Elaborò un’interessante filosofia del linguaggio e reagì alla Rivoluzione francese: l’uomo è un essere sociale, la Rivelazione indica la via della salvezza e, per edificare una società giusta, Dio è il principio e il fine di tutto.
di Maurizio Schoepflin
Cosa notevole, molti di loro furono laici. Convinti, a torto o a ragione, che la Rivoluzione francese e i mali che ne derivarono fossero stati una conseguenza dei principi filosofici del XVIII secolo; forti della loro esperienza di emigrati; aureolati talvolta perfino dalla sofferenza e dal sacrificio delle loro famiglie, Bonald, de Maistre e Chateaubrinad, insieme ad altri, tenteranno, ciascuno col talento e il carattere suo proprio, di restituire al cattolicesimo il suo senso autentico e di servire così alla maggior gloria di Dio”.
Louis-Gabriel-Ambroise, visconte di Bonald, nacque a Milau, una cittadina della Francia meridionale, il 2 ottobre del 1754. Di famiglia aristocratica, entrò a far parte dell’Assemblea costituente per il dipartimento dell’Aveyron, ma si dimise nel 1790 non volendo accettare la Costituzione Civile del clero. Lasciata la Francia, visse anni di ristrettezze economiche a Heidelberg e Costanza, ove, nel 1796, pubblicò l’importante Teoria del potere politico e religioso.
Rientrato in Francia nel 1797, dette alle stampe l’opera Legislazione primordiale e guardò con una certa simpatia a Napoleone, considerandolo una sorta di argine alla fiumana rivoluzionaria. Nominato da Bonaparte consigliere a vita dell’Università imperiale, Bonald non accettò la linea laica che l’imperatore voleva imporre a essa si allontanò progressivamente da Napoleone. Collocandosi su posizioni conservatrici e decisamente filomonarchiche, per Bonald la rivoluzione parigina del luglio 1830 fu un colpo assai duro, che lo spinse ad abbandonare ogni carica e a ritirarsi nel paese nativo.
Altre sue opere rilevanti sono le Meditazioni politiche tratte dal Vangelo e la Dimostrazione filosofica del principio costitutivo della società. Consolato dalla nomina ad Arcivescovo di Lione del figlio quartogenito, Luois de Bonald si spense a Lione il 23 novembre del 1840.
La filosofia di Bonald è imperniata su di una preoccupazione di carattere etico e politico. Egli vuol fare dell’uomo un’autentica persona morale, nella famiglia e nello Stato, una persona pienamente sociale: egli vede infatti nella socialità la caratteristica distintiva dell’essere umano, una socialità che non è garantita e che non si realizza soltanto nel patto che tiene uniti gli uomini nelle istituzioni e attraverso di esse; la socialità a cui egli pensa ha una forte valenza morale. Ed è proprio la distruzione di tale valenza che Bonald addebita alla Rivoluzione del 1789 nella quale egli vede confluire le eredità negative di Lutero, Calvino e Rousseau, i padri di quel moderno individualismo che ha distrutto i sani principi e gli autentici valori che costituiscono le fondamenta positive e insostituibili della vita associata.
Bonald è convinto che la Chiesa possa fare molto per ricostruire il tessuto lacerato dalle idee illuministe e dalla tempesta rivoluzionaria: infatti, mediante la Rivelazione, Dio ha dato agli uomini le verità necessarie non soltanto per ottenere la salvezza individuale, ma anche per condurre una giusta ed equilibrata vita nella società. E tali verità necessarie vengono tramandate di generazione in generazione grazie alla parola: Bonald elaborò un’interessante teoria del linguaggio, che egli non considerò un prodotto umano, ma un dono diretto di Dio, attraverso il quale sono state date all’umanità anche le leggi del pensiero e le regole di condotta.
Secondo Bonald, “Tutto un insieme di verità metafisiche, reiligiose, morali è stato rivelato all’umanità nei primi albori della sua storia, e la rivelazione si è trasmessa e si trasmette per mezzo dell’insegnamento sociale” (A.M. Moschetti). E’ su queste convinzioni che si basa il tradizionalismo bonaldiano, secondo il quale il fondamento della certezza è fuori dell’intelligenza e si trova appunto nella tradizione. Secondo Bonald anche la società ha un’origine divina: essa non deriva pertanto da un contratto stipulato fra i cittadini e il potere che la deve guidare proviene direttamente da Dio.
A suo giudizio, come anelli di una catena inseriti l’uno nell’altro, “l’uomo è contenuto nella famiglia, la famiglia nello Stato, lo Stato nella religione, la religione nell’universo, e l’universo nell’immensità di Dio, unico centro a cui tutto si riferisce, infinita circonferenza che tutto abbraccia, principio e fine, alfa e omega degli enti” (H. Moulinié).
Fortissima è, nel pensiero bonaldiano, l’istanza teologica, ed egli guarda a tutta la realtà secondo una prospettiva trinitaria: nella società soprannaturale ci sono Dio, l’uomo-Dio e l’uomo; nella società religiosa, Dio, i sacerdoti e i fedeli; nell’universo politico, il re, la nobiltà, il popolo; nella famiglia, il padre, la madre, i figli. E tutto si regge secondo un perfetto equilibrio garantito in primis dalla Chiesa cattolica che Bonald vede “dopo 1800 anni sempre combattuta; combattuta nei suoi dogmi con l’errore; nei suoi precetti dalle passioni; nei suoi consigli dalla rilassatezza; sempre combattuta e sempre trionfante”.