di Pietro De Marco
Il peggio del peggio. Questo melanconico pensiero mi ha subito sfiorato alla lettura del testo integrale dell’editoriale di FC di cui la stampa aveva già anticipato il tenore.
Purtroppo l’intervento della rivista dei paolini va oltre questo: rappresenta bene i termini cui la volontà cattolica di entrare nella rissa politica può accedere, quando venga a mancare un’accorta capacità di consiglio dall’alto. Famiglia Cristiana non è un “libero organo” di preti e laici qualsiasi; quello che il diffusissimo settimanale veicola fa opinione e (o forse: perché) si riveste di una qualche ufficialità o rappresentatività ecclesiastica.
Funzioni del genere esigono, però, responsabilità verso ciò che “rappresentano”; non solo verso l’istituzione, ma anche verso lo stile, la cultura, cattolici. Per quelle che sono le mie propensioni di giudizio, la responsabilità di uno strumento che formi opinione pubblica deve esercitarsi nel rigore intellettuale; e questa, del rigore e discernimento razionale, è tradizione cattolica. Non mi stancherò di ricordarlo in questa nostra inconsulta stagione di sfoghi e piagnistei.
La nota di FC afferma che “un ministro propone il concetto di razza nell’ordinamento giuridico”, e che “le schedature etniche e religiose (…) tornano ad essere patrimonio di Governo”; “tornano” perché, sia chiaro, si tratta della ripresa di disposizioni organiche alla legislazione razziale fascista, auspice oggi il “Dna familiare” di Alessandra Mussolini. Senza contare che, in sé “la schedatura di un bambino rom, che non ha commesso reato, viola la dignità umana”. Assistamo inoltre alla “nascita di un diritto penale straordinario per gli stranieri poveri”; infatti il governo intende togliere la patria potestà ai genitori rom “solo per la povertà e le difficili condizioni di vita” (sottolineatura mia) in cui versano con i loro figli.
FC non è l’unico organo di stampa a dire cose del genere, anche se ambisce a qualche originalità di tono e di bersaglio; è anzi in preoccupante compagnia. L’ipermoralismo dell’intelligencija invade da giorni quotidiani, fogli di opinione e siti della sinistra.
Peccato per tanto entusiasmo che parte degli enunciati siano semplicemente falsi (non hanno riscontro né in documenti né in dichiarazioni governative: come si è ripetuto anche oggi l’obiettivo dell’azione concordata dei prefetti è “fare il censimento e laddove necessario prendere anche le impronte digitali dei minori, a tutela dei minori”), parte (quelli allarmistici e vaticinatòri di nuovo razzismo e fascismo) siano analogie infondate e illogiche.
La Stampa di Torino (del 1 luglio 2008) riportando ampiamente le tesi di FC ha avuto il buon senso di affiancare alle deprecazioni del settimanale cattolico la freschissima notizia (che è solo conferma di dati obiettivi, noti da tempo) dei risultati dell’inchiesta del procuratore capo di Verona, su gravi strumentalizzazioni di minori per reati pianificati e continuati in Liguria e Veneto, accompagnate spesso da disconoscimento di paternità del minore in caso di suo arresto.
La coraggiosa iniziativa del ministro degli interni è, dunque, richiesta da un quadro di reati diffusi e abituali entro la reticolarità delle famiglie rom, anche se non coestesi all’intera comunità nomade. Questi reati si configurano, in particolare, con l’aggravante della “associazione per delinquere finalizzata a compiere furti mediante lo sfruttamento di minori”, oltre a contemplare “maltrattamento e abbandono di minori”.
È evidente ad ogni cittadino ragionante che l’accertamento d’identità dei minori non mostra uno “stato di polizia feroce” (sono passati quarant’anni, anche di resipiscenza, dai tempi in cui si poteva usare a vanvera questo eloquio. O non sono passati?), ma provvede ad una applicazione delle leggi fondamentali per la protezione dell’infanzia, con riferimento anche alla fattispecie di “riduzione alla schiavitù” in famiglie e “associazioni”, integrandola in una prassi di prevenzione del crimine (sui minori stessi e mediante minori su terzi).
Ma le reazioni emotive e mobilitanti dell’intelligencija sono per se stesse oniriche, lo sappiamo; anche nel nostro caso non un solo scenario evocato come conseguenza del previsto censimento è plausibile. Si è parlato, anche per le accuse di FC, di forme deliranti; gli unici dati ad essere assenti dalla imagérie terroristica dei critici (come nel caso dell’enunciato: “dalla schedatura dei bambini rom a quella degli ebrei e dei gay il passo è breve”) sono infatti i dati di realtà.
Ma vorremmo che da questa effervescenza delirante, che monta emotivamente ma ha obiettivi coscienti (antigovernativi e entro la sinistra), l’intelletto cattolico si emancipasse. Vale l’esempio delle cose razionali e umane che ha detto Paolo Grossi a Libero (1 luglio 2008), nello stile della sua profonda intelligenza cattolica: “C’è bisogno di norme (…). Trovo giusta la proposta del ministro Maroni (…). Devono dominare accettazione e convivenza. È necessario chiedere a questi rom l’identità, la residenza; e questa non è discriminazione (…). Ai cittadini, siano essi connazionali o rom, bisogna chiedere responsabilità sociale, devono essere consapevoli di vivere in una comunità dove ci sono regole da rispettare”.
Così appare almeno sensata, se ne mettiamo tra parentesi il rituale polemico, la dichiarazione dell’Opera Nomadi Sezione del Lazio (anch’essa del 1 luglio) che affianca a critiche anche ragionate la propria disponibilità alla “campagna di identificazione” delle comunità rom.
Alla doverosa strategia di prevenzione (contro la endemica, connivente inerzia, finora, di istituzioni e società civile) che coniuga protezione dell’adolescenza e lotta al crimine, adottata dal governo, andrà allora unito un ulteriore capitolo di creatività giuridica, che sempre ripropongo quando si tratta di relazioni tra “culture”: il negoziato, l’intesa, con comunità “non nazionali”, o nazionali atipiche, presenti sul territorio, negoziato che associ in patti reciprocamente vincolanti il “riconoscimento” di una cultura e il suo legittimo disciplinamento e autodisciplinamento.
La sregolata retorica anti-potere (persino di penna ecclesiastica) di un’intelligencija che chiamerei neoprogressista-solidaristica, è, invece, il peggio del peggio. Preda di luoghi comuni, lo sfogo incontrollato (come l’indecente battuta sulla Mussolini) in bocca cattolica è corruptio optimi. Si suggerisce che dietro a questo inconsueta agitazione, non solo di FC, vi sia un expedit della attuale segreteria di stato vaticana.
Non mi pare pensabile. Al di là delle opinioni personali del, e di ogni, Cardinale segretario, un alto ruolo plasma l’uomo, gli impone le sue regole, il suo carisma d’ufficio. Una delle più importanti funzioni di governo della chiesa universale è regolata, oltre che dalla volontà del Pontefice, dalla propria storia, direi dalla propria essenza, da un carisma secolare che procede secondo ragione. Niente può convenirle meno dell’incontrollata patetizzazione delle cose.
(A.C. Valdera)