Il Sole 24 Ore 10 gennaio 1995
Dal National institute drug abuse Usa e dalla John Hopkins school of medicine nuove applicazioni della Pet
di Luigi Dell’Aglio
Gli effetti della droga sul sistema nervoso sono ora ampiamente spiegati dai più recenti sviluppi del «brain imaging», la tecnica di visualizzazione del cervello «in vivo». La Pet, Positron emission tomography, tomografia ad emissione di positroni, permette di studiare attentamente come e quanto viene compromessa l’attività cerebrale di un tossicodipendente. La Pet mette in risalto le variazioni nel consumo di glucosio, nutrimento senza il quale le cellule cerebrali, i neuroni, non possono lavorare. Si verifica anche come la droga riduca l’irrorazione sanguigna del cervello. La tecnica è stata perfezionata, negli Usa, da centri di ricerca quali il Nida (National Institute drug abuse) e la John Hopkins school of medicine. Consiste nell’iniettare per via endovenosa una quantità di zucchero marcata radioattivamente e nel verificare come viene metabolizzato dai neuroni.
Basandosi sulla quantità di zucchero consumato dalle cellule nervose, l’equipe del Nida ha accertato che, sotto l’effetto della cocaina, l’attività del cervello si riduce drasticamente. Per la prima volta, con il brain imaging, è possibile misurare questo deficit e renderlo evidente per mezzo di colori diversi. In genere si visualizzano tre sezioni cerebrali, in alto, al centro e in basso. Il consumo normale di glucosio da parte dei neuroni viene indicato con il colore rosso: il deficit crescente viene segnalato con tutte le gradazioni intermedie che vanno dall’arancione al giallo; dal verde al celeste, il metabolismo del glucosio tende quasi ad azzerarsi: infine, quando compare il blu, è completamente scomparso.
Le zone rosse diminuiscono sensibilmente, se si visualizza l’attività cerebrale di un eroinomane o morfinomane. Basta confrontare la sezione di un cervello normale e quella di un cervello sotto l’effetto della morfina o dell’eroina. L’euforia artificiale che esplode rapidissima nel “rush”, si abbina a un forte abbassamento delle funzioni cerebrali.
Il brain imaging mostra perché, appena finito d’effetto della droga, si scatenano nell’organismo reazioni molto pesanti. «Quando la droga entra in circolo, il cervello smette di produrre le sostanze endogene che danno naturalmente piacere, gratificazione, euforia oppure aiutano a sopportare il dolore», spiega Stefano Canali, consulente del Centro per la diffusione della cultura scientifica presso l’università di Cassino, diretto dal professor Pietro Corsi.
I progressi del brain imaging ai fini della lotta alla droga sono stati illustrati in una mostra multimediale e interattiva a Napoli, nel corso della rassegna «Futuro Remoto». La mostra, progettata dal professor Corsi, ricca di oltre cinquecento immagini pervenute dai maggiori centri specializzati del mondo, si sposta ora in varie città italiane, europee e americane. E la lista delle prenotazioni si allunga di giorno in giorno.
Scoperte e conferme essenziali vengono dalla tomografia a emissione di positroni. Per capire bene gli effetti della droga e la dipendenza che produce, bisogna infatti accertare su quali strutture cerebrali essa agisce. «È ormai chiaro che la droga influisce su strutture che regolano i comportamenti utili alla sopravvivenza dell’individuo e della specie. Cioè va a stimolare meccanismi istintivi che la natura ha posto fuori dalla sfera della volontà del soggetto. Perciò è tanto difficile vincere la battaglia contro la droga», dice Canali.
Altra scoperta interessante è che la droga si presenta dotata delle stesse caratteristiche di analoghe sostanze molto familiari al cervello perché da questo prodotte, in quanto essenziali all’equilibrio psichico e fisico dell’individuo. In particolare, i derivati dell’oppio hanno una spiccata somiglianza con le endorfine, che mitigano la percezione del dolore, danno un naturale rilassamento, riducono la tonalità emotiva.
Insomma, eroina e morfina “mimano” le endorfine. Ma come riescono a ingannare i neuroni? L’esempio più persuasivo è quello dell’eroina. La lunga molecola dell’eroina ha parti identiche alle endorfine e questa straordinaria rassomiglianza fa sì che la droga venga accolta dai recettori dei neuroni senza resistenze di alcun genere. «È come una chiave che entra nella serratura giusta — spiega Stefano Canali — perciò i recettori, che dovrebbero accogliere la molecola della sostanza endogena, non si accorgono affatto della differenza».
La cocaina, invece, non va a inserirsi nei recettori, ma opera in modo che certe zone del cervello siano esageratamente rifornite, anzi letteralmente imbottite, di una speciale sostanza endogena, la dopamina. Questa sostanza ha il compito di dare euforia, senso di gratificazione e piacere quando l’individuo ha soddisfatto certi bisogni o ha compiuto qualcosa di utile alla sopravvivenza di se stesso e della specie.
Ma appena la droga entra in circolo (oppure per azione della cocaina si verifica un superdosaggio di dopamina) avviene un fenomeno di adattamento biologico: il cervello, che dispone di finissimi sistemi di autoregolazione, smette di produrre le sostanze fisiologiche, endorfine e dopamina. E questo stop provoca lo stato di gravissima sofferenza cui vanno incontro i tossicomani appena la droga ha perduto efficacia. Si scatenano effetti opposti a quelli che dava la droga. Perciò il cocainomane crolla in un’estrema depressione, mentre l’eroinomane e il morfinomane hanno micidiali crisi di tachicardia parossistica, tremori, sudorazione.
Dice il professor Corsi: «Il merito delle ricerche americane ed europee e della campagna di divulgazione ormai avviata in Italia sta nell’aver fornito una rappresentazione obiettiva, con immagini e su cervelli vivi, di ciò che produce la droga. E la spiegazione scientifica, senza terrorismi e senza pericolosi trionfalismi terapeutici, è uno dei più efficaci strumenti di prevenzione».