Benedetto XVI ha ribadito: «Non è quindi il non aver mai sbagliato, ma la capacità di riconciliazione e di perdono che ci fa santi». È facile capire il motivo di questa insistenza. Papa Ratzinger sta tentando da mesi di confutare tutte le false idee del cristianesimo che i mass media e la mentalità dominante diffondono. Una, la più insidiosa, è quella moralista secondo cui il connotato della vita cristiana sarebbe la “coerenza”. Ma il cristianesimo non è affatto questo “non sbagliare” (che non è umano e non è possibile all’uomo senza la grazia). Il cristianesimo è semmai essere innamorati di Cristo, appartenergli. E quindi la disponibilità continua, indomabile, di ogni giorno e ogni ora a chiedergli perdono del proprio limite, del proprio peccato. Il santo – dice il Papa – non è un uomo “coerente”, ma è un uomo commosso dall’essere continuamente perdonato e riportato in vita da Cristo…
di Antonio Socci
In realtà sappiamo da sempre che la Chiesa, su esplicito mandato di Gesù, condanna il peccato, ma perdona tutti i peccatori, sempre. Purché – ovviamente – si desideri essere perdonati.
Nelle ultime ore – al confine tra la telenovela e la politica – la pubblica richiesta di scuse di Veronica Berlusconi e la richiesta di perdono del marito. Tutto in mondovisione. Una Dinasty all’italiana che ha fatto parlare e straparlare tutti, dalle parrucchiere di provincia alle cancellerie.
Ma nelle stesse ore, all’udienza del mercoledì, anche il Papa parlava dei santi come peccatori (come noi) rinati dal “perdono”. Di peccati e peccatori è pieno il mondo: siamo noi. La Chiesa ha proclamato solennemente al Concilio di Trento che – con la sola eccezione di Maria – nessuno «può evitare nella sua vita intera ogni peccato, anche veniale». In soldoni: ogni uomo pecca. Anche i santi.
L’ESEMPIO DEI SANTI
Non solo quelli come S. Agostino d’Ippona, padre della Chiesa, che sul racconto della sua vita da peccatore, poi redento, ha scritto un capolavoro di tutti i tempi, Le Confessioni. E non si tratta solo dei peccati della loro vita precedente (Francesco d’Assisi e san Paolo si sentivano per questo i più grandi peccatori). Ma anche i peccati dopo la conversione. Lo ha ripetuto il papa descrivendo gli amici-collaboratori di san Paolo: Barnaba, Silvano e Apollo.
Ha raccontato la loro grande avventura missionaria, ma anche le liti fra loro. E ha concluso: «Quindi anche tra i santi ci sono contrasti, discordie, controversie. E questo a me appare molto consolante, perché vediamo che i santi non sono “caduti dal cielo”. Sono uomini come noi, con problemi anche complicati. La santità non consiste nel non aver mai sbagliato, peccato. La santità cresce nella capacità di conversione, di pentimento, di disponibilità a ricominciare, e soprattutto nella capacità di riconciliazione e di perdono».
Poi – per sottolineare il messaggio che intende mandarci – Benedetto XVI ha ribadito: «Non è quindi il non aver mai sbagliato, ma la capacità di riconciliazione e di perdono che ci fa santi». È facile capire il motivo di questa insistenza. Papa Ratzinger sta tentando da mesi di confutare tutte le false idee del cristianesimo che i mass media e la mentalità dominante diffondono. Una, la più insidiosa, è quella moralista secondo cui il connotato della vita cristiana sarebbe la “coerenza”.
Ma il cristianesimo non è affatto questo “non sbagliare” (che non è umano e non è possibile all’uomo senza la grazia). Il cristianesimo è semmai essere innamorati di Cristo, appartenergli. E quindi la disponibilità continua, indomabile, di ogni giorno e ogni ora a chiedergli perdono del proprio limite, del proprio peccato.
Il santo – dice il Papa – non è un uomo “coerente”, ma è un uomo commosso dall’essere continuamente perdonato e riportato in vita da Cristo. Don Divo Barsotti, una grande intelligenza cristiana, nel suo libro su Dostoevskij – il più grande romanziere cristiano di tutti i tempi – scrive: «La creazione più alta in cui si incarna, nei romanzi di Dostoevskij, la santità è paradossalmente una prostituta. Nemmeno Zosima (il monaco staretz dei “Fratelli Karamazov”, ndr) vive una viva comunione con Dio personale come Sonja in “Delitto e castigo”… La religione di Sonja è adesione di tutto il suo essere a Cristo. Essa crede in Dio, nel Dio vivente e vive un rapporto con Dio di umile e confidente abbandono».
L’UMILTÀ DI SONJA
La consapevolezza della sua orribile condizione di peccato, cui è stata costretta dalle circostanze, non scalfisce la totale fiducia di Sonja nella bontà di Dio, ma la rende umilissima e compassionevole verso tutti. La sua confessione fa venire il groppo in gola: «È vero, non c’è motivo di avere pietà di me, bisogna crocifiggermi, non già compiangermi… Ma colui che ebbe pietà di me, ma colui che ebbe pietà di tutti gli uomini, colui che comprese tutto avrà certamente pietà di noi.È l’unico giudice che esista.
Egli verrà nell’ultimo giorno e domanderà: “Dov’è la figliola che si è sacrificata per una matrigna astiosa e tisica e per dei bambini che non sono i suoi fratelli? Dov’è la figliola che ebbe pietà del suo padre terrestre e non respinse con orrore quell’ignobile beone?”. Ed Egli dirà: “Vieni, ti ho già perdonato una volta e ancora ti perdono tutti i tuoi peccati, perché hai molto amato”. Così Egli perdonerà alla sua Sonja, le perdonerà, io lo so…
Tutti saranno giudicati da Lui ed Egli perdonerà a tutti, ai buoni e ai malvagi, ai savi e ai miti. E quando avrà finito di perdonare agli altri perdonerà anche a noi. “Avvicinatevi voi pure”, ci dirà, “venite ubriaconi; venite viziosi; venite lussuriosi”. E noi ci avvicineremo a Lui, tutti, senza timore, e ci dirà ancora: “Siete porci, siete uguali alle bestie, ma venite lo stesso”. E i saggi, gli intelligenti, diranno: “Signore, perché accogli costoro?”.
Ed Egli risponderà: “Io li accolgo, o savi e intelligenti, perché nessuno di loro si credette degno di questo favore”, e ci tenderà le braccia e noi ci precipiteremo sul suo seno e piangeremo dirottamente e capiremo tutto. Allora tutto sarà compreso da tutti e anche Katerina Ivanovna comprenderà, anche lei. O Signore, venga il Tuo Regno».
IL PARADOSSO CRISTIANO
Questa pagina struggente (mi scuso per la lunga citazione) riecheggia il Vangelo. Gesù va incontro ai peccatori e ha misericordia di loro. Farisei e benpensanti scatenano una polemica contro di lui e lui li scandalizza ancor più dicendo loro: «I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel Regno di Dio» (Mt 21, 31).
Gesù non intende certo fare l’elogio del meretricio e della criminalità (il male provoca sofferenza e infelicità e va espiato). Ma Gesù vuole far capire ai benpensanti che non esistono “uomini perbene”, uomini che non abbiano bisogno del suo perdono per rinascere, e che i peccatori – che se ne sentono indegni e si confessano disgraziati – sono i più vicini al cuore di Dio, che è un Padre misericordioso. È il paradosso cristiano.
Un grande convertito come Charles Péguy lo diceva provocatoriamente: «Le persone morali non si lasciano bagnare dalla grazia… Ciò che si chiama “la morale” è una crosta che rende l’uomo impermeabile alla grazia. Si spiega così il fatto che la grazia opera sui più grandi criminali e risollevi i più miserabili peccatori».
Paradossalmente il peccato – che è un insulto a Dio e che rende profondamente infelici e insicuri – è una ferita da cui la grazia entra più facilmente rispetto alla corazza della presunzione perbenista (leggete lo splendido saggio di Civiltà cattolica, il mese scorso, sull’approdo cattolico del simbolo del ’68, Jack Kerouac).
I mass media laici – a cui non piace la parola peccato – sono di solito ancora più scandalizzati per quell’altra parola: “perdono” (lo dimostra il trattamento riservato al signor Castagna). Forse perché il “perdono” è seducente per gli esseri umani ancor più del “peccato”. Infatti il “perdono” rivela il cuore profondo di Dio che tutti noi cerchiamo, spesso inconsapevoli, brancolando nel buio.