Avvenire Mercoledì 11 marzo 1987
L’orario settimanale per le elementari è sempre più gravoso
Cinque ore al giorno da passare in classe per tutti i ragazzi dai sei ai dieci anni: è un errore pedagogico
di Dino Pieraccioni
Non dispiacerà ai lettori di «Avvenire» se ritorniamo dopo breve tempo su un argomento già discusso altre volte. Ma, diceva un vecchio adagio scolastico, repetita iuvant, e la nostra pretesa è non quella di avere per forza ragione, ma di riuscire a far ragionare anche chi per una ragione o per l’altra la pensa diversamente.
La Commissione Istruzione della Camera ha concluso giovedì 12 febbraio l’esame in sede referente del disegno di legge sul riordinamento della scuola elementare, in vista dell’entrata in vigore dei nuovi programmi approvati con il Dpr 104 del 12 febbraio 1985, che dovrebbero essere applicati fin dal prossimo anno scolastico 1987-88. La richiesta già avanzata di poterli licenziare in sede legislativa potrà essere accolta soltanto alla ripresa dei lavori parlamentari, dopo la conclusione della crisi di governo aperta dalle dimissioni del presidente Craxi il 4 marzo scorso.
Tutto è andato alla Commissione Istruzione della Camera come avevamo facilmente previsto: l’orario settimanale di lezione salirà a ben 27 ore settimanali per tutti e per tutte le cinque classi, oltre alle ore necessarie (almeno tre) per l’insegnamento, che verrà successivamente attivato, di una lingua straniera. Saranno dunque 30 ore settimanali di lezione, ben cinque ore al giorno, che i nostri bambini dovranno passare in classe, anzi una media di sei ore al giorno per tutte quelle scuole nelle quali verrà attuata in un modo o nell’altro la settimana corta di cinque giorni, come già previsto dall’art. 7 così com’è stato approvato dalla Commissione.
Si tratta d’un orario, basti pensare all’età dei bambini, dai sei ai dieci anni, oltremodo gravoso: ben più fortunati i loro insegnanti per i quali l’orario di servizio non potrà superare le 24 ore settimanali. Un orario, aggiungiamo, che al posto dell’attuale «insegnante di classe» d’unitarietà della classe, proposta dagli esperti ministeriali che avevano preparato il testo del disegno di legge, ma ora respinta dai nuovi «pedagogisti» della Commissione Istruzione, era stata fino ad oggi una caratteristica peculiare della scuola elementare), richiederà due insegnanti «contitolari» ogni tre classi, in parole povere almeno centomila insegnanti in più provenienti dai ruoli attuali o da assumere attraverso regolari concorsi.
Qualcuno ha detto che le attuali 24 ore settimanali non basterebbero per sviluppare concretamente tutti i programmi: ma ciò vuol dire che questi programmi (cosa che noi dicemmo chiaramente fin dal primo giorno) sono troppo vasti, anzi farraginosi e che non sono gli orari che devono essere aumentati, ma i programmi che devono esser debitamente ridotti e già fin da ora nessuno è obbligato ad applicarli per intero quando sia dimostrabile che ciò è impossibile.
Del resto, non dimentichiamo che le decisioni della Commissione Istruzione della Camera sono state prese finora solo in sede referente, non in sede legislativa, e che dovranno poi passare all’esame del Senato, dove nessuno è. ovviamente, vincolato dalle decisioni falsamente populistiche prese dalla Camera. Occoire quindi, per ora, attendere, come si dice, gli eventi.
L’andazzo non è solo un fatto sporadico delle elementari, ma un andazzo generale: proprio mentre tutti i sindacati fanno del loro meglio, a ogni rinnovo del contratto di lavoro, per ottenere una riduzione della loro settimana lavorativa, nella scuola invece, dove non esistono sindacati degli studenti, si fa esattamente il contrario. E non si dimentichi che al lavoro scolastico va ovviamente aggiunto il lavoro domestico, presupposto di ogni studio serio e impegnativo: quante ore al giorno, di grazia, fra studio a scuola e studio domestico, si devono richiedere ai nostri figlioli?
Già la scuola media, con i nuovi programmi del ’79 (e chi scrive, ripetiamo per alcuni critici improvvisati, si dimise per protesta dall’apposita commissione ministeriale che redigeva quei programmi) ha oggi un orario settimanale di 30 ore in tutte le tre classi. E anche i nuovi programmi per il biennio della secondaria superiore, licenziati dal Consiglio nazionale dell’istruzione il 6 febbraio scorso, prevedono ben 36 unità orarie di 50 minuti, ossia anche qui 30 ore settimanali di lezione.
Della china pericolosa di tale andazzo s’è reso finalmente conto anche il Consiglio nazionale, che nel testo del sopra ricordato parere del 6 febbraio ha scritto testualmente: «Il carico di lavoro scolastico si appalesa decisamente pesante per alunni di 15-16 anni… sottoposti alla rotazione quotidiana di quattro, cinque, sei insegnanti». Di qui la decisione di approvare l’unità oraria di 50 minuti, quell’unità oraria che proprio lo stesso Consiglio aveva clamorosamente bocciata nel giugno 1985, invece di proporre una logica riduzione dei farraginosi orari e programmi.
Tutto questo avviene, non ci stancheremmo mai di ripeterlo, per l’insulsa convinzione che più si fanno stare a scuola i nostri figlioli, più essi imparano e profittano, che è la più grossa stupidaggine che sul piano pedagogico e didattico si possa affermare, come se la scuola fosse oggi, e non lo è affatto, l’unica fonte di apprendimento per i giovani che la frequentano.
E se i genitori volessero far loro, poniamo, seguire un corso di piano o di violino ai conservatorio o lasciarli andare in piscina o in palestra, o anche, e perché no?, a un’associazione ricreativa o religiosa o in parrocchia per il catechismo per la prima Comunione o la Cresima, quando dovrebbero farlo? Subito dopo il Concordato del 1929 la Chiesa arrivò ai ferri corti col fascismo rivendicando anche il tempo libere per l’Azione cattolica E da Padova, giusto nel giugno 1931, il grande arcivescovo (poi cardinale di Firenze) Elia Dalla Costa ammoniva solennemente: «Noi educheremo finché morremo». Gli studenti delle superiori, infine, se dovessero andare in una libreria o a fare una ricerca in biblioteca, a giocare una partita con gli amici o a spasso con la ragazza, dovrebbero forse farlo di notte?
«Una delle maggiori e più pestifere superstizioni della scuola italiana è la lunghezza dell’orario»: sono parole scritte oltre settant’anni fa da Luigi Einaudi in un articolo sul «Corriere della sera» del 21 aprile 1913, ancora attualissimo e tutto da rileggere. Una superstizione che va di pari passo con quella dei programmi, che secondo i moderni «esperti» del ministero dovrebbero contenere tutto lo scibile umano, come se la scuola dovesse insegnare tutto a tutti.
E cosi, ogni volta che si mette mano, per una ragione o per l’altra, alla revisione dei programmi, c’è sempre chi chiede qualche argomento in più o qualche materia in più, ieri l’informatica per tutti, oggi il diritto e l’economia per tutti, poi l’ecologia, poi chi sa quale altra diabolica suggestione.
Nessuno vuol riflettere che la scuola non ha solo il compito di impartire nozioni, per le quali del resto oggi ci sono enciclopedie, manuali e comodi calcolatori tascabili, ma il compito più importante e nobile di formare la mente e il carattere dei giovani, e di abituarli a ragionare e a esprimere con chiarezza il proprio pensiero.
Per parto nostra, anche se nessuno se ne preoccupa (le associazioni deui genitori han taciuto fin qui e solo ora cominciano giustamente a muoversi; i pedagogisti e i medici pediatri pare abbiano altre cose cui pensare; gli organi collegiali, nei quali pur seggono genitori e studenti, ormai dormono della grossa), la protesta vuol essere qui alta e vibrante. A futura memoria.