Dal blog Settimocielo di Sandro Magister 5 luglio 2015
Come già dopo il suo primo intervento dello scorso gennaio, anche questa volta l’esegesi fatta da padre Innocenzo Gargano, biblista e patrologo, delle parole di Gesù su matrimonio e divorzio ha suscitato vibrate reazioni.
A giudizio del monaco camaldolese, Gesù non avrebbe affatto revocato la concessione mosaica del ripudio del coniuge, nel caso di un fallimento del matrimonio “per la durezza del cuore”. Con le immaginabili conseguenze nell’attuale dibattito del sinodo sulla famiglia: Cosa direbbe Gesù se fosse un padre sinodale
A padre Gargano sono arrivate prontamente due repliche, entrambe molto critiche. La prima da Napoli e la seconda da Montevideo, in Uruguay.
Autore della prima replica è un brillante avvocato penalista, Giovanni Formicola, socio fondatore di Alleanza Cattolica, che rappresenta e dirige in Campania, e già componente del comitato regionale per la bioetica campano. Eccola.
Egregio Magister,
al di là della personalità ed delle intenzioni di p. Innocenzo Gargano, devo dire che i di lui argomenti mi appaiono di palese infondatezza. Davvero non riesco a farmi capace di com’egli possa non vedere ch’essi implicano almeno tre conseguenze e/o premesse assurde, e non tanto dogmaticamente, ma logicamente.
1. L’ordine stabilito da Dio – questo è il senso di un comandamento, non una norma positivisticamente data ed in fondo estrinseca alla creatura – sarebbe insostenibile per la creatura, anche dopo la redenzione, cioè dopo l’irruzione della grazia nella vita dell’uomo. In altri termini, Dio comanderebbe crudelmente l’impossibile, senza dare alcun sostegno affinché sia realizzato. Sappiamo, invece, che non è così: tutti, con l’aiuto della grazia che Dio non nega a nessuno e sempre in misura sovrabbondante al bisogno, possono rispettare in maniera integrale e perfetta la legge di Dio, cioè l’ordine proprio a sé stessi.
2. A proposito di osservanza perfetta: “Siate perfetti”, questo è il mandato di Gesù, ed è proprio su questa aspirazione alla perfezione che saremo giudicati. Altro che concessioni mosaiche: all’epoca il peccato originale non era stato ancora riscattato…
3. È possibile che solo duemila anni dopo che Gesù ebbe pronunciato quelle parole, solo oggi se ne sia compreso il senso? In tal caso, la Chiesa – tradizione apostolica, individuazione del canone delle Scritture, magistero e legislazione canonica – avrebbe semplicemente preso il posto dei farisei, caricando di pesi insostenibili la vita e la coscienza dei suoi figli. E ancora una volta ogni generazione passata sarebbe stata sfavorita dall’”evoluzione del dogma”, così come Voegelin opinava che nella visione progressista gli uomini di ieri, lungi dall’essere anch’essi kantianamente “fini”, venissero ridotti a “mezzo” per la felicità compiuta di quelli di domani.
Quanto alla conclusione in versi… Beh, è dottrina antica che l’egualitarismo non è cosa cristiana, neppure nel regno dei cieli. Anche là vi sarà una gerarchia, una gerarchia senz’invidia sociale in cui davvero ciascuno sarà contento e godrà, ma pur sempre una gerarchia della virtù, che non esclude il peccato, ma ne pretende il superamento.
Insomma, il “minimo” nel regno dei cieli non può essere colui che è morto in stato di peccato mortale ma piccolo, bensì colui il quale non ha esercitato tutt’intera la virtù cui è stato chiamato, o l’ha macchiata con peccati dei quali non ha dato completa soddisfazione.
Questa la dottrina che la Chiesa insegna da sempre. Quanto al Giudizio della singola anima, per fortuna sono totalmente incompetente per materia e nessuno mi chiederà parere. Per fortuna.
Mi scusi se Le ho ripetuto cose a Lei certamente note e non senza pedanteria. Ma la mia passione è l’ovvio, e quando lo vedo – “rectius”, mi sembra di vederlo – offeso, mi vien da insorgere.
Un caro saluto con accresciuta stima.
Giovanni Formicola
Autore della seconda replica è invece il gesuita uruguaiano Horacio Bojorge, 81 anni, fondatore della rivista teologica di Montevideo “Fe y Razón”, docente di cultura e lingua bibliche alla facoltà umanistica della Universidad de la República Oriental del Uruguay.
Il testo integrale della sua replica, in spagnolo, è in quest’altra pagina web: ¿Pueden los divorciados y vueltos a casar sentarse a la mesa de los hijos?
Alla domanda del titolo la sua risposta sintetica è nelle parole conclusive della sua ampia replica: “Alcuni figli della Chiesa esprimono la loro fedeltà e obbedienza facendo la comunione. Altri possono esprimere la loro obbedienza filiale astenendosi dal comunicarsi per compiacere e glorificare il Padre delle loro vite e per vivere come figli nell’accettazione volontaria, e, perché no?, gioiosa di questa pena”.