Il Venerdì, suppl. settimanale de La Repubblica
17 febbraio 1989
La confessione del violentatore giustiziato in America
Intervista del dottor James Dobson di “Focus on the family”, un’organizzazione senza Scopo di lucro che si occupa della protezione della famiglia. Copyright 1989 “Focus on the famlly”. Il testo di questa intervista è stato concesso gratuitamente a la Repubblica”.
a cura di Carlo Pizzati
fotografie di AP
Ted Bundy, 42 anni, è stato giustiziato all’alba del 24 gennaio. È morto sulla sedia elettrica del carcere di Starke, nello Stato della Florida. Era accusato di avere commesso più di cento omicidi ed atroci violenze su donne e bambine. La sera prima dell’esecuzione ha rilasciato questa intervista in esclusiva allo psicologo James Dobson, presidente laico dell’associazione religiosa “Focus on the family”, che si propone di tutelare la famiglia e i suoi valori morali. L’intento pedagogico traspare chiaramente dalle domande dell’intervistatore.
Ted Bundy individua tra le cause principali dei suoi delitti le fantasie violente stimolate dalle riviste pornografiche e dai film trasmessi in televisione. Il dottor James Dobson raccoglie e sottolinea con enfasi l’ultimo “messaggio” del condannato a morte.
Ted, la tua esecuzione è fissata per domani mattina. Come ti prepari a quel momento?
«Penso di dover usare nel modo più utile ogni ora, ogni minuto che mi sono rimasti. Sono calmo. Certo, non posso dire di avere le mie emozioni sotto controllo. Cambio di momento in momento dalla tranquillità all’angoscia. Adesso sono calmo forse anche perché lei è qui».
Sei colpevole di avere assassinato molte donne e anche delle bambine?
«Sì, è vero».
Come sei arrivato alla violenza e all’omicidio? Puoi spiegarlo? Andiamo indietro, nel tuo passato, e ripercorriamo le tappe che ti hanno portato a quello che hai fatto. Quando è iniziato tutto?
«Questa è la domanda che persone più intelligenti e preparate di me si sono poste per anni, senza riuscire a rispondere. Anch’io però, da molto tempo, cerco di capire. Certamente il mio desiderio di emozioni violente ha delle radici precise».
Torniamo allora a queste radici Sei cresciuto in una famiglia unita, sana.
«Sì, proprio così».
Non hai mai subito violenze, molestie sessuali, né particolari shock.
«No, mai. La tragedia è anche questa: sono cresciuto in una famiglia meravigliosa. I miei genitori erano attenti e pieni d’amore. Ho cinque fratelli e sorelle. Andavamo regolarmente in chiesa, i miei non bevevano, non fumavano, erano contro il gioco d’azzardo, non tolleravano la violenza né le liti in casa. Talvolta c’erano dei problemi, ma non credo che possa esistere una famiglia perfetta. Comunque la mia situazione familiare non può spiegare ciò che ho fatto. Piuttosto vorrei ricordare quando — verso i dodici anni — ho scoperto la pornografia, In una drogheria vicino a casa. Io e i miei amici eravamo spesso in strada; frugavamo nella spazzatura, giravamo per il quartiere, nei vicoli. A volte trovavamo riviste pornografiche più “hard”, più spinte di quelle del negozio…».
Intendi dire che c’erano immagini di scene violente?
«Sì, e voglio sottolineare che è proprio questo il genere di pornografia più pericoloso. Lo dico per esperienza personale; un’esperienza dura, terribile. La pornografìa più dannosa è quella che mostra la violenza sessuale. Violenza e sesso: quest’unione provoca dei desideri terribili».
Ricordi i tuoi pensieri di allora?
«Prima di rispondere voglio chiarire una cosa: non sto cercando di giustificarmi. Mi assumo la piena responsabilità di quello che ho fatto. Ma credo che la pornografia abbia contribuito a spingermi alla violenza. Ha incoraggiato le mie fantasie. Quelle fantasie di cui poi sono diventato schiavo».
Vorrei capire meglio. Le tue fantasie, stimolate dalla pornografia, avevano raggiunto una forza tale da farti sentire il bisogno irresistibile di realizzarle?
«Proprio così. È accaduto gradualmente, poco per volta. Ogni volta chiedi alla pornografia emozioni più forti, più potenti. e come una droga di cui non si può fare a meno. Finché scopri che anche questo non basta più».
Quanto tempo è trascorso da questa scoperta alla prima volta che hai davvero aggredito qualcuno?
«È stato un momento delicato della mia crescita, una zona grigia… È durato un paio d’anni. Dovevo superare forti inibizioni che mi vietavano la violenza. Inibizioni che mi erano state inculcate dai miei genitori, dall’ambiente, dal quartiere, dalla Chiesa, dalla scuola. Era sbagliato anche solo pensare certe cose, tanto più farle… Però queste inibizioni, le ultime barriere che impedivano ai miei pensieri di divenire azioni, erano continuamente indebolite dall’assalto dei miei desideri, accresciuti dalla pornografia».
Ricordi che cosa ha vinto le tue ultime resistenze?
«Ripeto: non voglio far credere di essere solo una vittima delle circostanze. Voglio raccontare come è cambiato il mio comportamento e quali sono stati i fatti che mi hanno portato alle aggressioni e agli assassini. È molto difficile descrivere il punto di rottura, la sensazione che qualcosa fosse cambiato, e le barriere dell’educazione, tutte le inflizioni non fossero più sufficienti a trattenermi».
Era una frenesia sessuale?
«Sì, può essere un modo di definirla. Era un crescendo di energia distruttiva. Bevevo molto. L’alcool e la pornografia hanno vinto le mie inibizioni».
All’inizio eri quasi sempre ubriaco quando facevi quelle cose, vero?
«Sì, quasi sempre».
Dunque c’era una lotta continua tra le convenzioni che ti erano state insegnate da bambino e la passione impetuosa, continuamente ravvivata dalla pornografia violenta?
«Sì, certo. Si potrebbe obiettare che molti altri leggono riviste pornografiche e non reagiscono come ho reagito io».
Anche la tossicodipendenza colpisce alcuni più di altri…
«Sì. Non so perché sono stato così vulnerabile».
Ted dopo il tuo primo assassinio che cosa hai provato? Cos’è successo nei giorni successivi?
«Vi prego, cercate di capire: per me è molto difficile parlare dopo tutto questo tempo e rivivere quegli avvenimenti. Ma voglio spiegare come accadde. Commisi il primo omicidio come in trance, posseduto da qualcosa di spaventoso ed estraneo. La mattina dopo per me fu terribile risvegliarmi, ricordare quello che era accaduto e capire che di fronte alla legge e davanti a Dio ero il responsabile. Con la mente lucida e i miei sentimenti etici e morali intatti, ero completamente atterrito di essere stato capace di fare qualcosa del genere».
Prima pensavi che fosse impossibile?
«Prima ce il bisogno brutale di fare quel genere di cose, e poi succede. Voglio che la gente capisca questo: io ero una persona normale. Non passavo le giornate al bar, a bere. Non ero un barbone o un pervertito. Ero una persona normale. Avevo buoni amici, facevo una vita normale, a parte le fantasie distruttive che tenevo nascoste. Quando fui arrestato la prima volta lo shock e l’orrore dei miei erano dovuti anche al fatto che per loro ero il ragazzo americano perfetto. Non se lo sarebbero mai aspettato. La sensibilità e la coscienza che Dio mi aveva dato erano intatte, ma in quei momenti venivano travolte. La gente deve capire che chi viene influenzato dalla violenza, in particolare quella della pornografia, non è un mostro dalla nascita. Può essere un figlio, un marito qualsiasi cresciuto in una famiglia normale. La mia era una famiglia credente e meravigliosa, ma non c’è nessuna protezione contro l’influenza della pornografia consentita da una società troppo tollerante».
So che credi in quello che stai dicendo. Centinaia di cronisti vorrebbero parlarti, ma tu hai accettato solo questo colloquio, che non è semplicemente l’intervista a un uomo che domattina dovrà morire. Io sono qui per raccogliere l’ultimo messaggio che vuoi dare: la pornografia hard danneggia la gente ed è causa di omicidi e di stupri.
«In prigione ho incontrato molti uomini che sono stati spinti alla violenza proprio come me, influenzati dalla pornografia hard-core. Senza quella roba la mia vita e quella di molte altre persone sarebbero state migliori».
Ted, mentre la tua fine si avvicina, la gente si chiede se pensi alle tue vittime e alle loro famiglie. Hai dei rimorsi?
«SI. Non voglio giustificarmi. Dico solo quello che sento. Con l’aiuto di Dio sono giunto a rendermi conto del dolore e del male di cui sono responsabile. Negli ultimi giorni ho parlato con alcuni investigatori dei casi ancora irrisolti, degli assassini a cui ho partecipato. È stato molto difficile e ha risvegliato in me tutte le sensazioni, tutti i sensi di colpa di un tempo. Ho provato
orrore e dolore. Posso solo sperare che coloro cui ho causato angoscia e sofferenza — anche se non credono al mio rimorso — si convincano di questo: nelle loro città, tra i loro conoscenti e i loro amici ci sono persone come me, spinte ogni giorno alla violenza dalla televisione, dai giornali. Sono spaventato dai programmi che vedo alla tivù, dottor Dobson. I film che oggi entrano in tutte le case, trentanni fa non sarebbero stati ammessi nemmeno nelle sale a luci rosse. Invece li vedono bambini Inconsapevoli, che domani saranno forse dei Ted Bundy se sono vulnerabili e predisposti come lo sono stato io».
Puoi spiegare meglio come diventavi sempre più insensibile ogni volta che commettevi un nuovo omicidio?
«Ogni volta che facevo del male a qualcuno e uccidevo, all’inizio, avevo dei sensi, di colpa e dei rimorsi Poi tornava il desiderio di rifarlo. C’era in me come un buco nero, una crepa in cui il rimorso scivolava e scompariva. Certo, restavano i piccoli rimorsi per le cose sbagliate di tutti i giorni. Ma il rimorso per gli omicidi era stato rimosso, dimenticato».
Una delle tue ultime vittime fu la piccola Kimberly Lea. Aveva dodici anni. La rapisti mentre giocava. Che cos’hai provato dopo, Ted?
«Non riesco a parlarne. Non riesco a capire. So che non posso restituire nulla coloro che ho colpito. Non pretendo nemmeno di essere perdonato. Solo il Signore può perdonarmi»
Pensi di meritare la punizione che lo Stato ha deciso per te?
«Non voglio morire. Ma merito la punizione più severa e credo che la società debba proteggersi dalle persone come me. Però spero che da questa Intervista appaia chiaro che la società deve essere protetta anche da se stessa. Non ha senso che la gente perbene condanni Ted Bundy e passeggi indifferente dinanzi alle edicole piene di quei giornali pornografici che creano i Ted Bundy. La mia morte non ridarà la vita alle belle bambine che ho ucciso, né lenirà il dolore del genitori, Bisogna fare qualcosa prima».
Tu hai detto di avere accettato il perdono di Gesù Cristo, di essere un suo seguace e credente. Ti è d’aiuto mentre trascorri queste ultime ore e si avvicina il momento dell’esecuzione?
«Si. Non sono abituato a essere nella valle dell’ombra e della morte, e non posso dire che sono forte, che nulla mi toccherà, Mi sento un po’ solo, però cerco di tenere a mente che ognuno di noi deve affrontare la morte in un modo o nell’altro…».