Vita Nuova settimanale cattolico di Trieste 16 novembre 2015
La Francia è sotto scacco per l’inaccettabile violenza del terrorismo islamico, ma anche per la debolezza della sua ideologia interna e per errori sullo scacchiere internazionale.
di Stefano Fontana
Parigi, oh cara!
Ancora una volta l’Europa intera si sveglia attonita all’indomani dell’ultimo attentato (in ordine di tempo) che ha insanguinato la Francia.
Già avevamo ricordato, su queste colonne, che il proclamare “Siamo tutti Charlie Hebdo” era uno sfogo verbale, un’acquiescenza alla moda del momento, una esorcizzazione della paura, tutto meno che un comportamento razionale e fruttuoso. A meno di candidarsi coscientemente a fare la stessa fine dei giornalisti allora trucidati.
Questa volta la conta delle vittime è ben più alta – 129 morti e 352 feriti – un bilancio terrificante, ma che purtroppo rientra nella contabilità “normale”, se si guarda alla quotidiana mattanza che insanguina il Medio Oriente. Una mattanza della quale la Francia intera (ma il cervello del Paese è da sempre a Parigi) porta una responsabilità di primo piano. Essa vanta il non lusinghiero primato nel numero dei terroristi sbarcati per martoriare quelle povere popolazioni.
Si parla di circa 900 terroristi, ai quali vanno aggiunti altri 4-5.000 loro compagni di fede (fede politica, soprattutto), i quali operano, sotto la vigilanza (a quanto pare non sempre attenta) della polizia. Una massa d’urto sempre pronta, grazie al passaporto francese ed alla politica delle porte aperte (un “valore” europeo, così si dice), a riversarsi dove c’è da menar le mani. Tanto, qualcuno disposto a fornir loro un kalashnikov lo si trova sempre.
Pare bello, pare logico, pare onesto, che uno Stato che pretende di definirsi moderno e democratico consenta che al suo interno si formino gruppi eversivi? A quanto pare a Parigi si pensa di sì, a patto che questi signori vadano a fare i loro lavoretti all’estero. O forse è un caso se le cosiddette “brigate rosse” italiane avessero la loro sede nella ville lumiére e, certo in ossequio alla parità dei sessi, colà siano accasate e finanziate le Femen, le feministe (inizialmente russe ed ucraine) specializzatesi nelle “presentazioni” a seno nudo, specialmente intorno alle chiese ortodosse e cattoliche?
Il verminaio mediorientale
I solerti comunicatori dell’ISIS, sempre pronti a propagandare la loro causa attraverso strumenti tecnici e metodologie un po’ troppo moderne per essere un prodotto della cultura locale, hanno puntualizzato come la strage di Parigi sia una rappresaglia per le vittime (non meno innocenti) dell’intervento militare in Siria.
Di morti sulla coscienza, i governanti di Parigi ne hanno un bel po’, e non sono solo i pochi sinora rimasti sotto le bombe dell’Armeé de l’Air. Il mattatoio mediorientale incomincia con l’attacco alla Libia, che la Francia, assieme alla Gran Bretagna, ha attuato senza alcuna giustificazione. Finendo col coinvolgere anche il nostro Paese, che dalla caduta del regime locale sta ricevendo e riceverà danni incommensurabili.
Sarà forse il caso di ricordare che sono stati aerei francesi a colpire il convoglio del rais in fuga, aerei che poi hanno avvertito i tagliagole incaricati di chiudergli la bocca per sempre. Leggendo del successore di Sarkozky che fugge precipitosamente dallo stadio assaltato dai terroristi, viene spontaneo pensare ad una vendetta postuma di Gheddafi. Il quale aveva ben avvertito i leader europei delle terribili conseguenze che sarebbero venute dalla sua caduta.
La Francia sotto scacco
Veniamo alla Siria. Quando una guerra si prolunga per anni, quasi nessuno sa più perchè fosse iniziata. A volte, la verità “vera” viene a galla solo dopo un certo tempo. Bene, a quanto si dice, tutto sarebbe iniziato con la richiesta dell’Arabia Saudita di far passare sul territorio siriano un gasdotto, che avrebbe attraversato l’intera penisola araba. L’obiettivo era di convogliare nel Mediterraneo il gas del Qatar, per il quale la Francia (che tra le due guerre mondiali aveva controllato la Siria) si proponeva quale venditrice.
La destinazione del gas era il mercato europeo, dove avrebbe dovuto – secondo le strategie concordate tra Parigi e Washington – fornire ai Paesi europei un’alternativa “obbligata” rispetto al gas venduto dalla Russia. A questa richiesta Assad rispose di no, sia per tener fede all’alleanza con Mosca, sia per tutelare in prospettiva le esportazioni del gas e del petrolio che stavano rendendosi disponibili in quantitativi crescenti nel territorio siriano. L’insurrezione popolare inizierà con singolare tempestività all’indomani di questa scelta politica.
Si comprende adesso perché Putin si sia schierato sempre più decisamente a sostegno di Assad. In parte per dimostrare a tutti che Mosca le alleanze le considera una cosa seria, ma soprattutto perché il controllo della costa siriana non ha valore soltanto per le basi militari ivi esistenti. O meglio, le basi servono innanzitutto per bloccare qualsiasi tentativo da Sud di spazzar via la Russia dal mercato europeo.
Se la Siria piange, adesso Parigi non ride più e come si suol dire, chi è colpa del suo mal, pianga se stesso.
Dietro agli attentati, poi, la regia è spesso molto occulta. Di certo è che all’indomani della strage a Parigi era previsto l’arrivo del rappresentante dell’Iran, uno dei due sponsor del governo legittimo della Siria. L’incontro è ovviamente saltato, e c’è chi si chiede se quanto accaduto non sia stato in realtà un avvertimento al governo francese di non appoggiare una soluzione diplomatica del conflitto. Soluzione che Putin sta cercando, con grande abilità, di confezionare. Comunque stiano le cose, il risultato non cambia, la Francia – che si considera tuttora una “potenza” – è sotto scacco e proprio sotto il profilo militare. Vi immaginate quanto se la ride Gheddafi?