Avvenire 3 novembre 2015
Caso Deodato: democrazia e diritto di credere
Alfredo Mantovano
(Vicepresidente del “Centro studi Livatino”)
Massimo Introvigne
(Presidente del Comitato “Si alla famiglia”)
Superior stabat lupus, longeque inferior agnus. Sì caro direttore, per come è stata costruita e per gli obiettivi che si pone, la vicenda del consigliere Deodato fa venire in mente la favola di Fedro, e dice qualcosa di più della pur importante questione che I’ha occasionata (la trascrizione in Italia di nozze gay contratte all’estero).
Ripercorriamola alla moviola: quando martedì circola la notizia della sentenza della terza sezione del Consiglio di Stato, chi ha modo di leggerla constata la correttezza, la completezza e la logicità grazie all’aggancio rigoroso e consequenziale al quadro normativo e alla giurisprudenza delle Corti europee e della Consulta. Commenti in tal senso sono espressi dai giuristi di aree libertarie, pur lontani da agganci al diritto naturale, per non trascurare le parole di apprezzamento del ministro della Giustizia, peraltro all’interno di un’intervista – rilasciata a “la Repubblica” di giovedì scorso – nella quale egli auspica le adozioni gay.
E tuttavia la gran parte dei media (come “Avvenire” ha già sottolineato) non esamina il merito della sentenza ma prescindendo da esso sottopone l’estensore della stessa, e in seconda battuta il presidente del collegio giudicante, a una sorta di tac ideologica: quei media non cercano argomenti contrari a quelli contenuti nella pronuncia per controbattete, ma puntano alla demonizzazione dei due giudici: accusano l’estensore di essersi detto “giurista cattolico” e di aver ritweettato qualche mese puma un apprezzamento per la famiglia come è in natura, e il presidente Romeo di far parte dell’Opus Dei.
A differenza di quanto ha scritto in un editoriale sul “Corriere della sera” del professor Sabino Cassese, mai e in nessuna forma Deodato si è espresso sulla questione che avrebbe dovuto decidere, essendosi limitato a una occasionale simpatia per un’associazione prò family (Romeo neanche questo!). Al netto delle falsità, l’imputazione rivolta ai due giudici fa a pugni con l’intelligenza: l’interdizione a trattare di sindaci e trascrizioni sarebbe dovuta scattare nei loro confronti a causa del loro convincimento a favore della famiglia?
Esercitiamoci ad applicare il principio in casi analoghi: con questa logica un giudice notoriamente vegetariano dovrebbe astenersi dal processo in cui l’imputato è un macellaio, o anche solo un amante della bistecca; a chi è iscritto al Wwf sarebbe precluso di occuparsi di giudizi per inquinamento: un presidente di tribunale sposato da 30 anni sempre con la stessa moglie non dovrebbe trattare mai cause di separazione e di divorzio (i fatti spesso sono più eloquenti dei tweet)…
In realtà, il “caso Deodato (e Romeo)” segna ii pericoloso superamento della linea di confine fra intolleranza e discriminazione: aggredire mediaticamente in virtù della confessione religiosa un magistrato che decide in modo sgradito da punto di vista ideologico, pur se la sentenza è da tutti riconosciuta come ineccepibile, ottiene più effetti contemporaneamente: isola e intimidisce quei giudice, grazie pure al conseguente scatenamento dei social network nei suoi confronti: funziona da deterrente per altri giudici, i quali sono tentali di tenere in considerazione le reazioni furibonde che una loro pur ineccepibile decisione potrebbe provocare. Quanto giova tutto ciò al rispetto di funzioni fondamentali per le nostre istituzioni?
Non solo. Finora il sistema mediatico-culturale, film e fction inclusi, ha manifestalo crescente intolleranza per la famiglia fondata sul matrimonio e per t principi naturali; non c’è film di cassetta che – trattando di contesti parafamiliari – non contenga esplicita propaganda per le nozze gay, con parallelo diteggio per la famiglia vero nomine, descritta come la fonte di ogni sciagura.
II “caso Deodato (e Romeo)” mostra come dall’intolleranza si stia passando all’incipiente discriminazione; se sei cattolico non puoi occuparti di certe materie. Ma se si stabilisce, al momento con una così forte pressione mediatica domani chissà, che i cattolici non possono svolgere funzioni pubbliche e se si ricorda che la libertà religiosa è il fondamento della libertà, viviamo ancora in una nazione libera?