Stragi partigiane: il triangolo dei preti

pubblicato su Avvenire del 20 gennaio 2004
triangolo rosso

INCHIESTA/1 Tornano alla ribalta gli eccidi di sacerdoti e credenti da parte dei partigiani “rossi” subito dopo la guerra

di  Roberto Beretta

Non solo Pansa e Mieli: molti studi locali, ma ancora poco serena la valutazione storica dei misfatti di quel periodo E a volte nemmeno i cattolici ricordano i loro martiri

«Ogni proda è cimitero, in Emilia e dappertutto». Lo scriveva un prete “di sinistra” come don Primo Mazzolari. E per molti anni, dopo la guerra, tra i comunisti della pianura padana si sentì il sacrilego motteggio, ogniqualvolta capitasse un déjeuner sur l’herbe con lambrusco e salami: «Non mettere la mano per terra, potrebbe morderti!»…

due sacerdoti assassinati

Anche l’Italia ha avuto il suo triangolo delle Bermude: un «triangolo rosso», come un segno di pericolo, che negli anni della «guerra civile» talvolta inghiottì le sue vittime senza più risputarne neppure le ossa; se non dopo anni, o decenni. Un «triangolo rosso» anche perché annaffiato col «sangue dei vinti» e – tra questi – molti cattolici e molti preti. L’ha scritto anche Giampaolo Pansa nel suo recente best seller sul «sangue dei vinti», appunto: «Prete uguale a borghese uguale a fascista: per molti, era un’equazione convincente…

Stava davvero cominciando un’altra guerra civile. E a tutto campo: partigiani comunisti contro preti, padroni e democristiani». L’ha ribadito recentemente Paolo Mieli: «Il numero di preti fatti fuori in quegli anni perché vicini alla Democrazia cristiana è davvero incredibile. Don Pessina, don Galletti, don Donati e tanti altri: non c’entravano nulla con i fascisti, al massimo avevano benedetto qualche salma di fascista ucciso, forse aiutavano la Dc a raccogliere voti… La verità è che furono uccisi da comunisti e che nessun assassino fu denunciato dal Pci. Ciò potrà un giorno essere serenamente studiato? Io spero di sì».

Il giorno non dev’essere ancora giunto, tuttavia, se il livore e la cecità ideologica raggiungono tuttora i livelli d’accanimento degli infamanti, bestiali commenti di alcuni lettori a un articolo di Paolo De Marchi apparso su Internet e dedicato ai sacerdoti uccisi nell’immediato dopoguerra: «Ne hanno uccisi pochi!», scrive uno; e un secondo: «I sacerdoti ne fanno di tutti i colori da centinaia di anni, che sarà mai se ne hanno ammazzato qualcuno.

Durante la guerra poi alcuni hanno chiacchierato troppo e hanno mandato gente alla forca che faceva resistenza»; infine: «Sarebbe utile capire il perché di quelle “uccisioni” (tra virgolette nell’originale, ndr), il motivo per cui partigiani (comunisti e cattolici) uccisero esponenti del mondo cattolico, soprattutto durante il periodo di guerra e nel periodo successivo. In guerra ci ha portato il governo fascista, contro la Francia e l’Inghilterra come nella campagna di Russia… Chi è responsabile di tutti quei morti se non il governo fascista??? Chi ha taciuto forse è parimenti responsabile ed in primo luogo chi ha taciuto erano proprio i preti collusi con un regime totalitario che con i valori cristiani aveva poco, anzi niente da spartire».

Già: la colpa è comunque dei «fascisti»… Ma – certo – finora nemmeno i cattolici hanno fatto abbastanza per «studiare serenamente» i loro martiri nel «triangolo rosso» o comunque i sacerdoti e i credenti uccisi nella post-Resistenza. Dopo la guerra, per esempio, intorno al vescovo di Reggio Emilia Beniamino Socche (non a caso contestato perché troppo anti-comunista) si radunò un comitato per erigere un monumento commemorativo, una sorta di cippo al «prete ignoto» (in realtà ben noto, tuttavia…): ma l’iniziativa non riuscì a trovare esito. Anche alcuni coraggiosi memoriali, stampati negli anni Quaranta e Cinquanta (vedi box), lo furono sempre presso editrici minori, assimilati alla stampa «apologetica» o comunque ideologica e senza troppa diffusione.

Ancora nel 1982 un sacerdote e storico imolese, don Mino Martelli, che aveva pubblicato una sua ricerca documentatissima e precisa (Una guerra e due resistenze, Paoline 1976) ancorché quasi ignorata dai cattolici e vituperata dai comunisti, sentì definire «insensato e provocatorio» l’intervento in cui ricordava i martiri cattolici durante un dibattito sulla Resistenza. E replicò sul giornale locale: «Benedetti compagni comunisti, imborghesiti ma ancora irrimediabilmente staliniani, che vedono sempre in chi dissente dalle loro idee un insensato provocatore, se non proprio un “nemico del popolo” da eliminare! Beati e miti agnellini, primi della classe del partigianesimo nostrano, ma, a mio “insensato e provocatorio” parere, del tutto fuori dall’orbita resistenziale!

I partigiani comunisti innocui e umanitari, indulgenti e idealisti nell’ottica staliniana, mai torsero un capello ad alcuno. Non hanno mai odiato e mai razziato, mai minacciato, mai terrorizzato, mai torturato neppure un passerotto. Spedirono solo in Paradiso con un bel rosario di piombo durante e dopo la guerra, presumibilmente 110 sacerdoti, l’ultimo dei quali nel 1951 per via diretta dalla Toscana… A quanto mi consta né i partigiani democristiani (80.000 in Italia), né i repubblicani, né i socialisti, né i liberali hanno continuato a sparare dopo la guerra. Solo i comunisti – non tutti per fortuna – hanno abbondantemente e impunemente ucciso anche nel dopo guerra e fino al 1951».

Ma neppure oggi, anno decimoquinto della caduta del Muro di Berlino, l’argomento dei morti cattolici del dopoguerra sembra più frequentato di ieri. Basta cliccare su Internet il nome di qualcuna delle 110 tonache insanguinate nella «guerra civile» per vedersi apparire solo poche citazioni, spesso col marchio di una rievocazione della Repubblica sociale, oppure sotto la sigla di un partito di gran destra. E i cattolici?

È pur vero che per alcuni dei martiri – vedi il sindacalista bolognese «bianco» Giuseppe Fanin – è aperto il processo di beatificazione; è ancora vero che certuni dei sacerdoti uccisi hanno avuto l’onore di commemorazioni e pubblicazioni almeno nei luoghi d’origine; ma si tratta in gran parte di iniziative solo locali. Lo stesso fiammante libro dello storico friulano Marco Pirina 1945-1947 Guerra civile. La rivoluzione rossa, nel quale si parla anche degli assassinii di preti, è stampato da un Centro studi periferico come il «Silentes loquimur» di Pordenone.

Nessuno – a quanto consta – ha seguito l’esempio del cardinale Giacomo Biffi, che nel 50° della Liberazione (1994) promosse una serie di celebrazioni nelle parrocchie dei trucidati bolognesi. Con tutte le meritorie e doverose rievocazioni dei martiri di ogni causa e religione, cui oggi la Chiesa offre albergo, possibile che non ci sia posto per un Sangue dei vinti solo cristiano?

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Le altre puntate dell’inchiesta:

2 – Partigiani all’assalto del don

3 – Ombre rosse in canonica

4 – E Peppone sparò a don Camillo

5 – Brigate contro il Biancofiore

6 – Falce & coppola, la repubblica del Sud

7 – La resistenza cannibale

8 – Quei preti martiri del 18 aprile

Nota: Leggi anche:

Dimenticati Paolo De Marchi, Il Timone – n. 11 Gennaio/Febbraio 2001

Una pagina rimossa della nostra storia. Centinaia di cattolici, sacerdoti e laici, uccisi dai partigiani comunisti nell’immediato dopoguerra. In odio alla fede e alla Chiesa. I testimoni tacciono. I libri di testo nascondono la verità. Viltà, paura o complicità?