13 febbraio 2016
Massimo Introvigne
Il 12 febbraio Cuba è stata testimone di un avvenimento atteso da mille anni: il primo incontro fra un Pontefice cattolico e un Patriarca ortodosso di Mosca, accompagnato dalla firma di una impegnativa dichiarazione comune.
Perché mille anni? La separazione fra Oriente e Occidente cristiano, dopo secoli di progressivo estraniamento e incomprensioni, si è venuta consumando definitivamente nell’anno 1054. Diversi sono i punti dottrinali su cui si è consumato il distacco: la disputa sul Filioque – l’aggiunta della clausola “e dal Figlio”, dopo avere affermato che lo Spirito Santo “procede dal Padre”, nel Credo che si recita nella Messa –, l’esistenza del Purgatorio, che gli ortodossi non accettano, ma soprattutto la natura del primato del vescovo di Roma sugli altri vescovi, che per i cattolici è di giurisdizione e di governo mentre per gli ortodossi potrebbe essere al massimo un primato di onore. Praticamente subito dopo la divisione del 1054 santi e teologi hanno cercato di operare per il ritorno al l’unità. Ma i loro sforzi non hanno finora dato frutto.
Stime aggiornate al 2016 valutano gli ortodossi nel mondo intorno ai 284 milioni. Di questi, 60-70 milioni dipendono direttamente dal Patriarcato di Mosca, che è però considerato un punto di riferimento autorevole da circa due terzi degli ortodossi. Quanto agli altri, molti fanno riferimento al patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I, che ha fatto arrivare alla Santa Sede un via libero per l’incontro con il patriarca russo Kirill. Se a partire dal beato Paolo VI patriarchi di Costantinopoli avevano accettato di incontrare Pontefici romani, mai fino ad oggi questo era avvenuto per i patriarchi di Mosca.
«Restano difficoltà», ha avvertito subito il patriarca Kirill abbracciando il Papa, e volutamente l’ampia dichiarazione comune non entra nei temi teologici più controversi, limitandosi a condannare il «proselitismo» condotto con «mezzi leali», che come sappiamo per il Papa è cosa diversa dalla missione.
Comunque sia, l’incontro ha un’importanza straordinaria. La dichiarazione indica le ragioni per cui oggi, nel 2016, ricercare l’unità tra cattolici e ortodossi è obbligatorio, e diventa qualcosa di più di un sogno o un’utopia. Ci sono in particolare tre ambiti che spingono al riavvicinamento. Il primo è la persecuzione dei cristiani nel mondo, specie in Medio Oriente, che sta molto a cuore anche agli ortodossi. È quello che il Papa ha chiamato molte volte «ecumenismo del sangue».
Il testo insiste appunto sul Medio Oriente. «In Siria e in Iraq – afferma – la violenza ha già causato migliaia di vittime, lasciando milioni di persone senza tetto né risorse. Esortiamo la comunità internazionale ad unirsi per porre fine alla violenza e al terrorismo e, nello stesso tempo, a contribuire attraverso il dialogo ad un rapido ristabilimento della pace civile. È essenziale assicurare un aiuto umanitario su larga scala alle popolazioni martoriate e ai tanti rifugiati nei paesi confinanti. Chiediamo a tutti coloro che possono influire sul destino delle persone rapite, fra cui i Metropoliti di Aleppo, Paolo e Giovanni Ibrahim, sequestrati nel mese di aprile del 2013, di fare tutto ciò che è necessario per la loro rapida liberazione».
Rivolto implicitamente ai musulmani, il testo congiunto aggiunge che «sono assolutamente inaccettabili i tentativi di giustificare azioni criminali con slogan religiosi. Nessun crimine può essere commesso in nome di Dio, perché Dio non è un Dio di disordine, ma di pace».
Contrariamente ad alcune previsioni, il testo non ignora diplomaticamente la questione dell’Ucraina, ma invita tutte le parti, Chiese comprese, a non alimentare il conflitto. «Deploriamo lo scontro in Ucraina che ha già causato molte vittime, innumerevoli ferite ad abitanti pacifici e gettato la società in una grave crisi economica ed umanitaria. Invitiamo tutte le parti del conflitto alla prudenza, alla solidarietà sociale e all’azione per costruire la pace. Invitiamo le nostre Chiese in Ucraina a lavorare per pervenire all’armonia sociale, ad astenersi dal partecipare allo scontro e a non sostenere un ulteriore sviluppo del conflitto».
Il secondo tema della dichiarazione è la difesa della famiglia, che «si fonda sul matrimonio, atto libero e fedele di amore di un uomo e di una donna» e va riconosciuta come «il centro naturale della vita umana e della società». «Siamo preoccupati dalla crisi della famiglia in molti Paesi. Ortodossi e cattolici condividono la stessa concezione della famiglia e sono chiamati a testimoniare che essa è un cammino di santità, che testimonia la fedeltà degli sposi nelle loro relazioni reciproche». «Ci rammarichiamo che altre forme di convivenza siano ormai poste allo stesso livello di questa unione, mentre il concetto di paternità e di maternità come vocazione particolare dell’uomo e della donna nel matrimonio viene estromesso dalla coscienza pubblica».
Francesco e il Patriarca di Mosca chiedono «a tutti di rispettare il diritto inalienabile alla vita. Milioni di bambini sono privati della possibilità stessa di nascere nel mondo. La voce del sangue di bambini non nati grida verso Dio». No anche alla «cosiddetta eutanasia», la quale fa sì che «le persone anziane e gli infermi inizino a sentirsi un peso eccessivo per le loro famiglie e la società in generale». E no alla fecondazione artificiale, «perché la manipolazione della vita umana è un attacco ai fondamenti dell’esistenza dell’uomo, creato ad immagine di Dio».
Il terzo tema è la testimonianza della fede, specie ai giovani, in un mondo secolarizzato. E la fede oggi si annuncia non solo denunciando la superficialità e il «consumismo», ma affermando con chiarezza che la libertà religiosa è violata anche in Occidente. «In particolare, constatiamo che la trasformazione di alcuni paesi in società secolarizzate, estranee ad ogni riferimento a Dio ed alla sua verità, costituisce una grave minaccia per la libertà religiosa». Una «fonte di inquietudine» è la progressiva limitazione «de diritti dei cristiani, se non addirittura la loro discriminazione, quando alcune forze politiche, guidate dall’ideologia di un secolarismo tante volte assai aggressivo, cercano di spingerli ai margini della vita pubblica».
Cautela anche sull’immigrazione. Papa e patriarca chiedono di «rimanere vigili contro un’integrazione che non sarebbe rispettosa delle identità religiose. Pur rimanendo aperti al contributo di altre religioni alla nostra civiltà, siamo convinti che l’Europa debba restare fedele alle sue radici cristiane».
Kirill ha affermato in un breve discorso che «le nostre due Chiese possono lavorare insieme difendendo il cristianesimo in tutto il mondo e con piena responsabilità affinché non ci sia più la guerra, ovunque la vita umana sia rispettata e si rafforzino le fondamenta della morale della famiglia e della persona». Non è ancora l’unità fra la Chiese, ma «l’unità si costruisce nel cammino», ha affermato il Papa. Nel nome dei cristiani perseguitati, della famiglia e dell’evangelizzazione un incontro a lungo considerato necessario ma impossibile oggi è diventato possibile.