Pagine Libere luglio-agosto 1992
È un caso patologico di provincialismo: ci autodenigriamo perché ci vergognamo di non aver avuto la nostra Riforma luterana. Noi, mancati protestanti… E invece la strada è un’altra: valorizzare la nostra identità mediterranea, cattolica, popolare all’insegna di un nuovo e antico viatico: «Grazie a Dio sono italiano».
di Vittorio Messori
Vorrei porre al centro del mio intervento un problema: l’abitudine propria degli italiani alla autodiffamazione masochistica. Come credente sono convinto che tutti gli uomini portino fin nel profondo le conseguenze del peccato originale. Come si spiega allora il fatto che gli italiani riconoscono soltanto a se stessi queste conseguenze negative negandole invece a tutti gli altri popoli? “Questo succede solo in Italia”, “all’italiana”, “tanto siamo in Italia” e così via. Se, per assurdo, fosse in mio potere, imporrei multe salatissime ai colleghi che usano queste frasi, che trovo insopportabili: e per amore di verità prima ancora che per amore di patria.
Il problema della autodiffamazione italiana non mi sembra però essere solo un caso di provincialismo da parte di colleghi che si sono spinti solo a Chiasso, in gita, e quindi convinti che quanto vedono in Italia rappresenti una sorta di malefica eccezione rispetto alla condizione umana d’oltralpe. Un tale masochismo infatti, sembra contraddistinguere soltanto il nostro popolo perché anche popoli a noi affini, come spagnoli e portoghesi, almeno fino a tempi recentissimi, non hanno ceduto neanche di fronte ad aggressioni, come per esempio la leyenda negra che ha tentato di demonizzare la conquista iberica delle Americhe.
Ebbene, io credo che questo atteggiamento di autodiffamazione abbia una matrice religiosa ed una precisa data di origine, che risalga, cioè, al secondo Lutero. Voi sapete infatti, che il Lutero precedente al 1517 (data che coincide con l’affissione delle famose tesi sul portone della cattedrale di Wittemberg; sembra che si tratti di un mito storiografico, ma è comunque consuetudine far coincidere con questa data l’inizio della Riforma protestante) ebbene, il Lutero giovane, piissimo monaco agostiniano, era grande ammiratore ed estimatore di Roma e dell’Italia in genere; la città e il Paese che più tardi avrebbe definito “corrottissimi”.
Nei suoi Tischreden, in quegli appunti che i discepoli raccoglievano mentre egli parlava a tavola, non fa altro che lodare per esempio, il sistema degli ospedali italiani, a suo dire introvabile altrove. E in questa ammirazione non fa altro che adeguarsi alla sensibilità allora comune in tutta Europa. Ma a partire, appunto, dal 1517 le sue convinzioni si rovesciano e tutto ciò che fino ad allora godeva di un prestigio indiscusso viene visto in una luce negativa.
È dunque la Riforma protestante, (nata, come è stato ampiamente dimostrato, non solo per motivi teologici ma anche — forse soprattutto — per motivi ideologici, per quel “los von Rom”, quel “lontano da Roma” che da sempre tenta i Germani) ad iniziare quel processo di diffamazione degli italiani di cui poi gli italiani stessi si autoconvinceranno nel corso dei secoli. L’Italia, tutto ciò che era italiano, fino all’esplodere della rivolta “anti-papista” godeva di un prestigio incredibile; gli stessi italiani, fino ai XVI secolo, sono semmai sospettabili del contrario di ciò da cui furono affetti a partire da quel periodo. Furono cioè sospettabili di una forma di “ybris” di superbia per cui, malgrado tutto, continuavano a considerare “barbari” tutti coloro che stavano a nord delle Alpi. E quei “barbari” riconoscevano una loro inferiorità culturale ma anche morale.
A partire da quel momento invece la situazione sembra lentamente ma inesorabilmente capovolgersi: la civiltà e il progresso coincideranno con la Riforma protestante; il Cattolicesimo sarà un male dal quale andiamo sradicati per diventare “civili” come al Nord. Già in Machiavelli, che muore dieci anni dopo Wittemberg, comincia ad agire questa prospettiva. E Guicciardini sostiene che, a causa del Papa, a causa del Cattolicesimo, siamo diventati “senza religione e cattivi” nel senso latino di captivi cioè prigionieri, prigionieri degli stranieri ma anche dei nostri vizi.
C’è, dunque, in origine, una diffamazione dell’Italia che parte con pretesti teologici ma che poi innesca una sorta di circolo vizioso, passa ad altri temi, si fa ossessiva fino a convincere gli stessi italiani. Credo perciò che reagire (come nel mio piccolo cerco di fare scrivendo anche per il pubblico del quotidiano cattolico) contro questa diffamazione sia comportarsi non solo da buon italiano ma anche, se permettete, senza retorica, da buon cattolico. Perché diffamare l’Italia significa appunto diffamare quel Cattolicesimo che, in venti secoli, io vogliamo o no, ha plasmato probabilmente più nei bene che nel male, la nostra storia e la nostra cultura.
Ho fatto un’analisi dettagliata di come abbia agito nella nostra storia questo pregiudizio anticattolico nel mio ultimo libro, “Pensare la storia”. In questa sede posso fare solo alcuni accenni. In particolare vorrei citare il Risorgimento che è l’esempio forse più clamoroso del tentativo di violentare una nazione e il suo popolo sradicandoli dalla loro tradizione.
Colera e terremoto
Quella minoranza ristrettissima, di cui giustamente parlava il prof. Settembrini, quella “destra storica” di borghesi liberal è stata, dal punto di vista cattolico, “il vero nemico”. Pio IX diceva che dover scegliere tra Cavour e Garibaldi (quindi, in qualche misura, tra “destra” e “sinistra”) significava dover optare tra il colera e il terremoto. Ebbene, diceva Pio IX: «Preferisco il terremoto, che almeno dura poco». Preferiva dunque il terremoto Garibaldi al colera Cavour e alla casta liberale di cui era capofila.
Andate a leggere l’opera ristampata di recente dal Saggiatore, quel classico, molto bello peraltro, dello storico valdese Giorgio Spini, “Protestanti e Risorgimento”. Vi renderete conto che il famoso non expedit, i cattolici cosi “cattivi”, così poco patriottici e così via, tutto questo insieme di giudizi negativi si basa su un grosso equivoco, su una grossa diffamazione, in realtà, i cattolici cercavano di reagire a un tentativo di sradicamento ora subdolo, ora violento del popolo italiano dalla sua tradizione, inseguendo quel sogno — che arriva fino al Partito d’Azione e, oggi, fino alle caste liberals, che in qualche misura ci opprimono con la loro egemonia culturale — inseguendo, dicevamo, il sogno di una mancata Riforma.
I cattolici (si veda la lotta di un Don Bosco, senza esclusione di colpi, contro le sette protestanti) non accettavano l’equazione Riforma = civiltà, Controriforma = inciviltà. Anche perché è propagandistico e diffamatorio anche aver chiamato “Controriforma” quella che invece fu la splendida avventura della Riforma cattolica. Alla quale, tra l’altro, dobbiamo che il Nord Italia non sia divenuto un Land tedesco e il Sud un sultanato ottomano! Tutto il Risorgimento va dunque letto in quest’ottica.
Che cosa si voleva realizzare? il deismo mazziniano, quel panteistico “Dio che è in noi”, che per la prospettiva cattolica non si allontanava di molto dall’inaccettabile deismo massonico; e infatti non ebbe seguito popolare. Oppure una Chiesa nazionale italiana, la Riforma religiosa in Italia. Ecco allora i monumenti ad Arnaldo da Brescia e a Giordano Bruno, le vie a Paolo Sarpi, il tentativo continuo di recuperare non solo la tradizione ghibellina ma quella ereticale, quel proclamare che all’Italia erano mancati, ahimé, un Lutero, un Calvino…
Voi sapete che la stessa data dell’ingresso a Porta Pia — quel 20 settembre 1870 — fu scelta appositamente perché, quella notte di solstizio d’autunno, in loggia iniziava (e inizia) l’anno dei lavori massonici. E infatti tale inizio fu celebrato al Colosseo nella notte stessa, asportando la croce che vi campeggiava al centro: fu il primo, significativo “lavoro pubblico” nella Roma non più pontificia. La breccia di Porta Pia è legata alla disfatta di Sédan, che è del 1° settembre. Bisognava far presto. Però Cadorna indugiò, inspiegabilmente per gli storici, nelle vicinanze di Roma per oltre quindici giorni con un esercito tra il quale cominciavano a serpeggiare le febbri malariche e il colera. In attesa, appunto, di quel 20 settembre che doveva avere una valenza altamente simbolica: celebrare l’inizio dell’anno massonico in una Roma finalmente consacrata all’italianità e sconsacrata al grande nemico, il papato.
Le “colpe” dei cattolici
La fine del corrotto e corruttore Cattolicesimo, responsabile della nostra “inferiorità”. Voi sapete anche che il primo civile che a Porta Pia entrò in Roma dopo i bersaglieri fu un valdese di cui la storia ci ha conservato il nome: Luigi Ciari. Il quale spingeva avanti a sé un cane, chiamato per spregio Pio IX, simbolicamente carico di Bibbia e libri protestanti pagati dagli anglicani di Gran Bretagna. Sapete anche che si tentò in ogni modo di far sollevare la popolazione di Roma per giustificare la conquista piemontese, creando almeno una parvenza di rivolta contro la “tirannia teocratica”. Si alimentò anche in ogni modo la “leggenda nera” dello Stato Pontificio il quale, come tutti gli stati dell’Ancién Régime, dava poco ma chiedeva anche pochissimo.
Sarà invece lo stato liberale a portare i suoi “buoni” frutti tra cui quella leva obbligatoria che i romani non avevano mai conosciuto e che, insieme alia tassa sul macinato, sarà una delle cause principali di una miseria generalizzata. Sogno di un protestantesimo italiano pagato, anche documenti recenti lo provano, dall’oro inglese, da quello dei cantoni calvinisti svizzeri, dai luterani bismarckiani prussiani, dalle colonie di “ugonotti” francesi, dai puritani degli Stati Uniti.
Soltanto di recente si sono trovate anche le fatture del finanziamento inglese a Garibaldi per la spedizione dei Mille: la sera prima della partenza gli fu consegnata l’astronomica cifra di due milioni di franchi oro, pagati in piastre turche perché quella era la moneta corrente del Mediterraneo di allora. Venivano direttamente dal governo inglese il quale perseguiva anche in questo modo il sogno di sradicare l’Italia dal papato, di trasformare una nazione di formazione e tradizione cattolica in uno Stato che tendesse a quel solo modello “moderno” e “civile” che veniva considerata la Riforma.
La mancanza del protestantesimo: ecco la “colpa” degli italiani. Ecco l’origine lontana dell’autodiffamazione di cui parlavamo all’inizio. Ecco il mito che ancora continua ad accompagnare le nostre classi dirigenti. Non è infatti raro sentir parlare dell’integrazione europea come di quel processo che “finalmente” potrà permettere all’Italia certi traguardi. E tra questi ci sono appunto quei livelli di “civiltà” ascritti ai popoli che hanno conosciuto la Riforma. Mito ideologico che perpetuerà invece la violenza culturale e religiosa, almeno fino a quando non prenderanno coscienza de! tentativo di stupro al quale siamo sottoposti da quasi cinque secoli.
Meglio i “vizi” cattolici che le “virtù” protestanti
Quanto a me, per quel che importa, sto con il bavarese cardinal Joseph Ratzinger che in un colloquio, tra il serio e il faceto, mi confidava di “preferire i vizi cattolici alle virtù protestanti”, di amare l’umanità mediterranea plasmata dai parroci di Santa Romana Chiesa ben più che lo spietato moralismo “civico” da sermone calvinista. E vi dirò che per qualche tempo ho cercato (purtroppo invano un adesivo che avete visto su certe automobili e che mi pare fosse offerto da non so quale ditta. C’era scritto: «Grazie a Dio sono italiano». Volevo attaccarlo anche sulla mia, di macchina. E lascio volentieri ai lettori de l’Espresso la rubrica di Giorgio Bocca il cui titolo la dice lunga su questi signori che (La Malfa docet) solo nei loro salotti possono illudersi di rappresentare gli italiani. E vogliono “rifarli” come pare a loro, con le buone o con le cattive. È la rubrica che si chiama “L’anti-italiano”. Perché non ci quotiamo per farli trasferire nella “civilissima” Zurigo di quel buontempone di Zwingli?