Ritratto di un’arciduchessa molto speciale: Caterina d’Austria, nipote del beato Carlo d’Asburgo, l’ultimo imperatore cattolico.
di Carlotta Lucà
Un’esistenza apparentemente da favola, quella delle arciduchesse. Ma non è sempre stato così per Caterina d’Asburgo, giovane principessa orfana di patria (la sua famiglia era stata esiliata all’indomani della fine della I guerra mondiale) che da bambina veniva presa in giro dai compagni di scuola per non avere né corona né carrozza.
Il lieto fine è arrivato poi: l’adolescenza in Belgio, l’esperienza americana, l’Erasmus a Madrid e, lì, il fortunato incontro con Massimiliano Secco Gnutti d’Aragona, suo marito, con cui vive, insieme ai due figli, a Brescia. La vita di arciduchessa che Caterina d’Austria ha scelto per sé trascorre all’insegna dell’understatement, lontano dai clamori che un’eredità nobiliare tanto prestigiosa potrebbe suscitare e vicina invece agli affetti familiari e al suo lavoro di storica e scrittrice.
Come avete vissuto l’esilio dall’Austria?
Sicuramente il mio passaporto che, fino al 1987, dichiarava nel contempo la mia nazionalità austriaca e l’impossibilità di entrare nel Paese, non faceva un grande effetto alle dogane. Sono nata in Germania ma ho vissuto in Belgio fino a 22 anni, quando, al termine degli studi di Giurisprudenza, sono andata a Madrid, dove pensavo di trascorrere il resto della mia esistenza. E invece cos’è successo? Un bel giorno, nel corso di una festa di matrimonio alla quale ero stata invitata, ho incontrato Massimiliano. È stato un colpo di fulmine.
Come nella migliore delle fiabe…
Sì, ci siamo sposati dopo un paio di anni e io mi sono trasferita con lui prima a Lugano, poi a Brescia.
La sua storia familiare è una storia importante, impegnativa. Per lei è stato un peso?
Io trovo che sia solo un regalo. Mia nonna diceva sempre: «Sapete che voi avete solo doveri, responsabilità verso gli altri e non avete nessun piacere», ma evidentemente il mondo è cambiato. Per me è sempre stato un grande orgoglio poter portare un nome così importante, senza che mai cambiasse qualcosa nella mia vita. Ho potuto fare le scelte che desideravo, ho avuto la fortuna di conoscere un uomo che amo, che ho potuto sposare senza andare contro alcuna legge di famiglia.
Ha condotto un’esistenza molto moderna e movimentata, come una semplice ragazza…
Esatto, però ho avuto la fortuna di avere degli esempi sotto gli occhi che mi hanno segnato per tutta la vita.
A proposito di esempi, pensa di aver in qualche modo tenuto vivi gli insegnamenti che hanno portato alla beatificazione di suo nonno, l’imperatore Carlo D’Asburgo?
Chiaramente io non l’ho conosciuto: è morto nel 1922, aveva 34 anni, e mio papà, oggi ultraottantenne, all’epoca ne aveva solo 3. Però ho conosciuto benissimo mia nonna che, ogni anno, viveva un mese e mezzo in casa nostra, in Belgio. È lei che mi ha fatto il catechismo e mi ha dato un’educazione religiosa insieme ai miei genitori, e questa sicuramente rappresenta la grande eredità lasciata da mio nonno. Pur essendo uno degli uomini più importanti del mondo, all’epoca della I guerra mondiale, per lui la cosa più importante era stare con i suoi figli e seguirli nella crescita, soprattutto religiosa.
Perciò anche sua nonna è stata un grande esempio.
Senza dubbio. Era di una semplicità impressionante e portava sempre gli stessi vestiti perché, quando mio nonno morì, lei fece il voto di non vestirsi più in colore. Erano innamorati in un’epoca in cui non ci si sposava per amore. Lei lo ha profondamente sostenuto in tutti i momenti della sua vita, fino all’ultimo respiro. È quest’esempio di coppia che mi colpisce tanto nella vita quotidiana, perché non è affatto semplice restare tanto uniti quanto lo erano loro, che hanno attraversato momenti ben peggiori di quelli che potremmo sperimentare abitualmente ai giorni nostri.
Oltre alla famiglia, che lei mette al primo posto, c’è il suo lavoro di storica e scrittrice. Un modo per restare legata alle sue origini?
Sì, il lavoro per me è molto importante…
Detto da un’aristocratica fa un certo effetto.
Mia nonna ci ha trasmesso il grande valore e l’importanza del lavoro. Mio padre, insieme ai miei zii, fa parte della prima generazione che si è guadagnata da vivere lavorando. Essendo in esilio non avevano nulla, eppure tutti hanno portato a termine i loro studi e fatto delle bellissime carriere.
Tornando ai suoi libri…
Ho la possibilità di accedere all’archivio di famiglia, che si trova in Germania presso un mio zio, e disporre di preziose fonti inedite. È un’attività che mi appassiona e m’interessa, visto che si tratta della mia casata. Il primo libro parla di Francisco Franco, anche se non è stato mai pubblicato, mentre il secondo scritto, Las Austrias, racconta di nove regine asburgiche che hanno regnato in Spagna dal 1500 al 1800. Poi mi sono dedicata alla biografia di Maria Antonietta, regina di Francia, e ora sto ultimando la storia di un’altra imperatrice d’Austria piuttosto conosciuta.
Sa dirmi se c’è un aspetto di suo nonno che l’ha colpita particolarmente attraverso i racconti di sua nonna Zita?
Mi ha sempre colpito quell’ «alone di “sfortuna”» da cui sembrava circondato. Era diventato imperatore suo malgrado, in seguito all’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando, e negli anni successivi il suo regno era stato un susseguirsi altalenante di episodi sventurati. Fino a qualche tempo fa interpretavo quasi come un succedersi di fallimenti la vita di mio nonno. Ma, approfondendo, ho potuto riconoscere la sua «virtù eroica»: accettava la sua sofferenza senza odi e per il bene del suo popolo. Un po’ come aveva fatto Gesù.