, inquadrati nella Brigada Marxista Internacional, nella Brigada Elmo Catalàn (del Partito Socialista), nella Brigada Ramona Parrà (del Partito Comunista), oltre ai guerriglieri del MIR, alle brigate cubane, agli esuli rossi brasiliani, uruguaiani, boliviani, ecc. e ai consiglieri bulgari, cecoslovacchi, ecc. — viene da chiedersi che cosa facevano tutti costoro in una repubblica democratica! — combattono e forse muoiono, ma nella maggior parte sono truppa, non sono «iniziati» (6).
E più ne muoiono, più la «via cilena» è salva. Non si guarda più dove ha portato e dove vuole portare: se ne parla come di «un esperimento coraggioso, ma forse prematuro» (7). Ma che si tratti soltanto di una mossa tattica del comunismo internazionale, teso a instaurare il suo regime caratterizzato da ingiustizia, schiavitù, terrore e fame, sembrano confermarlo le estreme parole — estreme verità? — pronunciate da Allende: «Ci si impone una pausa sulla strada del socialismo… sarà la storia a giudicare… Queste sono le mie ultime parole… » (8). Il resto è cronaca che attende di diventare storia, ma la sostanza dei fatti è quella che ho enunciato.
* * *
Rimane un quesito: le sofferenze di un popolo, la fame, la sua eroica opposizione saranno di nuovo «giocate» o qualcuno ha capito e nella lotta qualche uomo si è svegliato dal sonno rivoluzionario? Non resta che augurarsi che, fra coloro che hanno fatto il golpe e coloro che lo hanno accolto come una liberazione, si manifestino uomini decisi a difenderlo da ogni travisamento, e che il popolo cileno, che ha respinto le tragiche conseguenze socialiste, non si lasci di nuovo imporre le stesse menzognere premesse democristiane. È soltanto una speranza, ma poiché, come dice il proverbio, «il diavolo fa le pentole ma non i coperchi», non si può escludere che diventi realtà.
Note
1) Ricavo il numero degli armati di sinistra dal Corriere della Sera del 14 settembre 1973 e da L’Osservatore Romano della stessa data, che dice trattarsi di valutazioni riferite dall’ A.N.S.A.