Cristianità N. 162 ottobre 1988
Il 30 settembre 1988, nel corso di una conferenza stampa, il card. Joseph Ratzinger ha presentato la lettera apostolica Mulieris dignitatem, sulla dignità e sulla vocazione della donna, pubblicata dal Sommo Pontefice Giovanni Paolo II a conclusione dell’Anno Mariano. Il testo di tale presentazione è trascritto da L’Osservatore Romano del I’ ottobre, con il titolo proposto dal quotidiano vaticano. I riferimenti al documento pontificio rimandano all’edizione italiana della Libreria Editrice Vaticana.
Chi vuole leggere e comprendere nel suo significato autentico la lettera apostolica su La dignità della donna, deve tenere bene in vista la sua specificità letteraria cosi come la sua intenzione contenutistica. Con questo documento il Papa si riallaccia ad un suggerimento del Sinodo dei Vescovi del 1987: in tale sede, a proposito della discussione sulle questioni concrete circa il posto della donna nella Chiesa, era maturata sempre più chiaramente la convinzione che non sarebbero state sufficienti soluzioni di tipo meramente pragmatistico.
Se si vogliono affrontare in modo corretto le questioni particolari, è necessario scandagliare più profondamente i fondamenti antropologici e teologici del problema. E proprio questa è l’intenzione del Papa in questa sua lettera. Per tutte le regolamentazioni giuridiche particolari, egli rimanda al documento post-sinodale sui laici, la cui pubblicazione è attesa tra breve. Qui invece, il suo scopo è cercare, a partire dalla fede, che cosa significhi che Dio ha creato l’essere umano come uomo e donna e quale specifica missione Egli abbia con ciò affidato alla donna nel suo cammino.
Il Papa lo fa nella modalità, divenutagli cara, di una meditazione biblica, e quindi non nella forma di un testo magisteriale dotato di una specifica sistematicità, ma piuttosto come una riflessione piena di amore sulle profondità della parola di Dio. soprattutto degli inesauribili primi tre capitoli del libro della Genesi. Le affermazioni del Papa si collocano quindi in un duplice contesto della vita della Chiesa: egli prosegue – come già si è accennato – la discussione sinodale dei suoi confratelli nel ministero episcopale; nella lettera apostolica si pone in dialogo con loro, ascolta le loro domande, le loro preoccupazioni, i loro suggerimenti e li porta avanti, collocandoli nell’ampio contesto della fede biblica e della tradizione teologica.
A ciò si aggiunge il contesto dell’anno mariano, che è innanzitutto espressione della memoria vissuta della Chiesa della sua origine duemila anni fa: tuttavia, richiamando alla mente gli inizi, viene posta davanti a noi l’immagine biblica della donna e siamo costretti a misurare su questo modello le nostre questioni pratiche.
Tutto ciò dovrà essere considerato se si vorrà valutare correttamente la lettera del Papa. Chi si aspetta da lui decisioni pratiche, facilmente comprensibili, resterà deluso. Chi volesse leggerla affrettatamente, non ne caverebbe nessun vantaggio. Il testo esige un ascolto riflessivo, una disponibilità alla meditazione, che cerca qualcosa di diverso dai titoli a caratteri cubitali. Il testo conduce a ciò che sta nel profondo e che. proprio per questo, può essere fruttuoso nella prospettiva più lunga.
Che cosa ci insegna dunque questa lettera, dal punto di vista contenutistico? Già dal titolo è chiaro che il tema fondamentale di indagine è la dignità della donna. Nella ricerca della risposta il Papa definisce innanzitutto in che cosa consista precisamente la dignità dell’essere umano: «La dignità di ogni uomo e la vocazione ad essa corrispondente trovano la loro misura definitiva nell’unione con Dio» (II 5, p. 17). Quest’affermazione fondamentale, che definisce l’essere umano a partire da Dio e gli conferisce in tal modo la sua inviolabile dignità, viene successivamente concretizzata in una duplice direzione, attraverso l’interpretazione del racconto biblico della creazione.
1. Il Papa segue dapprima l’idea biblica che l’uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio (Gen 1. 26 s.). Questa è per lui la base irrinunciabile di qualsiasi antropologia cristiana. Viene quindi delineato, a partire da ciò, il contenuto della natura umana, che permane all’interno di tutti i cambiamenti storici. Il Papa vede questa somiglianza con Dio essenzialmente ancorata nell’essere persona, ma essere persona significa relazionalità: si comprende la natura della persona nell’orientamento alla communio: proprio cosi essa rimanda al Dio trinitario. La reciprocità dell’uomo e della donna appartiene, in tal senso, al nucleo più intimo della forma creaturale dell’essere umano: essa ha a che fare con la sua somiglianza con Dio, nella misura in cui è un’espressione essenziale del carattere relazionale dell’esistenza umana.
«Umanità significa chiamata alla comunione interpersonale», afferma il Papa in questo contesto (III 7, p. 24). E, a partire da ciò, sviluppa i tre elementi fondamentali dell’esistenza umana. L’essere umano è l’unica creatura di Dio voluta per se stessa, non mezzo, ma «fine per se stesso», avrebbe detto Kant; esso non è semplicemente un dato di fatto, ma deve piuttosto camminare verso la realizzazione del suo essere («io»): proprio in ciò consiste il suo compito; tuttavia questa «autorealizzazione» avviene solo quando l’uomo non cerca solo se stesso, ma si dà agli altri, «mediante un dono sincero di sé» (III 7, p. 25 s.). Questo donarsi, questo affidarsi (agli altri) è la forma in cui egli si ritrova ed è la categoria fondamentale dell’immagine dell’uomo proposta dalla lettera apostolica.
2. Questa prospettiva ontologica, nella quale si parla di ciò che è permanente e immutabile nell’esistenza umana, viene completata attraverso un’analisi della sua condizione storica. Infatti l’uomo, cosi come noi lo conosciamo, non è solo ciò che egli dovrebbe essere. La situazione storica di conflitto tra essere e dover essere viene descritta dalla fede con il termine «peccato originale».
Si è detto prima che la dignità dell’essere umano si fonda sull’unità dell’uomo con Dio. Tuttavia la situazione storica dell’uomo è che egli rompe il suo rapporto con Dio. Questa frattura nel nucleo stesso della sua esistenza porta come conseguenza un’ulteriore triplice rottura: ne deriva infatti una rottura nel suo stesso io: una rottura nella relazione tra uomo e donna e, infine, una rottura tra essere umano e creazione (IV 9, p. 33). Al posto del dono sincero di sé subentra la volontà di dominio: il rapporto tra uomo e donna, che a partire dalla somiglianza con Dio avrebbe dovuto essere una relazione costituita da un reciproco dono di sé, diventa ora un rapporto di dominazione, come dice Gen 3, 16. Invece di donarsi, l’uomo cerca di dominare la donna.
AI posto della comunione si ha un’oppressione, che nello stesso tempo distrugge la stabilità della relazione (IV 10, p. 37). La donna, che originalmente avrebbe dovuto essere co-soggetto dell’uomo nella sua esistenza nel mondo, viene da lui ora ridotta ad oggetto di godimento e di sfruttamento (V 14, p. 57). Il verificarsi di un rapporto di dominazione dell’uomo sulla donna, al posto di una comunione nel dono reciproco di sé voluta dal Creatore, è così l’espressione più evidente di quella perversione delle relazioni umane fondamentali, che è accaduta con il peccato.
Il superamento del peccato – la redenzione – deve perciò manifestarsi anche nel superamento di questa perversione, nel ristabilirsi di un ordine conforme alla creazione, nel ritorno dall’«oggetto» al «co-soggetto» (IV 10, p. 40). Corrispondentemente il Papa, nella sua lettera, illustra insistentemente come l’azione redentiva di Cristo comporta anche il ristabilimento dei diritti e della dignità della donna. Ciò avviene essenzialmente svolgendo tre direzioni di pensiero:
a. Il Santo Padre descrive ampiamente l’atteggiamento aperto e senza pregiudizi di Gesù verso le donne nel corso di tutta la sua vicenda terrena, prima e dopo la risurrezione. Egli mostra che tanto nel suo insegnamento quanto nel suo comportamento «nulla si incontra che rifletta la discriminazione … della donna. Al contrario, le sue parole e le sue opere esprimono sempre il rispetto e l’onore dovuto alla donna» (V 13. p. 52). Questo non è affatto un’apertura superficiale e senza importanza nel l’agire di Gesù, ma piuttosto il suo atteggiamento «è il riflesso dell’eterno disegno di Dio» Ibid. 53).
b. Cristo abolisce il diritto concesso all’uomo, nella legge di Mosè, di rimandare la sua moglie. A questa tradizione giuridica di carattere umano egli contrappone l’ordine della creazione: i due, uomo e donna, devono essere secondo la volontà di Dio una sola carne, legati reciprocamente in una unità indissolubile (V 2. p. 49).
c. Nel momento in cui si sopprime il diritto dell’uomo di rimandare sua moglie, è necessario porre tra i due un rapporto nuovo fin nelle sue basi. Queste conseguenze sono tratteggiate nella lettera agli Efesini (5. 21-33), dove il testo della creazione sul matrimonio viene riletto e interpretato a partire da Cristo. Con i più recenti esegeti, il Papa considera il versetto 21 del quinto capitolo come il titolo dell’intero brano: «Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo». In questa sottomissione reciproca, che si oppone alla precedente dominazione, il Santo Padre scorge la «novità evangelica» – il fondamentale superamento della discriminazione della donna provocata dal peccato. Questo nuovo e decisivo passo in avanti non viene per nulla cancellato dal fatto che nel seguito del testo biblico l’uomo viene designato come capo della donna. Infatti questa formulazione riceve il suo significato autentico tramite il suo riferimento cristologia): essere capo significa, a partire da Cristo, dare se stesso per la donna (Ef 5, 25; VII 24, p. 91). Del resto, anche se ciò che è vecchio si segnala ancora nel linguaggio, questa novità, che deriva propriamente da Cristo, «deve farsi strada nei cuori… nei costumi. È questo un appello che non cessa di urgere …» (ibid. 92).
3. Tuttavia l’unità e l’uguaglianza di uomo e donna nella vocazione all’autorealizzazione attraverso il dono di sé non cancella affatto la diversità (V 16. p. 63). Pertanto il Papa cerca di dire, con grande cautela, qualcosa del genio specifico della donna a differenza della vocazione dell’uomo. A tal proposito egli prende le mosse dalla donna per eccellenza, dalla Madre del Signore. Corrispondentemente egli esamina secondo questa specificità le due forme fondamentali dell’esistenza femminile, maternità e verginità. Anche qui dev’essere naturalmente considerato per primo ciò che è comune: si tratta ogni volta, ultimamente, del compito fondamentale della esistenza umana, il superamento di se stessi nella donazione di sé.
Nel matrimonio l’autodonazione degli sposi si apre, per sua natura, al dono di una vita nuova. Uomo e donna partecipano cosi al grande mistero dell’eterno generare (VI 8, p. 68). Anche se questo generare appartiene insieme all’uomo e alla donna, tuttavia è anche vero che «l’essere genitori … si realizza … più nella donna … E la donna a “pagare” direttamente per questo comune generare, che letteralmente assorbe le energie del suo corpo e della sua anima» (VI 18, p. 70).
II Papa ne ricava che esiste uno speciale debito dell’uomo verso la donna e prosegue: «Nessun programma di “parità di diritti” … è valido, se non si tiene presente questo …» (ibid.). Questa idea viene ancor più approfondita attraverso l’affermazione che l’uomo di fronte al processo della gravidanza e della nascita si scopre sempre «al di fuori». Così egli deve, sotto molteplici aspetti, imparare dalla madre ad essere padre (ibid. 71).
4. Queste prospettive vengono infine allargate alle nuove dimensioni soprannaturali dell’esistenza umana, aperte all’avvenimento redentivo di Cristo, e alla nuova comunità della Chiesa. Dalle molteplici riflessioni del testo vorrei ricavare tre affermazioni:
a. La specificità del Nuovo Testamento consiste nel fatto che dev’essere adempiuto nella carne e nel sangue del Figlio di Dio fatto uomo. E, stando così le cose, esso prende anche il suo inizio nella carne – nella donna – che, attraverso il suo sì, si offre come sua madre. Grazie a lei, al suo verginale e materno si, il Figlio può dire al Padre: «Un corpo mi hai preparato. Ecco io vengo per fare, o Dio, la tua volontà» (cf. Eh. 10, 5.7; VI 19, p. 72). Così si può dire che il grande avvenimento della storia umana sulla terra – il farsi uomo di Dio – si è compiuto in una donna e attraverso una donna. Maria (IX 31, p. 113).
b. Nel mistero di Cristo è inserito essenzialmente il simbolismo «sponsale»: l’amore trinitario di Dio diventa dono di sé all’essere umano e cosi conferisce una profondità precedentemente inimmaginabile alla reciprocità sponsale di uomo e donna. Proprio questo contesto cristologico e sponsale dei sacramenti, e solo esso, spiega perché Cristo chiamò come apostoli solo uomini e unicamente ad essi trasmise il mandato di amministrare i sacramenti dell’Eucaristia e della Confessione. Non si tratta in nessun modo di una concessione a presunti o reali condizionamenti del suotempo; ciò deriva invece dalla struttura intrinseca del suo mandato.
A questa forma cristologica, sponsale fondamentale dei sacramenti e quindi del sacerdozio, la Chiesa è e rimane vincolata. E quindi assurdo legare la questione della dignità della donna al sì o al no al sacerdozio femminile; simili tesi trascurano ciò che è essenziale nel problema. Chi non può condividere la fede cattolica nei sacramenti istituiti da Cristo, non dovrebbe neppure voler prescrivere che forma dovrebbe assumere il sacerdozio cattolico. È pertanto sbagliato anche ridurre la lettera del Papa alla questione del sacerdozio delle donne: il Papa non è per nulla un monarca assoluto, la cui volontà abbia valore di legge. Egli è la voce della Tradizione; e solo a partire da essa si fonda la sua autorità.
c. Il sacerdozio è un ministero di servizio in un profondo legame simbolico ed esistenziale; il suo scopo – anzi la stessa raison d’ètre della Chiesa – è la santità: l’intera struttura gerarchica «è totalmente ordinata alla santità delle membra di Cristo». In questo senso il Papa accenna ad una gerarchia della santità e riprende un’idea di Hans Urs von Balthasar, che parla della dimensione mariana e della dimensione apostolico-petrina della Chiesa. Per quanto riguarda, tuttavia, il rapporto tra queste due dimensioni, cosi si esprime la lettera apostolica riallacciandosi al Concilio Vaticano II:«Nella gerarchia della santità proprio la “donna” … è “figura” della Chiesa» (VII 27, p. 100).
Il Santo Padre concretizza poi queste affermazioni fondamentali attraverso uno sguardo alla posizione storica della donna nella Chiesa e alla schiera delle sante donne dagli inizi fino ad oggi, le quali in ogni tempo con uguale diritto e in uguale onore procedono a fianco dei santi uomini e insieme con loro (VII 27, p. 101-103).
All’inizio avevo parlato di un duplice contesto della lettera papale: l’anno mariano e il Sinodo dei Vescovi. Questa prospettiva essenzialmente intraecclesiale si allarga, alla fine del documento, al panorama della storia mondiale. Il Papa volge lo sguardo sulla lotta per l’uomo e per la sua i umanità, che oggi è in corso. Egli vede descritta in modo archetipico questa lotta nella Genesi e nell’Apocalisse, nel primo e nell’ultimo libro della Bibbia: « … nel paradigma biblico della “donna”, viene inscritta … la lotta per l’uomo, per il suo vero bene, per la sua salvezza» (VIII 30, p. 110).
Concretamente ciò significa che in un unilaterale progresso materiale dell’umanità si nasconde il pericolo di una graduale scomparsa della sensibilità per l’uomo, per ciò che è essenzialmente umano (ibid. 111 s.). In questa situazione abbiamo bisogno che venga alla luce il «genio» della donna, la sua sensibilità per l’essere umano, semplicemente perché egli è uomo (ibid. 111 s.). Il Papa fonda quest’affermazione umanistica su una base teologica, con la convinzione che Dio ha affidato l’essere umano, in un modo specifico, alla donna (110 s.), poiché la sua missione particolare consiste nell’ordine dell’amore.
La donna-custode dell’essere umano, della sua umanità: questa è l’affermazione programmatica e l’appassionato appello, in cui sfocia questo importante documento. Ad un lettore superficiale ed affrettato la lettera del Papa potrebbe sembrare solo una meditazione edificante, che lo interessa ben poco. Chi accetta la fatica di immergersi più profondamente in questo documento riconoscerà che esso, oltre alla sua ricchezza teologica, è anche un testo di grande qualità umana, che ci trasmette un messaggio, che ci riguarda tutti.
Card. Joseph Ratzinger
Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede