Dibattiti. Del Noce risponde ai gesuiti
C’è un’antireligione che tollera la religione purché non interferisca. È la cultura che sta progettando il nostro domani, che raccoglie consensi attraverso evidenze morali comuni a tutti. Se i cattolici stanno al gioco lasciano via libera ai totalitarismi che verranno. Il grande pensatore replica a Civiltà cattolica
di Augusto Del Noce
I padri della Civiltà Cattolica hanno equivocato, nell’editoriale dell’ultimo numero, sul senso, che pur ci appariva estremamente chiaro, di affermazioni che sono comparse sul Sabato. Siccome diamo ad esse la maggiore importanza, e insieme vogliamo mantenere nella discussione la serenità maggiore, ci addossiamo la colpa della mancata chiarezza, e cerchiamo di porvi rimedio, sperando di riuscirci.
Quale sarebbe l’errore di certi cattolici (l’editoriale non li nomina, ma l’allusione al Sabato e a CI è fin troppo evidente)? Il partire da una visione eccessivamente pessimistica del mondo laico moderno, per cui arrivano a mettere in dubbio la possibilità di una collaborazione tra credenti e non credenti per l’attuazione di valori umani comuni. Poiché l’attuale secolarismo, dice l’editoriale della rivista dei gesuiti, «tenderebbe a espellere dalla vita sociale ogni valore cristiano e ogni residuo di religiosità, che ostacolerebbe la totale immanenza tecnocratica (…), in questa situazione la collaborazione dei cristiani non sarebbe volta all’attuazione di un progetto “umano”, fondato cioè su valori “umani”, ma all’attuazione di una società tecnocratica e radicale, totalmente a-religiosa, non nel senso che combatterebbe la religione, ma nel senso che dichiarerebbe superato e di nessun interesse lo stesso problema religioso. I cristiani quindi collaborerebbero al proprio suicidio. Perciò, invece di cercare di collaborare con altri, i cristiani, contando sulle proprie forze e sui propri ideali, dovrebbero agire per l’attuazione di un progetto di “società cristiana” o di “cristianità”, qual è possibile realizzare nel mondo moderno».
Differenze tra cattolici
Vediamo la differenza tra le due posizioni cattoliche. Per quei tali cattolici a cui, senza nominarli, si riferisce l’editoriale di Civiltà Cattolica, si tratta della netta distinzione tra un vecchio laicismo, che intendeva conservare le tesi essenziali della morale cattolica pur dissociandole dalla loro radice teologica e metafisica, ed un nuovo, che intende sostituirle con tesi affatto diverse. Possiamo caratterizzare questo secondo, attraverso una forma sintetica comprensiva, come «affermazione del primato dell’economico, che subordina o risolve in sé l’eticità: contro il laicismo tradizionale che almeno nella sua linea prevalente professava che l’economico non è umanità, ma strumento dell’umanità».
Che negli ultimi trent’anni sia avvenuta, silenziosamente, questa rivoluzione morale, è stato ben avvertito da scrittori che chiamerò laico-pessimisti: da un Erich Fromm, per esempio o. su un altro piano, da un Pier Paolo Pasolini; ed è affatto illusorio che il vecchio laicismo possa resistere rispetto al nuovo. Si pensi a quella che è la sorte presente delle filosofie, entrambe a loro modo cristiane, in cui la coscienza laica italiana si riconosceva mezzo secolo fa, quelle di Croce e di Gentile.
Negli ultimi trent’anni abbiamo avuto l’avanzata continua di valutazioni che hanno le loro premesse nelle tesi del nuovo laicismo, cosi che realmente si é formato un nuovo senso comune, ma del tutto diverso da quello che Gramsci auspicava. Sembra però che si possa ribattere: resta il fatto che cattolici e laici collaborano, sia pure con qualche difficoltà. Questo vuol dire che i valori comuni esistono ancora. Sono lontanissimo dal negarlo e dico anzi che il loro elenco può essere indefinitamente allungato.
Facciamo qualche esempio: frenare l’inflazione, cercare di eliminare la disoccupazione, contribuire a elevare lo sviluppo tecnico dell’Italia sino al suo avvicinamento a quello delle società più avanzate, garantire l’assistenza sanitaria, e così via. Si tratta di valori che certamente possono essere apprezzati anche dal punto di vista morale, ma che su un piano politico vengono assunti per il loro carattere di utilità; nel senso che sono affermati come strumentali per promuovere, nel presente, una pacifica coesistenza, la cui crisi sarebbe nociva per tutti. Insomma la collaborazione su «valori comuni» tra cattolici e laici avviene di regola nell’orizzonte di quella che è stata giustamente definita «la ragione strumentale».
Diciamo che le contese parlamentari si riducono oggi, ed è bene — oggi — che sia cosi, alla discussione sui mezzi migliori per raggiungere questi fini, che, poiché non suppongono un giudizio morale, oltre la strumentalità alla coesistenza, possono trovare consenzienti, di fatto, tutti i partiti.
I «padroni del futuro»
Ma la politica si riduce a questo? O non ha di mira qualche cosa che va oltre, la formazione di una coerente personalità umana? Non soltanto l’amministrazione del presente, di ciò che è. ma la preparazione del futuro, di quel che dovrebbe essere?
A questo riguardo, si può dire che i nuovi laici sono nel momento presente «padroni del futuro» e che di questo «futuro dell’uomo» sembrano assai poco preoccupati i cattolici che agiscono sul piano della politica, e meno che mai coloro che sono persuasi della presenza o della prevalenza, oggi, di «valori morali comuni».
Abbiamo parlato del carattere silenzioso di questa rivoluzione morale che ha sostituito, per usare termini noti, il primato dell’avere, dell’economico, a quello dell’essere. Non si può neanche indicarne un teorico ufficiale; piuttosto, è una cultura dissolutiva e distruttiva, che richiama e utilizza maestri della «scuola del sospetto» (Marx, Nietzsche, Freud), neutralizzandoli in quel che hanno di positivo. É una cultura religiosa, nella misura in cui non riconosce altro valore oltre che quello dello scambio (e forse questa è la definizione più precisa del nichilismo). La sua antireligione si esplica nel tollerare la religione, purché non interferisca nel pubblico (del resto, questa nuova forma di totalitarismo si fonda sulla più ampia tolleranza; il termine di «tolleranza repressiva» usato da Marcuse è valido nel suo riguardo, anche nel totale fallimento dell’opera marcusiana, e nel dispiacere che si prova a citare questo autore).
Adeguamento o alternativa
Vittoria o crisi del pensiero laico? In ogni caso è un processo a cui esso non può opporsi e a cui, salvo che negli autori pessimisti che ho già ricordato, non può che cercare di adeguarsi teoricamente (così, per esempio, nell’invenzione del «pensiero debole»). In questa situazione i cattolici si trovano costretti ad una scelta: o la pura abdicazione e l’accettazione della marginalizzazione o la creazione di un’alternativa: che non è la formazione di un partito politico, ma di una cultura che potrà anche vivificare una forza politica.
II primo loro compito è quello di prendere coscienza del valore e della conferma che trova oggi quella critica della modernità che ha ispirato la filosofia della storia cattolica dell’Ottocento, e che invece in questo dopoguerra che non finisce mai, molta parte della cultura cattolica, nuovi teologi in testa, ha ripudiato: critica da non ripetere passivamente, si intende, ma da svolgere.
Che altro è infatti il secolarismo preparato nei secoli XVIII e XIX, se non la sostituzione dell’aldilà con l’avvenire, in chiave utopica? E come questa sostituzione può venire operata se non nella forma di rivoluzione, intendendo questo termine in senso immanentistico? Orbene, quel che è avvenuto nel nostro secolo autorizza a parlare, con una formula complessiva che ne esprima il significato, di «cimitero delle rivoluzioni». Non nel senso che esse si siano manifestate irrealizzabili utopie, ma in quanto nell’attuarsi hanno realizzato l’esatto opposto delle speranze e delle intenzioni dei loro ideatori.
Così il marxismo, così il nazismo (rivoluzione contro la rivoluzione, o puro rovescio della rivoluzione marxista quale si era attuata, smentendo il suo primo autore, nel leninismo e nello stalinismo), così il fascismo, così la rivoluzione scientifico-tecnica; al qual proposito è piccante ricordare come il suo teorico italiano, Ugo Spirito, pensava dovesse realizzare il superamento dell’egocentrismo in una civiltà della comprensione e dell’amore, e invece ha dato luogo al consumismo, che dell’egocentrismo è la punta massima.
Della forma del loro fallimento e del vincolo che li unisce ho già parlato altre volte e in altre sedi. E qui i limiti di spazio concessi ad un articolo mi costringono ad interrompere; i titoli però in cui il discorso dovrebbe articolarsi risultano abbastanza chiari perché chi vuol intender intenda.